Il narcisismo abita i nostri amori e tutte le relazioni. Può essere fragile o contundente. Vittorio Lingiardi, psichiatra e psicoanalista, nel suo Arcipelago N (Einaudi) è il comandante di una rotta speciale attraverso le Variazioni sul narcisismo. Possiamo partire da qui, tra gli scogli dell’autostima, seguendo lo scrittore in un tragitto funambolico, in una lettura che è anche introspezione, perché a poco a poco essa insiste a sfogliare la pelle di Narciso, protagonista di una narrazione mitica che si fa discesa nell’esplorazione della personalità.
Ma il narcisismo è prima di tutto uno stile di relazione, una modalità di stare con gli altri, di comunicare, di non comunicare. Mezzo istantaneo di un’inevitabile comunicazione di sé è la pelle. Herbert Rosenfeld, psicoanalista inglese della seconda metà del secolo scorso, distingue i narcisisti a pelle spessa da quelli a pelle sottile. Entrambi condividono l’incapacità di equilibrare il significato del proprio valore con il suo riconoscimento nell’altro, ma questo fallimento si manifesta in modi opposti. Lingiardi li chiama, invece, narcisismo fragile e arrogante, ma prima di tutto specifica un narcisismo sano: è la collaborazione costruttiva fra lo sguardo degli altri e l’auto-osservazione. Un amor proprio senza presunzione, la capacità di provare gratitudine.
Nella serena valorizzazione di sé, senza avvertire la necessità di interferire con quella degli altri, il Narciso sano è alla luce di queste variazioni e, se c’è una luce, vi è anche un’ombra e il bisogno di nascondersi o brillare in essa. Il Narciso fragile ha la pelle sottile, è estremamente sensibile alle critiche, timido e silenzioso, non si espone per paura di non essere all’altezza, di essere giudicato. Il Narciso arrogante è onnipotente, grandioso, dotato di una pelle spessa, di una corazza completamente autosufficiente; è perciò incapace di provare gratitudine, perché questo significherebbe ammettere una lacuna che gli si presenterebbe come dono della relazione con l’altro, ma, purtroppo, l’altro non trova alcuno spazio se non come superficie riflettente.
Le due tipologie narcisistiche si trovano nella difficoltà di stare bene nelle relazioni, di costruire legami, soprattutto perché la vicinanza scalfisce la struttura difensiva del Narciso. Di nuovo Rosenfield riflette sull’improvvisa vulnerabilità di alcuni pazienti quando avvertono la propria protezione narcisistica crollare sotto il peso di frustrazioni e umiliazioni. L’analista John Steiner descrive l’umiliazione come la bestia nera della personalità imbrigliata nelle dinamiche del narcisismo; da questa bestia alcuni si difendono nascondendosi per non essere visti, altri esibendosi per suscitare ammirazione.
Lingiardi, dal canto suo, si esprime sul concetto di vergogna, un sentimento di disagio che nasce dalla paura di essere ridicolizzati o mortificati dagli altri: in ogni narcisista grandioso si nasconde un bambino che si vergogna, in ogni narcisista depresso e autocritico si annidano le fantasie grandiose di un bimbo onnipotente. Le due declinazioni sono quindi fluttuazioni dell’autostima, che possono anche coesistere in un individuo, alternarsi in diverse occasioni ed entrare in gioco al tempo assegnato loro da una musica che gestisce il dramma del valore di sé. Infatti, se il legame con un altro individuo risulta così rischioso da essere evitato a tutti i costi, il legame tra le due facce del narcisismo è invece saldo e flessibile. La regola comune è rifuggire alla vicinanza con l’altro: se per il narcisista a pelle sottile la causa di questa lontananza è riscontrabile nel vissuto degli affetti negativi, per il narcisista a pelle spessa c’è il terrore profondo e sconosciuto di sperimentarli.
