Durante le ultime settimane, l’emergenza COVID ha preso pieghe sempre più dure. La gestione della pandemia – che richiede sforzi e buonsenso da parte del governo e dei cittadini – si è trasformata in una rincorsa all’immunità, non tanto dal virus, quanto dalle colpe. È ormai consuetudine, infatti, che la politica accusi le persone di gravi irresponsabilità e che la popolazione imputi alle istituzioni l’aver compiuto le scelte sbagliate, trasformando la lotta alla sopravvivenza in una sorta di caccia alle streghe.
L’ultima polemica è scoppiata in occasione delle prime riaperture del 13 dicembre ed è divampata col varo del Decreto Natale. A partire dal penultimo weekend prima delle festività, l’Italia è tornata a essere uno stivale macchiato di giallo e arancione e, in seguito a questa comunicazione, in alcune regioni anche ristoranti e negozi hanno riaperto i battenti. La decisione, probabilmente presa per dare una spinta ai piccoli imprenditori in difficoltà, ha inevitabilmente comportato un aumento degli assembramenti e di folle riversatesi nelle strade delle grandi città per lo shopping. A questo punto, una catena di indignazione e colpevolizzazione si è levata da un lato all’altro del Paese, mentre i media riportavano le immagini dei centri cittadini presi d’assalto e gli spettatori esprimevano il proprio sdegno tanto nei confronti di qualunque scellerato osava assembrarsi, tanto verso l’ipocrisia del governo che già guardava al mancato buonsenso degli italiani come la causa di tutti i mali.
Non è la prima volta – c’è da dirlo – che la politica incolpa i cittadini delle conseguenze di sue scelte. Se è certamente vero che è difficile stabilire quali possano essere le decisioni migliori da prendere in contrasto all’emergenza coronavirus, è indubbio che riversare la colpa dei propri fallimenti sul mancato giudizio della gente comune appare come un modo per rinnegare le proprie responsabilità. Anzi, a voler esaminare a fondo la comunicazione delle forze partitiche degli ultimi nove mesi, il modo in cui si sono rivolte all’Italia è quantomeno discutibile. Alternando toni paternalistici a esagerate rassicurazioni, le scelte comunicative del nostro governo hanno spesso lasciato a desiderare, minando la fiducia delle persone nei confronti delle scelte delle autorità. E, probabilmente, è proprio questo il danno più grave.
Durante una crisi di tale portata – una crisi che non eravamo preparati ad affrontare e che non ci aspettavamo in alcun modo – sono tante le scelte difficili che uno Stato deve affrontare. È, dunque, probabile che tutte le decisioni necessarie, in qualche modo, danneggino qualcuno ed è pertanto facile ipotizzare di alimentare il malcontento di una popolazione frustrata a cui verranno sottratte socialità e stabilità. Ecco perché instaurare un rapporto di fiducia con le persone diventa fondamentale, non solo per il benessere del singolo ma per quello della collettività.
L’essere umano, si sa, è un animale piuttosto egoista. A parte sporadici casi di eroico altruismo, se fare del bene al prossimo significa rischiare di danneggiare se stesso, è possibile che l’individuo scelga di tutelarsi. Non si tratta di una disdicevole caratteristica da condannare, ma di semplice istinto di sopravvivenza, salvaguardare i propri interessi nel breve termine. Le scelte di un governo, al contrario, hanno il dovere di puntare al benessere generale, a fare meno danni possibili alla comunità, pensando anche al futuro. Le disposizioni che danneggiano i singoli oggi – come impedire le attività commerciali – possono avere risvolti positivi domani, evitando l’impennata della curva pandemica e ripartendo al più presto con l’attività produttiva. Se, però, la comunicazione di queste manovre non risulta esemplare, se non è convincente, è improbabile che essa possa essere accolta dai cittadini che si vedono lesi.
Ovviamente, la ricerca di questo complicato equilibrio non deve giustificare i passi falsi e le insensatezze che potevano essere evitati. I vertici del nostro Parlamento hanno compiuto errori politici e d’immagine, errori relativi alla comunicazione e probabilmente anche errori strategici, sebbene solo il tempo rivelerà questi ultimi, mostrandone le conseguenze. Ma, se qualche sbaglio, e il relativo malcontento, sembra inevitabile, non vale lo stesso per la sfiducia.
Le reazioni viste anche in queste ultime ore in Campania altro non fanno che confermare quanto la fiducia dei cittadini nei confronti della autorità stia evidentemente calando. Risulta, quindi, difficile accettare decisioni più restrittive del governo se si inizia a credere che quest’ultimo possa agire in malafede. Un qualunque sacrificio potrebbe essere chiesto alle persone, e accettato dalle stesse, con le giuste – e sincere – argomentazioni. Invece, la tendenza di partiti e politici sembra quella di rivolgersi al popolo come a dei bambini da tenere a bada, da sgridare se non in grado di comprenderne le motivazioni.
Di simili conseguenze abbiamo già avuto prova con le polemiche nei confronti delle mascherine, alle quali fin troppe persone si ribellavano perché non ne comprendevano la necessità data la contraddittorietà delle direttive. Ed è, purtroppo, ciò che accade oggi con il Decreto Natale e le restrizioni previste per i prossimi giorni di festa. Se le argomentazioni utilizzate finora erano state sacrifichiamoci adesso per salvare il Natale, è inevitabile che ci si chieda per cosa si sia rinunciato alla socialità e che un ulteriore sacrificio non trovi alcuna valida giustificazione nel sentire comune.
Ciò che questo tipo di atteggiamento suggerisce è quanto consapevolmente si sia mentito sulla durata della pandemia al fine di tenere a bada i cittadini anziché rivolgersi a loro con chiarezza, così come si continua a mentire sul presunto ritorno alla normalità che ci aspetta in seguito alla somministrazione del vaccino su larga scala. È sulla base di questa analisi che l’appello ai singoli diventa ridicolo. Non è la mancanza di buonsenso a minare la fiducia delle persone nei confronti delle decisioni autorevoli. Se il semplice buonsenso bastasse, non avremmo bisogno di leggi, perché la legge morale agirebbe per conto di quella dello Stato. E le leggi funzionano quando il popolo è in grado di comprenderne l’efficacia e la sensatezza. L’imposizione e le dovute conseguenze in caso di trasgressione, invece, sono necessarie, ma non bastano, non da sole. Serve trattare i cittadini come esseri pensanti.
Non si deve lasciare al buonsenso della popolazione la responsabilità di razionalizzare i problemi e comprendere la necessità di una legge, ma è il governo a dover ispirare fiducia e spiegarle con onestà cosa la aspetta. Ogni scelta, anche la più dura, può essere legittimata solo se opportunamente argomentata e sostenuta, soprattutto in questo periodo in cui non esiste decisione che non produca malcontento. Eppure sembra che le scelte comunicative – e speriamo non quelle strategiche – non guardino più in là delle due settimane successive. Come si può, allora, fidarsi di un governo che si contraddice da solo?