Sarà l’informazione martellante di questi giorni sulla morte della regina, che ha monopolizzato, oltre misura, televisioni e carta stampata, a rendere l’aria cupa, già pesante, di una campagna elettorale in dirittura d’arrivo. Punte di nervosismo che danno alla testa di alcuni esponenti politici, con visioni di presunti possibili attacchi terroristici di cui la Ministra dell’Interno sembra non avere notizia dagli organismi di intelligence.
In particolare, ad aver raggiunto alti livelli di agitazione, seppur comprensibili per la forte emozione di una vittoria annunciata dai maggiori istituti di sondaggi, sono la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni e l’ex Ministro di Forza Italia, già parlamentare di Alleanza Nazionale, Ignazio Benito Maria La Russa, che sui social se l’è presa finanche con l’imprenditrice e influencer Chiara Ferragni, colpevole di essersi espressa polemicamente sul diritto all’aborto. Al contrario, la possibile futura Presidente del Consiglio, dopo alcune incaute uscite, sta cercando di ammorbidire i toni, assicurando il mondo femminile che la Legge 194 non sarà né abolita né modificata. Pura tattica elettorale.
Tensione anche per il Segretario della Lega che questa volta sembra giocarsi l’ultima carta con la sua armata di Pontida, tornata nel recente incontro a ricordargli i punti cardine del movimento e di fronte alla quale Matteo Salvini ha replicato il gesto plateale di Silvio Berlusconi del contratto sottoscritto pubblicamente. Con la differenza che quello dell’ex Cavaliere alla presenza del fidato Vespa, seppur disatteso, è entrato a far parte della memoria perduta di buona parte degli italiani, mentre il contratto firmato dal leghista non credo vada in quel senso in quanto, grazie alla complicità di esponenti della sinistra di nome, l’autonomia differenziata – uno dei punti chiave per le regioni del Nord – appare già come realtà piuttosto concreta.
E il sempre verde ex Cavaliere? L’unico nella coalizione di destra a non apparire nervoso, in ottima forma, non più bisognevole di ricoveri settimanali al San Raffaele, gioca su TikTok e si rivolge direttamente alle donne: «Sono più bello di Letta e per tutta la vita sono andato a caccia del vostro amore». Un invito a farsi votare, nel suo stile, quello che ancora affascina alcuni italiani ma che certamente preoccupa gli altri maggiori leader della coalizione, relativamente ai rapporti con l’Europa e in particolare con Orbán – «Noi fuori dal governo se antieuropeista». Ancora una volta, anche con i consensi prevedibilmente in discesa, Silvio Berlusconi farà valere il suo peso e le eventuali contropartite che abilmente ha sempre preteso e ottenuto.
Crisi di nervi anche nel terzo polo con un Calenda che non demorde e insegue super Mario, il quale – almeno per ora – afferma di non essere interessato e non intende prestare (ufficialmente) il fianco a chi spera di trarne vantaggio spendendo il suo nome per un possibile futuro reincarico. L’altro leader del polo, Matteo Renzi, invece, certo di percentuali a due cifre, cavalca quello che appare argomento trainante della campagna elettorale, il reddito di cittadinanza. Mica l’evasione fiscale, la lotta alle mafie o l’utilizzo di jet privati proprio da parte del senatore che contrasta chi non ha alcun reddito anziché lo sperpero di migliaia di euro per pochi minuti di volo da Napoli a Lugano. Uno scontro aperto con il mansueto avvocato del popolo – che va per la sua strada cercando di recuperare i consensi perduti dall’ex capo politico del MoVimento, oggi sotto l’ombrello del PD – che ha evidenziato la ben nota arroganza di quello che abbiamo più volte definito la mina vagante della democrazia. Comunque andrà per il duo Calenda-Renzi, certo sarà il peso che vorrà far contare dall’una o dall’altra parte: difficilmente resterà alla finestra.
Non va tanto diversamente in quella che comunemente viene definita sinistra con Enrico Letta che, da navigato democristiano, non mostra apparente nervosismo ma continua incessantemente a fare appello al voto utile dichiarandosi unico baluardo al pericolo dell’affermazione dei postfascisti, vola a Berlino per incassare l’endorsement della Spd e mette in guardia gli elettori sui pericoli dei rapporti con l’Europa in un’eventuale vittoria del centrodestra. Una corsa contro il tempo per arginare la possibile sconfitta a causa degli innumerevoli errori e delle scelte avventate della sua gestione. La candidatura di Pierferdinando Casini, gli apparentamenti con la nuova formazione di Luigi Di Maio, le avventate affermazioni sui partiti della sinistra in coalizione hanno evidenziato quella tensione di fondo che in tutti i modi cerca di nascondere.
Agitazione e nervosismo evidenti in alcuni, celati in altri, forse preoccupati che i sondaggi non sempre rispettano l’effettiva volontà degli elettori influenzabili dalle battute e dalle schermaglie nei pochi giorni che precedono l’apertura delle urne. E di materiale a disposizione ce n’è davvero tanto.
Giornate frenetiche, poi, anche quelle dei candidati della neonata formazione di sinistra Unione Popolare, da Nord a Sud passando per il Centro, incassando l’appoggio della sinistra francese e spagnola, con la presenza dei leader Mélenchon e Iglesias. Una marea di volontari e un lavoro certosino di comunicazione continua e martellante sui social e nelle strade di città e piccoli paesi dello Stivale. Del raggiungimento dell’obiettivo del 3% è convinto il portavoce Luigi de Magistris che mostra il suo abituale ottimismo mostrando il programma di pochi ma fondamentali punti.
Pochi giorni ancora nella speranza che questa competizione elettorale esprima un Parlamento un poco più credibile e all’altezza delle grandi sfide e dei problemi che attendono soluzioni immediate non più procrastinabili, nonché la necessità di istituire al più presto un tavolo per i negoziati di pace, prima che sia irrimediabilmente troppo tardi.