Dell’anomalia tutta napoletana della mancata nomina di un Assessore alla Cultura abbiamo già avuto modo di parlare nei giorni successivi alla presentazione della nuova Giunta Comunale con la distribuzione delle deleghe, tra le quali quella in oggetto, avocata a sé dal Primo Cittadino. Resta, tuttavia, davvero singolare che la terza città italiana, con un patrimonio artistico e culturale immenso, un non comune fermento che spazia dal teatro alla musica, dalla pittura ai centri di cultura, molti dei quali noti in campo internazionale, non abbia necessità di un assessore ma possa accontentarsi di una parziale attenzione del Sindaco, magari coadiuvato da alcuni consulenti che certamente salteranno fuori prima o poi dal cilindro per costituire i soliti comitati di nomi illustri utili ad apporre sigilli a strategie decise altrove.
Probabilmente, l’apparente ingenuità di chi scrive porterebbe a considerazioni che poco hanno a che fare con la realtà dei fatti e di strategie certamente già ben definite che, forse, riguarderanno anche le ingenti risorse promesse o, meglio, gli ulteriori debiti che la città ha contratto di recente, in pompa magna, alla presenza del Presidente del Governo dei migliori e che sicuramente andrà a contrarre ancora lasciando una pesante eredità ai cittadini e alle future generazioni, che ne avranno contezza quanto prima.
La presentazione del Piano della Cultura 2022-2026, avvenuta il mese scorso, potrebbe rivelarsi soltanto il primo passo verso quella che è l’operazione principe, la ciliegina sulla torta dell’attuale Amministrazione, di una visione di città fino a quel momento incomprensibile ai più, ma svelatasi in maniera chiara e che sarebbe meglio definire Piano della Privatizzazione, il primo di una lunga serie. Che poi vestirà i panni di una fondazione o altro conta poco, di certo appare improponibile a chi ritiene che la gestione dei beni comuni e della loro fruizione debba essere necessariamente pubblica a evitare speculazioni dei privati, comitati d’affari, malavita organizzata e disorganizzata, ma sempre in agguato quando c’è da far soldi e altrettanto in allerta quando le cose non andranno per il verso giusto, pronti a recarsi con il cappello in mano dalle istituzioni pubbliche, pena il fermo delle attività e consueto teatrino delle minacce di licenziamento del personale.
L’esatto contrario, insomma, della passata gestione – per quanto criticabile e non condivisibile – con un’idea di città dove il termine “pubblico” ha fatto parte di una filosofia ben precisa e dove i comitati di affari hanno patito per ben dieci anni stando fuori dal Palazzo.
Appare alquanto strano – forse per niente – che il mondo degli intellettuali di casa nostra, quelli degli appelli, delle firme dei notabili e dell’intellighentia sempre sensibili e pronti ad agitarsi in altre occasioni, ora latitino in un letargo che dura da sei mesi, lo stesso di certa informazione locale che ha finalmente deposto le armi e liberato colleghi dedicati e specializzati a demolire ogni cosa. Ancor più sorprendente – forse per niente – il silenzio di certa sinistra, quella nominale, degli scappati di casa, per dieci anni sostenitori di tutt’altra visione della città, convertitisi al piano delle privatizzazioni, anch’essi in silenzio ma gratificati da uno scanno a Palazzo San Giacomo.
Che dire, poi, dei rivoluzionari eroi della sconfitta della povertà gridata dai balconi romani, delle invettive e delle guerre a chiacchiere al Presidente De Luca e oggi pare disposti a entrare in Giunta con il nemico di sempre. Vecchia storia, carte canusciute – motivo del 1949 di G. Lama e V. Capillo – antico detto in lingua napoletana perfettamente aderente al movimento del contrario di tutto e del manifesto dell’inutilità e dell’ipocrisia politica meno che mediocre.
Il bene comune, pilastro della sinistra, quella autentica, valore essenziale per la realizzazione della persona dove la cultura non è altro che è questo, bene comune come l’acqua, e come tale va difesa a tutti i costi evitando possibili manovre speculative, strategie di potere di cui non si avverte per niente il bisogno. Napoli ha necessità di riferimenti precisi e una rappresentanza degna, di alto livello, come lo è stato a lungo Nino Daniele, uomo colto e discreto che ha curato con estrema capacità e competenza il settore cultura e turismo senza alcuna risorsa, come del resto l’intera gestione passata tenuta volutamente a casse vuote da una partitocrazia indecente che ha prodotto soltanto danni ai cittadini.
Inaccettabile continuare per tutta la sindacatura in questo stato, è inimmaginabile che il Primo Cittadino della terza città italiana possa essere in condizione di mantenere una delega che presuppone impegno continuo e pressante con una dedizione totale. È indispensabile la mobilitazione della cittadinanza, di tutto il mondo delle arti e della cultura, degli intellettuali che hanno davvero a cuore le sorti di Napoli che non possono restare a guardare in silenzio per convenienze varie o, peggio, per potenziali interessi personali futuri, per una nomina, per un incarico, occorre un cambiamento di coscienza rompendo un silenzio che non fa di certo bene alla causa della nostra crescita culturale.
Porre in ombra la cultura in una grande comunità come quella della città al centro del Mediterraneo relegandola a mera amministrazione di singoli eventi e siti di straordinaria importanza storica può produrre nel tempo e anche da subito quanto sosteneva il grande ed ecclettico scrittore austriaco Karl Kraus che forse potrà servire unicamente a far emergere mediocri figure inutili al bene collettivo e utili soltanto a se stesse: When the sun of culture is low, even dwarves will cast long shadows. Quando il sole della cultura è basso, anche i nani proiettano ombre lunghe.