Narciso è prima di tutto un personaggio mitico che, nelle Metamorfosi di Ovidio, è “indirettamente” coinvolto in una comunicazione amorosa. Lo sforzo di un discorso d’amore della Ninfa Eco si scontra con l’impenetrabile scudo della pelle di Narciso, il quale non ne vuole sapere di aprirsi all’ascolto. Le sue parole, seppur impossibilitate a legarsi in frasi che non prevedano la ripetizione di quelle altrui a causa di punizione inferta dalla madre, si infrangono nel rifiuto e di lei, la ninfa fatta di voce, non restano che eco e ossa dissolte nella foresta. Eppure Eco è presente quando Narciso si consuma per essersi riconosciuto nello specchio d’acqua e per aver compreso di non poter mai possedere l’oggetto del desiderio trovato in fondo al riflesso. È presente e gli ripete addio, mentre anche Narciso brucia e il proprio corpo si riduce a petali narcotici, in una metamorfosi floreale del tutto unica.
Il narciso, infatti, non è un fiore qualsiasi, perché Narciso non è un individuo qualsiasi. Simbolo freudiano dell’inconscio e, secondo alcuni racconti di Virginia Woolf, fiore preferito da Freud, narciso è narcosi, il fiore del torpore (dal greco nárke, addormentamento). Per Gadda tutto questo non può che significare che Narciso è l’irrigidito in sé, l’intorpidito, il sonnolente […] quegli che non dà: che non si dà: che non si sdà.
Narciso non si sdà perché soffre di un blocco affettivo, di un’impossibile identificazione nell’altro; è fisso nella sua continua ricerca e conferma di identità che non si accorge, o non gli importa, del veleno sottile che sprigiona e che stordisce chiunque vi si indugi e vi si incanti. È la sua grazia a inebriare Eco, come se soltanto in quella grazia lei possa conoscersi. Questo è un paradosso perché Narciso, per sua natura di mito, è inconoscibile agli altri, ma anche a se stesso, vista la sua urgenza di difendere con le unghie un qualcosa che non può essere visto. Eco forse l’ha visto e, per questo, è stata immediatamente allontanata, rifiutata, abbandonata.
Questa che Narciso nasconde anche ai suoi stessi occhi, a costo della vita, che cosa può essere se non l’anima che, soffocata a denti stretti, cresce primitiva e incattivita perché rifiutata dal proprio corpo? Deve pizzicare molto e il Narciso deve averne estrema vergogna. L’anima è la nudità, è il femminile e, quando preme per salire fino in gola, è qui che Narciso la soffoca; è qui che distrugge l’amata, nel punto in cui ella incomincia a farsi specchio di quell’anima che va tenuta segreta, quel suo doloroso e fragile mondo interiore. Ecco che lo spazio per Eco si riduce, se mai ci sia stato spazio per l’alterità nel rapporto, in una dinamica relazionale in cui Narciso combatte contro di lei per una caccia all’anima, e in cui entrambi si fanno male perché entrambi hanno cercato di riconoscersi negli occhi dell’altro, risolvendo in modo opposto questa complicazione.
La ninfa nel mito ha subito una violenta punizione dalla madre, che le ha tolto la facoltà di una comunicazione fluida; nella psicologia la sua figura è stata spesso associata alla dipendenza affettiva derivata dalla relazione col partner narcisista, una dipendenza che, proprio come da sostanze, riduce all’osso chi ne viene brutalmente privata. La tormentata personalità di Eco, così come tutte le singole personalità che vanno a confluire nel mare dell’umanità, è necessariamente stata influenzata, nel suo sviluppo, da elementi biologici e contesto sociale, ma soprattutto familiare. Eco, quando incontra Narciso, si presenta come un vuoto che incontra un altro vuoto. Nell’incontro si attiva la memoria antica della mancanza provata in passato nella dimensione familiare, e si entra in contatto con un’altra solitudine che, però, da parte sua, nonostante le simili sofferenze prodotte da lesioni all’autostima, si chiude in se stessa e affila le unghie.
