Quante volte, da ragazzo, ho percorso quei vicoli dei Quartieri Spagnoli che dal Corso Vittorio Emanuele portano verso Toledo, la strada che va da Piazza Carità, attuale Salvo D’Acquisto, a Piazza San Ferdinando, odierna Piazza Trieste e Trento. Quei vicoli a me familiari dove il vociare sempre più crescente dei venditori del mercato di Sant’Anna di Palazzo o il profumo intenso delle pizze fritte oggi a otto – possibilità di pagarla dopo otto giorni – di Nennella ‘a pizzaiola e l’odore intenso del baccalà della rivendita di via Cedronio si mischiava al profumo del caffè e dei dolci del piccolo bar all’angolo.
Non molto diverso il clima che nell’ottobre del 1833 accolse il giovane Giacomo Leopardi che trovò alloggio, assieme al suo amico Ranieri, al civico 88 di via San Mattia, un appartamento al secondo piano in cui soggiornarono appena due mesi e i cui motivi sembrano riconducibili al non gradimento della proprietaria per quella coabitazione o al timore di contagio di quegli inequivocabili sintomi della tisi che affliggevano il poeta, anche se la maggioranza degli studiosi vuole che la breve permanenza sia imputabile alla necessità di trovare un luogo più consono al precario stato di salute.
Non fu certamente quel vociare e quel modo notoriamente chiassoso di quei luoghi che indussero il poeta a traslocare in via Santa Maria Ogni Bene 55, Palazzo Cammarota. Egli, infatti, continuò a osservare le abitudini che lo rasserenavano e che in qualche modo gli alleviavano le sofferenze fisiche. Recarsi in Piazza Carità per gustare un buon gelato di cui era molto ghiotto, percorrere l’affollata via Toledo fino a Santa Lucia o inerpicarsi tra vicoli e vicoletti, sostando anche al Banco lotto per tentare il fato, lo rendeva contento pur se tutto quanto lo circondava era in netto contrasto con il suo carattere solitario e malinconico.
Quante volte uomini e donne in cerca di un po’ di buona sorte gli avranno chiesto due numeri da giocare, magari anche carezzandogli la gobba, fedeli a una tradizione che vuole l’uomo gobbo portatore di fortuna contrariamente alla donna.
Leopardi non rinunciò alle sue scorpacciate di cozze e frutti di mare di ogni genere, sfogliatelle, taralli – unicamente quelli in vendita in via Foria – e a ‘o pere e ‘o musso alla Pignasecca.
Gradito alla gente del popolo ma certamente non agli intellettuali che erano soliti frequentare i caffè in piazza San Ferdinando o in via Toledo, al suo passare, si racconta, che qualcuno, tra questi, avvertisse dell’arrivo do’ ranavuòttolo (rospo), chiamato così per il suo aspetto fisico e soprattutto per il suo atteggiamento schivo, non curante della loro presenza.
A questo grande poeta che visse nella nostra città e che ad appena 39 anni morì, Napoli da quattro anni rende omaggio con Veduta Leopardi, un’iniziativa ideata e gestita dal poeta Costanzo Ioni, per l’Associazione Futura diretta da Ezio Aliperti, che nelle tre edizioni ha visto la partecipazione di circa ottanta tra poeti e musicisti declamare versi sulle scale San Pasquale che dal Corso Vittorio Emanuele portano in via Santa Maria Ogni Bene, di fronte a Palazzo Cammarota dove Leopardi visse dal 4 dicembre del 1833 al 4 maggio 1935.
Un evento inserito anche quest’anno nel fitto programma del Maggio dei Monumenti che avrà inizio giovedì 11 alle ore 18 e vedrà la partecipazione dei poeti Nany Amato, Davide Cuorvo, Armando Saveriano, Mena Matarazzo, Salvatore Violante, Raffaele Ragone, Giovanni Balzano,Tiziana Nasta, Dario Ulkrum e Silvana Pesola.
Nel corso di tutti i giovedì, fino al 29 giugno, oltre ai numerosi poeti, ci sarà la partecipazione di scrittori e giornalisti.
In anteprima per i lettori di questo giornale, l’intervento che terrà il sociologo e scrittore Vincenzo Villarosa in una delle serate:
LEOPARDI, IL DESTINO DELL’UOMO E DELLA CIVILTÀ
Un grande filosofo italiano, Emanuele Severino, ha incluso, da tempo, il poeta di Recanati nei manuali di storia della filosofia e gli ha dedicato due libri importanti come Il nulla e la poesia e Cosa arcana e stupenda.
Da poco, è uscito in libreria il suo lavoro In viaggio con Leopardi, dal quale voglio leggere alcuni passaggi che, secondo me, mostrano l’importanza di Leopardi, non solo come poeta, ma anche come pensatore:
L’opera di Leopardi è una grande critica della civiltà. Può sembrare che egli stesso favorisca l’impressione di muoversi nella direzione indicata da Rousseau. Eppure c’è ben altro. Leopardi anticipa Nietzsche, anticipa il cuore del pensiero di Nietzsche: il tema della morte di Dio. Quando arriva a questo punto, il lettore può trovare la cosa più o meno interessante. Che però riguarda le opinioni dei filosofi e dei letterati. Il mondo va avanti. Ma, chiediamoci, va avanti indipendentemente dalle opinioni umane? Quelle degli uomini comuni e di quelli meno comuni che escogitano le varie tecniche di sopravvivenza, materiali e spirituali? (pag. 7)
Più avanti, Severino continua:
Se si volesse scrivere un libro facile sul senso della filosofia, che non includesse il tema della contraddizione, non sarebbe un libro di filosofia. Ed è dalla filosofia che la scienza eredita tale senso. Inoltre, è Leopardi stesso ad affrontare sin dall’inizio il tema della contraddizione e a porlo al centro del suo pensiero.
Tuttavia, dopo aver tentato strenuamente di circoscrivere la sua violazione, Leopardi si convincerà di dover negare in ogni campo questo principio, e di dover affermare l’esistenza universale della contraddizione. Non c’è bisogno di sottolineare l’audacia di questa tesi. Ma profonde sono le sue ripercussioni sul pensiero di Leopardi e sulla partita che egli gioca con la tradizione dell’Occidente. (pagg. 13-15)
Leopardi, in breve, come poeta ma anche come pensatore, è di un’attuale inattualità – da sempre e per sempre – e ci fa riflettere sulla necessità dell’arte e della letteratura e, soprattutto, della loro capacità di farci comprendere il “qui e ora” e l’“eterno” e la loro unità, nella diversità delle espressioni umane.
E tra le tante difficoltà dell’esistenza, di Questa maledetta vita (Firenze, 2015), come recita il titolo del prezioso libro di Raffaele Urraro, ci aiuta a capire, meglio ancora a “sentire” la vita così come forse è, senza aggettivi.
La vita e basta.