Napoli, un paziente sempre sotto osservazione, un caso unico in Italia. Medici ovunque, sul globo terracqueo – come direbbe la Presidente Meloni –, pronti a puntare il dito, a giudicare, a vomitare il peggio di cui sono capaci, in buona compagnia di quella stampa e di quelle emittenti televisive che hanno contribuito più di altre, nei recenti decenni, al degrado sociale, politico e culturale del nostro Paese e che ancora continuano a fare danni. Non può mancare il servizio pubblico, sorprendentemente impegnato a dedicare spazio al malato cronico ma sempre con un pensierino poetico da rimarcare in tutte le edizioni e una notizia completamente estranea a tanta bellezza. C’è voluto un prefetto per far capire a menti bacate ciò che anche un minimo di ragione poteva comprendere.
Napoli, un paziente sempre sotto esame costretto a dare spiegazioni, a giustificarsi di patologie inesistenti diagnosticate da quanti incapaci di coglierne identità e storia, cultura e tradizioni. Epiteti e frasi senza senso imbastiti in un mix di ignoranza, cafonaggine e arroganza che purtroppo sempre più stanno prendendo il sopravvento. Il supporto di un’informazione deviata perennemente a servizio di una politica che non ci stancheremo mai di definire becera e volgare e che purtroppo vive tuttora uno stato di grazia e di compiacimento.
Basta parlare di riscatto per uno scudetto conquistato senza imbrogli e corruzione alcuna. Basta discorsi dai toni paternalistici di chi ha sempre speculato su una parte importante del Mezzogiorno e oggi intende infiltrarsi in questo processo di riappropriazione per godere di benefici a cui altri hanno contribuito con onestà, caparbietà e spirito di sacrificio e di cui una disonestà intellettuale imperante fa fatica a dare atto, seppur appuntandosi medaglie al petto.
Il tricolore conquistato dalla squadra partenopea rappresenta un ulteriore elemento positivo per la comunità che da poco più di un decennio appare sempre più protesa a riconquistare e valorizzare quelle che da sempre sono le sue specificità, il suo valore di capitale del Mediterraneo, della cultura, dell’arte, un recupero della propria identità multiculturale e multietnica, di popolo aperto che non conosce chiusure o barriere di alcun genere.
Napoli, una città che più di altre fa registrare un incremento esponenziale di turismo, credibilità e immagine, un diverso approccio di quella parte d’Italia che viene spontaneo definire con la puzza sotto il naso sempre pronta a etichettare con vecchi stereotipi realtà sconosciute e caratteristiche di un popolo dalle quali ben altri rimasero stregati, da Goethe a Leopardi a Stendhal, cogliendone l’essenza e il clima culturale del tutto singolare.
La vivacità del mondo delle arti, della letteratura, della poesia, del teatro, del cinema e della televisione, che oggi più che mai pongono la città al centro di un interesse lontano dalla solita immagine pizza e mandolino, rendono Napoli capitale della cultura del Mediterraneo. Napoli che riprende con orgoglio la sua immagine originaria, quella che il potere politico ha a lungo soffocato e represso e che oggi ancora tenta con i suoi giochetti di appropriarsene ricattando prestigiose strutture teatrali e varando in poche ore normative al fine di estromettere chi non appartiene alla cerchia amica come nel caso del Real Teatro di San Carlo dopo aver negato ogni contributo economico.
Per una società che avanza un potere che arretra, che continua a ostacolare ogni forma di innovazione, di valorizzazione di un patrimonio inestimabile che ha il dovere di preservare la memoria di quanti hanno contribuito a portare ovunque la cultura della città. Patrimonio straordinario che, nonostante tutto, grandi artisti, scrittori, uomini di pensiero hanno continuato a esprimere a costo di grandi sacrifici e che sarebbe ora che le istituzioni preposte riconoscessero valorizzando e indirizzando adeguate risorse e sostegno in un quadro complessivo programmato da affermate competenze lontane dalle spartizioni politiche quasi sempre fuori da valutazioni obiettive e meriti.
È stato da più parti sottolineato che il ritrovato entusiasmo e la nuova visione della città vadano attribuiti ai giovani provenienti da ogni parte del Paese e non solo. Il catastrofismo e la prevenzione della generazione dei loro genitori sono stati solennemente surclassati dal rapporto diretto con la realtà, dalla bellezza di cui è capace la città di Partenope, dalla gioia e dalla contaminazione a cui non si sono sottratti facendosi coinvolgere in ogni aspetto.
Paure e sospetti crollati d’un tratto, la bellezza vissuta nelle piccole cose, come il mio giovane amico Lorenzo della provincia di Padova, ubriacato dalla folla e dalla follia della vecchia via Pignasecca, dagli odori e non solo di pesce fritto mangiato per strada o del panino con mollica o senza del mitico Donato fino alla meraviglia delle meraviglie del capolavoro di Giuseppe Sanmartino, quel Cristo Velato di fronte al quale anche la commozione di un quindicenne la dice lunga sull’attenzione da parte dei giovani di cui troppo spesso si sottovaluta la sensibilità. Gli artisti di strada lungo tutto il percorso dei Decumani e il bar di Pino de Stasio di fronte alla Basilica di Santa Chiara da cui escono canti di opere liriche o di quanti seduti al piano regalano note di dolci melodie antiche.
Non abbiamo nulla da riscattarci, nulla da farci perdonare. I problemi, quelli che la classe politica di tutti i tempi non ha inteso mai risolvere perché utili al suo sistema, restano ma cambia l’atteggiamento della città vera, quella intellettualmente onesta convinta che la cultura sia lo strumento unico e solo indispensabile alla crescita. Un atteggiamento nuovo per recuperare sempre più credibilità agli occhi di un mondo per troppo tempo succube di pessima informazione e luoghi comuni comodi soltanto a quanti con il malaffare e la pessima politica hanno costruito fortune personali a danno della comunità intera.