Era la prima sera del mio primo viaggio negli Stati Uniti. Mi accingevo a lasciare l’albergo quando fui fermato dall’addetto alla reception che mi indicò l’uscita in Union Square, la piazza centrale di San Francisco, luogo dello shopping, degli hotel più lussuosi e dei teatri, sconsigliandomi di utilizzare l’altra porta: «A bad sight for tourists… and also for ourselves». Un brutta visione per i turisti e anche per noi. Guardai fuori per curiosità: una distesa di clochard sulle grate dalle quali uscivano nuvole di fumo degli impianti di riscaldamento, decine di senza fissa dimora che aspettavano, come ogni sera, la chiusura degli eleganti negozi per occupare un posto dove trascorrere la notte tra cartoni, coperte e oggetti vari. Da una porta all’altra, da un mondo a un altro, una normalità sconvolgente cui ci si è ormai abituati nelle grandi metropoli.
In California, stato simbolo del sogno americano, vive il 50% dei senzatetto statunitensi che un’indagine condotta dal governo locale nel 2013 quantifica in oltre 600mila persone, formando una triste classifica che vede la città di New York in prima posizione seguita da Los Angeles, Seattle, San José/Santa Clara, San Diego e San Francisco. Dati cresciuti sensibilmente in tempi più recenti, in particolare a seguito della crisi pandemica.
Numeri che in dieci anni sono quadruplicati in Italia, da 125mila a 500mila, una crescita esponenziale secondo l’ISTAT che ha effettuato la rilevazione lo scorso anno. Numeri ovviamente arrotondati per difetto perché è difficile fare una mappatura alquanto verosimile. I dati relativi al nostro Paese, infatti, sono inattendibili, ricavati per lo più da statistiche raccolte dalle singole associazioni di volontariato che operano nel settore. Diversa la situazione in Germania, dove si è ricorsi invece all’approvazione di un’apposita legge per avere un rapporto sui senzatetto il più reale possibile.
Quelli che vorremmo invisibili nelle nostre città sono, dunque, più che visibili alla rete di solidarietà da parte di organizzazioni come la Caritas o la Comunità di Sant’Egidio e le tante altre che assicurano almeno un piatto caldo al giorno a chi ne ha bisogno, oltre ai tanti – in particolare in questi ultimi due anni – in continuo aumento che, pur vivendo in abitazioni o altri alloggi di fortuna, sono comunque costretti a ricorrere alle mense della carità.
Molteplici le iniziative non per cercare soluzioni – certamente non facili data l’eterogeneità motivazionale di un mondo mai sufficientemente o per niente attenzionato dalle istituzioni – ma piccoli interventi semplicemente per evitare a bad sight for tourists… and also for ourselves, per evitare lo spettacolo sgradevole ai turisti e ai benpensanti, ricorrendo a spostamenti strategici che il più delle volte durano al massimo una settimana o il tempo di un controllo meno serrato da parte delle polizie municipali.
Dalle panchine progettate o modificate sul modello anti-clochard alle decine di minuscole piantine poste in successione per evitare giacigli diurni e notturni, come accaduto di recente a Napoli a opera della nuova Amministrazione, in occasione di uno sgombero-spettacolo con tanto di telecamere e giornalisti al seguito. Interventi necessari se successivi a un’attenta analisi dei soggetti e alla collocazione di ciascuno in struttura dignitosa con l’intervento di operatori sociali per i più restii a dimore al coperto. Un lavoro indispensabile prima di qualsiasi operazione che il più delle volte vede gettar via coperte e cartoni, magari al tramonto, senza porsi il problema sul come difendere dal freddo donne e uomini malconci, ma preoccupandosi di intimare ai volontari di non distribuire pasti. Una follia istituzionale che non risolve il problema alla base, in mancanza di politiche concertate con i vari settori interessati alla tutela dei più deboli, ma utili soltanto a ignobili colpi di scena.
Un tema, quello dei senzatetto, dei senza fissa dimora, che i grandi numeri indicano in circa 100 milioni di persone nel mondo, ciascuno con una storia a sé: perdita del lavoro, malattie, disturbi mentali, abbandoni da parte delle famiglie, sofferenze che spesso provocano dipendenze da alcol, droghe e quant’altro necessario per isolarsi dal presente e dimenticare il passato. Drammi umani consumati per strada, vite spezzate o mai vissute, nell’indifferenza generale, nell’unico interesse di rendere quei brutti spettacoli il più invisibili possibile, fuori dal nostro cono ottico e lontani dalle nostre coscienze.
Sarà mai possibile sostituire alle politiche delle panchine anti-clochard, dei gettiti di acqua abbondante anti-giacigli, delle file di decine di metri di piantine da sostituire alle coperte contro il gelo delle notti d’inverno, politiche sociali frutto di serie progettazioni, di riflessioni finalizzate a dare risposte concrete a un mondo i cui numeri saranno sempre in aumento, destinando risorse adeguate che, siamo certi, ci sono e ci saranno se si utilizzano gli stessi criteri di individuazione, magari anche con un bel voto unanime del Parlamento come fatto di recente, per assicurare strumenti di morte ingrassando ancora una volta il mercato sempre attivo delle armi?
Non siamo anche qui in presenza di un mondo che occorre difendere, aiutare dall’aggressione sconsiderata e cinica di quell’indifferenza istituzionale che ritiene merce di scarto chi necessita di dormire su un marciapiedi avvolto nella sua coperta forse proprio perché disoccupato, senza casa, senza sostentamento? Qualcuno sarà pur responsabile di quella condizione che tanto disturba?
Non è forse anche questa una guerra, quella dei 500mila nel nostro Paese che in silenzio subiscono una condizione vergognosa che, se non fosse per un contenuto numero presente nelle vie dello shopping, sarebbero del tutto invisibili a istituzioni e cittadini senza reclamare alcun diritto, sempre disposti a ringraziare con un sorriso quanti si prodigano per aiutarli?
Sconfiggere la povertà non è un atto di carità, è un atto di giustizia, sosteneva Nelson Mandela. Perché è di questo che si tratta, e quella alle povertà vecchie e nuove è l’unica guerra giusta da combattere, l’unica da sostenere con tutte le risorse possibili perché giustizia sia fatta.
Non chiamateli clochard, barboni, senzatetto. Chiamateli poveri, vittime dell’ingiustizia.