Napoli è una città rumorosa. Di quelle dove a svegliarti non è il canto degli uccellini, ma un clacson che, nervoso, suona al semaforo, il richiamo di un venditore ambulante e le chiacchiere di chi si incontra per strada. La musica ad alto volume di qualche dirimpettaia alle prese con le faccende domestiche, i consigli disinteressati dei tanti filosofi girovaghi e le pubbliche conferenze stampa dei probabili sostituti di Sarri. Napoli è lo stridore costante di tazzine e lavori in corso, un cantiere sempre aperto e un bar mai chiuso.
Napoli è una città rumorosa. Di quelle dove, quando c’è silenzio, hai quasi paura perché qualcosa pensi sia successo. Come un teatro vuoto al termine di uno spettacolo. Forse, è per questo che quando se ne parla, non lo si fa mai sottovoce. Per superare tutto il frastuono che la contraddistingue. E allora ecco che, ancora una volta, Roberto Saviano ha urlato per dire la propria.
È di questi ultimi giorni, infatti, la polemica seguita all’articolo pubblicato su L’Espresso del noto scrittore campano in cui affrontando il tema sicurezza e criminalità in Italia – dopo la decisione di inviare l’esercito a Milano in risposta ai recenti avvenimenti di cronaca nera – e della strumentalizzazione delle notizie che l’informazione fa a favore della politica che se ne serve per preservare e racimolare voti, scrive: “Napoli preferisce morire di criminalità organizzata pur di non essere rappresentata come una città violenta. Questo la politica lo sa, lo ha compreso. La lascia fare. La lascia stare. Non si sa mai che si possa racimolare qualche voto in più”.
Non si sa mai che, forse, si è persa l’ennesima occasione per mettere a tacere beceri stereotipi italioti ormai datati. Perché al contrario di quanto spesso si voglia affermare, anche a dispetto di quei numeri relativi agli omicidi che tanto piacciono a Saviano, qui si sta provando a non morire più. Napoli, la parte sana di Napoli, ha scelto di tornare a vivere. Da sola. Senza il sostegno del governo e senza la malavita che manda avanti il Paese. Lotta con tutte le sue forze, va controcorrente. Affronta la paura. E in questo marasma generale, come l’anguilla di Montale, risale in profondo, sotto la piena avversa.
Napoli scende per le strade e si riprende Scampia, apre una biblioteca a Forcella, smette i panni di matrona stanca e indossa gli abiti eleganti delle grandi serate. L’anima verde che cerca vita là dove solo morde l’arsura e la desolazione, la scintilla che dice tutto comincia quando tutto pare incarbonirsi, bronco seppellito. Napoli che alle pistole risponde con la cultura e la tenacia di chi la ama come e più di una mamma. Una città difficile, non violenta, ma tanto forte da reinventarsi per proporsi come un partito a sé stante che dice no. Questo la politica lo sa, lo ha compreso, però non è vero che la lascia fare, che la lascia stare. È lei che le sfugge. Napoli femmena. Napoli capitone. Napoli che nella rete degli sporchi giochi di palazzo non vuole rientrare. Non si sa mai che qualcuno le abbia preparato una pentola calda. Un’altra.
Napoli, caro Saviano, preferisce morire nella sua migrazione verso il Mar dei Sargassi pur di non essere rappresentata come una città sterile che ha nuotato invano. Questo la politica lo sa, lo ha compreso. E non si arrende. Non si sa mai. Ma sai l’anguilla cos’è? No! Non è un serpente, né uno strano pesce, è un modo di vivere. Scivola, zompa, compare e scomparisce. Chist’è ‘o capitone e ‘a storia nun fernesce mai, mai, mai, mai, mai. Mai.