In una specie di analogia, la dimensione familiare del bambino Narciso ha fluttuato tra uno sguardo eccessivamente proiettato su di lui e uno sguardo eccessivamente distolto da parte del genitore, che comporta per il Narciso adulto, da un lato, uno specchiamento e raffinamento continuo nell’altro fino all’annullamento del sé – perché l’essere perfetto non esiste – e, dall’altro lato, una fuga da ogni più profonda considerazione. Questi si sente poco meritevole d’amore in un caso, esigente di trattamenti speciali e di superba attenzione dall’altro. Questo vuoto, quindi, è un punto di pericoloso contatto tra personalità, narcisistiche e non: è il vuoto d’amore che gioca con due tipi di sentimento, quello di Eco che si apre e si concede, e quello di Narciso che è incapace di ammettere questa mancanza. Sono due solitudini carnali, perché entrambe esistono in un corpo che divora la propria pelle per sopravvivere.
Eppure queste due personalità si cercano, avvertono una similitudine e subito dopo il collasso di un riconoscimento reciproco: Eco e Narciso, la dipendente e il controdipendente, una coppia destinata a non toccarsi mai (Lingiardi). E se fossimo costantemente alla ricerca di qualcosa di familiare? Narciso in sé così come Eco nell’amato? E in una relazione di due personalità narcisistiche cambia davvero così tanto l’epilogo? Esiste storia d’amore che non naufraghi in odissee narcisistiche? Due vuoti riusciranno mai a sfiorarsi in un dialogo d’amore che prescinda, almeno per un attimo, dall’invadente dimensione narcotica che da secoli sfugge a ogni analisi conoscitiva?
Oggi lo specchio non è solo quello mitico del bosco; oggi lo specchio si moltiplica in una dimensione tanto psichedelica quanto instabile, a causa di un’umanità sempre più connessa e sempre più esposta, critica e autocritica fino alla follia. Il narcisismo dunque rischia di sfociare, in maniera plateale e quotidiana, in narcisismo maligno, quello che non si ferma alla svalutazione dell’altro ma può continuare fino alla sua disumanizzazione, e quindi alla violenza. Succede quando una semplice sfumatura di personalità viene diagnosticata come disturbo e psicopatia. Soprattutto adesso, Eco ha necessità di non essere lasciata sola, di essere istruita a riconoscere la fase embrionale del maltrattamento da parte del suo partner manipolatore. Narciso difficilmente si riconoscerà in tempo. Se mai lo facesse, difficilmente andrà in psicoterapia accettando di non essere poi così unico. Ma Eco sì, lei può essere guidata a rafforzare l’intuito e a non aver paura di rimanere sola, di nuovo. Ma nell’oggi in cui il bonus per la salute mentale non viene approvato, si preferisce non vedere e quindi non sapere.
Nella lingua greca, specifica ancora Lingiardi, per dire io so si usa lo stesso verbo per dire io ho visto. Ed è proprio quello che succede a Narciso: si conosce tramite una visione rivelatrice. Direbbe Gaston Bachelard, filosofo della scienza e della poesia francese, che tutto ciò che fa vedere vede: l’acqua è l’occhio con cui l’umanità si guarda. Il mondo intero ha bisogno di essere visto e solo nel riflesso dell’acqua si ritrova bello, perché questa rimanda al fluire dell’esistenza. Narciso sente che la sua bellezza continua, che non si è completata, che occorre completarla: in questo surrealista gioco di immagini che riflettono costantemente altre immagini e altri significati, l’occhio dell’acqua, il grande occhio delle acque tranquille, guardava i fiori sbocciare.
Curvo su di esse, Narciso chiede di essere visto, lo esige, ne ha bisogno. La conosce finalmente, ed è ancora più bella e spaventosa di quanto potesse immaginare. Quel fiore sbocciato è la sua anima rivelata.