Nisida è un’isola e nessuno lo sa. Così cantava il bravo Edoardo Bennato a metà degli anni Ottanta del secolo passato. Un ritmo reggae suggeriva al pubblico:
No no no no, quando arriva l’estate,
no no no no, non lasciatevi suggestionare
dai cataloghi che vi parlano di isole incantate
e di sirene in offerta speciale
e, più avanti, la decisiva conferma:
Coi suoi giardini e il porto naturale
con l’Italsider alle spalle che la sta a guardare
Nisida sembra un’isola inventata
ma mio padre mi assicura che c’è sempre stata!
Quando feci il colloquio di entrata, S. aveva lo sguardo basso, rispondeva a monosillabi e mi dava sempre ragione. Capii che comunicare con lui non sarebbe stato facile, specialmente per un educatore novellino come me, da qualche mese arrivato al lavoro – alla metà degli anni Novanta – presso una comunità di accoglienza per minori a rischio che si trovava non molto distante dal carcere minorile che sta in cima all’isolotto di Nisida.
S. era un ragazzo rom e proveniva da una comunità originaria di una regione dei Balcani. Non era molto alto per i suoi sedici anni, ma aveva una corporatura massiccia. Era stato preso dopo un furto e affidato per qualche mese alla comunità, come misura alternativa al carcere.
Nei primi giorni di permanenza, il ragazzo si teneva sempre in disparte, senza legare con gli altri vivaci ospiti della struttura. Si massaggiava spesso la gamba destra, dove aveva i segni di un’operazione chirurgica, ma non si lamentava più di tanto. Un pomeriggio, portammo i ragazzi al campetto di calcio e S. si sistemò ai bordi del campo. Arbitravo io l’amichevole partitella così lo invitai a fare il guardalinee, ma lui mi rispose toccandosi l’arto inferiore con la mano.
Qualche mattina dopo, durante una riunione con i ragazzi, chiesi a ognuno di loro quale fosse il mestiere che avrebbe voluto fare da adulto. Arrivò il turno di S. In tono pacato, disse che gli sarebbe piaciuto diventare muratore. Un giovane di una zona della periferia di Napoli, sempre pronto alla battuta, aggiunse che S. voleva costruire le case per poi andarle a svuotare. Risero tutti e io stavo per riprendere lo spiritoso della compagnia, ma vidi, per la prima volta, che il ragazzo rom rideva e allora lasciai perdere.
Venne finalmente la domenica e alcuni genitori ebbero il permesso di venire a trovare i minori ospiti della struttura di accoglienza. A bordo di una vecchia e rumorosa Mercedes, arrivarono anche il padre e la madre di S., un fratello più grande e la sorella, un’incantevole bambina di sei anni che sorrise subito alla sua vista, mostrando un dente d’oro. Per tutto il tempo della visita, il ragazzo fu contento e mi presentò ai suoi familiari, parlando nella sua lingua d’origine e, ogni tanto, traducendo in italiano per me.
Qualche mattina dopo, appena arrivato in comunità, seppi che S. era stato accompagnato all’ospedale perché aveva accusato forti dolori alla gamba durante la notte. In accordo con gli altri operatori, organizzai il mio lavoro in struttura in maniera tale da andare a trovare più tardi lo sfortunato ragazzo. Alle cinque del pomeriggio, invece, arrivò la notizia che il minore era scappato dall’ospedale. Fui preso dallo sconforto, pensai di aver sbagliato qualcosa. Un esperto e più maturo collega, però, mi rincuorò, dicendomi che con i ragazzi nomadi accadeva spesso che si allontanassero alla prima occasione.
Continuai il mio impegno alla comunità e di S. non seppi più niente. Furono tante e straordinarie, comunque, le esperienze di vita e di lavoro che feci a Nisida, riuscendo a cambiare in meglio, forse, assieme ai miei compagni, il destino di alcune adolescenti esistenze. Di sicuro, dopo quell’intensa e coinvolgente esperienza umana ancor più che professionale, cambiai io, e per sempre.
Venite tutti a Nisida, ya ya ya ya ya Nisida
ya ya ya ya ya Nisida è un’isola e nessuno lo sa!
Non è un problema ecologico per carità
Nisida è un classico esempio di stupidità!
Così cantava Bennato, verso il finale del suo storico brano intorno alla bellissima isola che un giorno era stata destinata, chissà perché, ad accogliere e separare dalla città la rabbia, il dolore e le storie di tanti giovani cittadini invisibili. Ancora oggi, quando mi chiedono di raccontare dei fatti e delle esperienze vissute a Nisida, alla fine della narrazione dico sempre che su quell’isolotto è rimasto un pezzo del mio cuore, ma non so bene dove. E non lo voglio sapere.
A me non è sufficientemente chiaro in cosa consiste l’ Esempio di stupidità