You are all fake, siete tutti falsi: con queste parole ci ha lasciato lo scorso 23 luglio Oksana Shachko, una delle fondatrici del movimento Femen, nato in Ucraina nel 2008. La giovane è morta suicida a trentun anni, in un appartamento poco fuori Parigi, città che dal 2012 l’aveva accolta come rifugiata politica quando dopo alcune proteste dirette a Capi di Stato esteri, uno su tutti Putin, la sua incolumità e quella di altre esponenti del movimento erano risultate sempre più a rischio. Delusa dalla piega che questo stava prendendo, dal 2014 Oksana aveva abbandonato Femen per dedicarsi pienamente alla carriera artistica da pittrice, attraverso cui aveva continuato a lanciare messaggi di denuncia: dall’Est Europa come in Italia, nella fattispecie con azioni nei confronti di Silvio Berlusconi, così nei Paesi in cui i precetti musulmani sono applicati con più rigidità, non vi è stata un’ingiustizia nei confronti del genere femminile che negli ultimi dieci anni non sia stata sollevata da questa giovane donna.
Femen, che per molti è tuttora soltanto esibizionismo mediatico, è nato sulla scia della Rivoluzione arancione che investì l’Ucraina nel 2004, segnando passi in avanti verso il processo di democratizzazione del Paese, partendo dalla concreta esigenza di scardinare la condizione di subalternità a cui era relegata la donna e nel contempo cercare di cambiare l’immaginario collettivo che dall’estero vedeva – e vede – l’Ucraina come il bordello d’Europa, secondo il cliché della donna dell’Est remissiva e accondiscendente perché figlia della cultura patriarcale sovietica. In questo clima di cambiamento, quindi, si è sviluppato il femminismo “d’impatto”, caratterizzato da proteste a corpo nudo, scendendo in piazza accompagnate da fiori, nastri e colori, per celebrare anche nella lotta la femminilità, stabilito il presupposto che sia sbagliato considerare un seno nudo in una protesta come uno scandalo e un corpo femminile presentato come un oggetto, per esempio su un pannello pubblicitario, come normale. Nel suo piccolo, dunque, Oksana si era fatta carico di questa lenta rivoluzione culturale, nel modo che, forse, per scuotere i Paesi dell’ex Unione Sovietica, è risultato essere il più efficace.
Oggi, senza entrare nel merito del suo gesto, viene da pensare che spesso chi combatte è molto più solo di quel che si pensi, agendo portando avanti un dolore collettivo, un peso non facile da reggere, da cui si può rimanere schiacciati. Viene naturale riflettere, in parallelo, sull’attuale situazione del femminismo in Italia: nipote delle prime donne al voto e figlia di chi ha protestato per il referendum sul divorzio ed è sceso in piazza per la depenalizzazione dell’aborto, alla generazione italiana coetanea della Shachko è affidata la difficile eredità di difendere e affermare sempre più i diritti guadagnati in passato, compito non da meno delle precedenti battaglie.
Oggi bisogna orientarsi verso il concetto che tutti possono e devono essere femministi. Perché è necessario combattere giornalmente contro il sessismo e la disparità di genere che caratterizza la nostra società più di tante altre in Europa; perché è necessario informarsi, leggere quotidianamente, formare un proprio senso critico indipendente dalla cultura mediatica di massa che ultimamente pone quasi esclusivamente dietro il femminicidio tutti i problemi dell’attuale questione femminile.
Partendo proprio da questo manifesto di intenti è nato, il 2 giugno 2016, in occasione del settantesimo anniversario delle prime elezioni italiane a suffragio universale, il progetto Senza Rossetto, podcast letterario di approfondimento femminista curato da due giovani diplomate alla Scuola Holden di Torino, Giulia Cuter e Giulia Perona. Il nome – Senza Rossetto – viene dall’invito rivolto alle donne in procinto di votare per la prima volta a non truccarsi per andare ai seggi, perché tracce di cipria, rossetto o mascara avrebbero potuto sporcare e far annullare la scheda elettorale, il che suona quasi come un’ennesima imposizione maschile anche in quel giorno che segnava un cambiamento epocale per l’autonomia femminile.
Prodotto dal network Querty, Senza Rossetto è articolato in tre stagioni, di cui ogni puntata consiste nel podcast di un racconto tematico di una scrittrice italiana, letto dalla stessa autrice, a cui dalla seconda stagione vengono affiancate delle newsletter con approfondimenti e consigli di lettura, nell’attesa tra una puntata e l’altra. La prima serie, partendo dal primo voto femminile, è incentrata sul passato, raccontando di figure note o meno che hanno contribuito al cambiamento sociale, politico e culturale dal dopoguerra in poi. La seconda, uscita nel 2017, si concentra sul presente partendo da espressioni comuni cariche di sessismo a cui una donna è soggetta quotidianamente, trattando con la giusta ironia e leggerezza temi come le differenze salariali, le pressioni sociali nei confronti della maternità, il continuo dover rimediare al naturale decadimento fisico, il doversi comportare in maniera adeguata a una donna, il mansplaining. La terza e ultima per ora, conclusasi lo scorso 27 luglio, realizzata anche grazie a una campagna crowdfunding su Paypal e Patreon, abbraccia temi legati all’educazione delle nuove generazioni, ai futuri femministi e femministe, partendo dalla partecipazione straordinaria della scrittrice e autrice Bianca Pitzorno, che apre la prima delle cinque puntate.
Oltre alle scrittrici, con il contributo di altrettante illustratrici e quello di musicisti che hanno realizzato musiche diverse per ogni puntata, pur essendo completamente autofinanziato e sostenuto da donazioni spontanee, il format è cresciuto notevolmente dalla prima stagione e sta riscuotendo il meritato successo. Nonostante la newsletter sia sospesa fino al 7 settembre è possibile iscrivervisi, anche perché dopo le ferie Senza Rossetto tornerà a dare il proprio punto di vista sulla società italiana e globale: senza trucco, libero, vero.
Non siamo tutti falsi, non è possibile esserlo senza rossetto.