Passata è la tempesta:
Odo augelli far festa, e la gallina,
Tornata in su la via,
Che ripete il suo verso. Ecco il sereno
Rompe là da ponente, alla montagna;
Sgombrasi la campagna,
E chiaro nella valle il fiume appare.
Come per incanto, i versi del sommo Poeta sembrano echeggiare in un’aria ancora mista ad afa e odio diffuso. Una quiete dopo una tempesta costruita ad arte con tutti gli elementi tipici di strategie che solo l’imbecillità umana è capace di realizzare, quasi come se non fosse bastato un ventennio di non lontana memoria.
D’improvviso, il coro dei sostenitori del Ministro che, tra rosari e croci ostentate, sbavava ai piedi di fanciulle danzanti in quel Papeete dependance del Viminale, è andato dileguandosi in una rete gestita alla perfezione tra video e selfie a spese dei contribuenti fino al cambio disco imbevuto di bile per una lettura tutta personale della nostra Costituzione, al fine di un ricorso obbligato alle elezioni, condivisa da una Meloni posseduta da una repentina metamorfosi reazionaria e dall’ormai cadente ex Cavaliere. Ma è un governo, quello che ha giurato ieri, del tutto legittimo, nato, che piaccia o meno, da una prassi corretta e apparso come un esecutivo di liberazione pur se in presenza di una componente e di un Presidente del Consiglio responsabili di quattordici interminabili mesi di quanto di peggio la politica mediocre – cui siamo purtroppo da anni abituati – è stata capace di esprimere.
La piazza evocata con l’enfasi tipica degli sconfitti, sia dal super felpato ministro che dalla rivoluzionaria all’amatriciana, ridà ossigeno a quell’armata Brancaleone dalle adunate con elmi e corna che farebbe inorridire anche il grande Monicelli, ridà orgoglio e speranza di tornare quanto prima a un clima condiviso da quegli italiani che erano riusciti a tirar fuori il peggio di se stessi, vomitando il proprio odio, il razzismo e la xenofobia grazie all’unico esemplare della politica – lo ha detto persino Giuliano Cazzola – tanto stupido da essere capace di mandarsi a fare in c… da solo.
Una riflessione, però, va fatta anche sul Presidente per tutte le stagioni Giuseppe Conte, passato con ostentata indifferenza da una coalizione marcatamente di estrema destra a una di centrosinistra – almeno nell’accezione più comune –, da una posizione fantasma a un’altra da protagonista, da avvocato del popolo a leader di un movimento che pare abbia trovato in lui quella guida che non sia marcata esclusivamente Casaleggio Associati. Dovrà stare molto attento, quindi, l’attuale capo politico del MoVimento 5 Stelle: la sua discutibile collocazione nella compagine di governo potrebbe fargli perdere il rapporto diretto con la base trattandosi di un ruolo molto impegnativo e delicato che non presuppone soltanto la conoscenza almeno dell’inglese – non come l’ex Premier Matteo Renzi che passerà alla storia anche per i suoi imbarazzanti interventi in lingua – ma tutta una serie di conoscenze di rapporti internazionali, equilibri, alleanze e, almeno dei Paesi di cui si parla, le rispettive capitali.
Giuseppe Conte, secondo affidabili sondaggi, riscuote il gradimento di gran parte degli italiani. La sua figura distinta, il suo linguaggio fuori dai canoni soliti del politichese sono l’espressione migliore di quella teoria qualunquistica che proprio il M5S ha tra i suoi principi fondanti, né di destra né di sinistra, figlia di una sottocultura politica che purtroppo ha fatto proseliti in tutti gli strati sociali e le cui responsabilità sono anche da attribuire a una sinistra che ha tradito i suoi principi fondamentali, allontanandosi sempre più da settori operai e categorie non protette, per inseguire teorie folli che hanno distrutto quanto conquistato a fatica in decenni di lotta con la complicità di organizzazioni sindacali asservite al potere di turno. Né di destra né di sinistra, una cultura da amministrazione di condominio, senza prospettiva alcuna del futuro, una visione egoistica, chiusa nei propri confini tra mura di ogni tipo, odio e sospetto del diverso, contro una visione della condivisione, dell’apertura, dell’accoglienza. Una teoria, questa dei pentastellati, che rispecchia parte degli italiani in verità delusa anche dai partiti svuotati di ogni ideologia.
Non è dato sapere se questo ennesimo governo avrà durata per l’intera legislatura o se il Salvini di turno manderà all’aria il tutto. Le parole, le dichiarazioni, ormai non hanno più alcuna credibilità. Un Renzi che in Senato e non al bar ha affermato che non avrebbe fatto parte del governo, né lui né alcuno dei suoi, nei fatti sa tanto di una strategia cambiata all’ultimo momento e della quale non c’è assolutamente da fidarsi. I Renzi, infatti, come i Salvini, sono mine vaganti e autentiche espressioni di una politica non solo scadente ma anche pericolosa per il presente e il futuro di questa nostra amata e sventurata Italia.