In una ricerca pubblicata su Scientific Report, 40 soggetti di tendenze liberali sono stati esaminati tramite risonanza magnetica cerebrale mentre venivano sottoposti ad argomenti in contrasto con le loro convinzioni. Se erano idee politiche ad essere contestate, si innescava un sistema chiamato network di default, una rete neurale implicata nella rappresentazione di sé, che si attiva automaticamente quando ci distacchiamo dalla realtà esterna spostando l’attenzione sul nostro mondo interiore.
Si tratta di un estratto dell’articolo In difesa delle proprie idee politiche, scritto dalla docente e divulgatrice Silvia Kuna Ballero per il periodico Mente e cervello, giornale di approfondimento di psicologia e neurobiologia. Il tema del brano è la narrazione di cosa avviene nel nostro encefalo nel momento in cui siamo chiamati a difendere le nostre opinioni. Sapientemente, l’autrice pone in relazione i rapporti che vi sono fra l’attacco, rivolto a una o più delle nostre credenze, e la difesa della nostra identità. Il motivo per il quale, spesso, ci stringiamo fortemente attorno ai nostri valori e alle nostre costruzioni di senso è che attraverso questi stiamo dando vita a un nostro discorso su noi stessi e sul mondo che ci circonda. Parallelamente, la decostruzione o la “messa in discussione”, che sono proprie del confronto/scontro con l’Altro, ci pongono in uno stato di incertezza nei confronti della nostra persona.
Gli individui meno propensi a cambiare idea hanno inoltre mostrato una maggiore attività nell’amigdala e nella corteccia insulare, strutture cruciali per gestire alcune emozioni negative come l’ansia o il senso di minaccia.
Di per sé, l’idea che il nostro encefalo provveda alla gestione dell’impatto negativo, in casi di diatriba su quegli argomenti che sono costitutivi per il nostro universo privato, non ci appare particolarmente stupefacente. Eppure tutto ciò si è rivelato estremamente utile per comprendere i motivi che spingono le persone a fissarsi in modo irragionevole su determinate posizioni, senza concedersi la possibilità di essere accomodanti o elastiche. La politica in particolare, si sa, ha la fama di essere uno degli argomenti più ispidi e litigiosi. Sarebbe ingenuo non ammettere che il termine “politico”, in realtà, si interfaccia costantemente con argomenti di ordine sociale, giuridico, civile e bioetico. Insomma, tutto ciò che racconta chi siamo e in cosa crediamo. Per tal motivo, non ci sorprende se quei quaranta soggetti monitorati hanno risposto in automatico, attraverso un meccanismo di tutela.
Il nostro corpo, quindi, ci isola dagli stimoli esterni perché li avverte come una minaccia. Perché li ritiene pericolosi per il nostro ecosistema interiore. Per quanto ci piaccia considerarci come persone aperte e disponibili nei confronti degli input altrui, è necessario prendere consapevolezza di quanto questo richieda una considerevole dose di coraggio e la ponderata accettazione di un rischio.
D’altro canto, sebbene sia necessario porsi dei punti fermi nella vita, sarebbe il caso di ricordarsi che, anche qualora volessimo cambiare idea su qualcosa, la nostra soggettività non cadrebbe in un tunnel senza possibilità di uscita. Attraverso la pratica dell’incontro con l’alterità è possibile corroborare, accrescere e fortificare le nostri tesi sulla vita, l’universo e tutto quanto. In questo terreno ambiguo, che ci porta a volerci proteggere e ad avere, contemporaneamente, il bisogno di rapportarci e di comunicare con il diverso, ancora una volta il cervello può dirci qualcosa in più su noi stessi. Conoscere le nostre dinamiche interiori, di fatto, non comporta un automatico cambiamento, ma facilita una riflessione sull’uomo in grado di difenderci e di scendere a patti con la nostra natura. Il punto di forza indiscusso della neurobiologia è, senza dubbio, l’autenticità con la quale ci rivolgiamo a noi stessi. Certamente, anche in questo caso “sapere” e “potere” sono due volti della stessa medaglia.