L’ex Ministro dell’Interno Matteo Salvini, con succursale del Viminale al Papeete di Milano Marittima e di recente tornato alla carica sul tema migranti, farebbe bene a preoccuparsi della vera emergenza migratoria, quella in atto a ritmo sempre più incalzante in Parlamento e che il Sole 24 Ore ha quantificato in 250 cambi di gruppo da inizio legislatura e ben 31 nel solo periodo tra aprile e maggio dell’anno in corso. Denunciare queste migrazioni, tuttavia, non produce consenso, l’opinione pubblica non sembra particolarmente interessata all’argomento: meglio puntare il dito sui poveri Cristi facendo a gara con la Giorgia nazionale abile a rubargli la scena anche su questo fronte.
L’associazione Open Polis ha calcolato che, dallo scorso anno, la maggiore vittima di tale dinamica è stato il M5S, che ha perso complessivamente 33 parlamentari, di cui in parte espulsi. Il record di migrazioni, invece, è del senatore sardo Gianni Marilotti, con ben cinque diverse destinazioni da inizio legislatura approdato poi al PD. Così, per porre un argine a questo andirivieni, Enrico Letta ha presentato una proposta di riforma dei regolamenti parlamentari che prevede, nel caso di abbandono del proprio banco, l’impossibilità di passare nel gruppo misto divenendo da subito un non iscritto privo di qualsiasi ufficio e dotazioni economiche ai gruppi che si costituirebbero soltanto nel caso che a lasciare il partito di provenienza fosse almeno un quinto dei deputati, numero appena sufficiente per una nuova formazione. Difficilmente, però, la proposta troverà ampio consenso, tenuto conto della convenienza da parte di tutte le forze politiche ad avere un mercato delle vacche sempre attivo.
I cambi di casacca in Parlamento, come nelle realtà locali, sono un fenomeno certamente non nuovo che esigerebbe una riflessione molto seria sul vincolo di mandato, un tema già affrontato in molti paesi europei, laddove la questione è di dimensioni decisamente più modeste rispetto all’Italia, con l’eccezione della sola Francia con dati più simili alla nostra penisola.
Nelle realtà locali, in particolare, la questione assume aspetti da migrazioni bibliche attive soprattutto in prossimità delle scadenze elettorali, con riposizionamenti strategici conditi da giustificazioni di natura ideologica che quasi sempre rasentano il ridicolo. Quanto accaduto e ancora accade in questi giorni a Napoli ne è la rappresentazione perfetta, la degenerazione della politica che mortifica non solo le istituzioni, ma offende anche quella parte di cittadini che ha condiviso un programma delegando uomini e donne a realizzarlo e oggi assiste, invece, a una vera e propria fuga verso quella fazione considerata per anni la causa dello sfacelo della città, ridotta fino al 2011 a un vero e proprio letamaio, una discarica a cielo aperto le cui foto hanno fatto il giro del mondo e i cui costi ancora gravano su debiti ingiusti che hanno penalizzato l’azione dell’attuale Amministrazione.
Un vero e proprio assalto cominciato con le recenti elezioni regionali e in atto in questi giorni a opera di alcuni personaggi ben conosciuti per le ambizioni personali prive di qualsiasi condivisione di un progetto fondato sull’anti-sistema che, per quanto possa aver presentato limiti e carenze, ha segnato la rottura di un clientelismo ultradecennale e una visione fuori dagli schemi della classica partitocrazia, costata cara per i boicottaggi dei governi centrali e per l’arroganza di qualche esponente della vecchia politica.
La rivoluzione arancione, evidentemente condivisa anche da rivoluzionari sotto mentite spoglie in cerca più di incarichi, deleghe o comunque di posizionamenti prestigiosi, il più delle volte non avendone alcuna competenza, vede oggi la fuga verso la sponda opposta addirittura – come riferiscono le cronache – verso la formazione di un’apposita lista di ex arancioni in un unico abbraccio con fuoriusciti di Forza Italia, PD ufficiale e PD di De Luca, con Renzi, Mastella e con i 5 Stelle ormai disponibili a fare patti con chiunque senza alcun ritegno, con il benestare anche del grillino terza carica dello Stato Roberto Fico che ritiene tale alleanza un’esigenza per il bene della città.
È la fuga dei rivoluzionari all’amatriciana che lungo il percorso di questi dieci anni non hanno lasciato alcuna traccia e che, con molta probabilità, torneranno in quel buio dell’anonimato di cui ha parlato in questi giorni Elena Coccia senza peli sulla lingua, da straordinaria donna eterna combattente nelle aule giudiziarie e in quelle della politica, chiedendo conto del loro operato con l’invito a tornare proprio in quell’anonimato.
I giudizi e maggiormente le scontate accuse che saranno indirizzate all’attuale Amministrazione, non solo in campagna elettorale, sono più che prevedibili e, se corrette e imparziali, anche legittime. La grande fuga dei rivoluzionari pentiti, però, dovrebbe essere solennemente condannata dall’elettorato che nelle due ultime competizioni comunali ha dato un’indicazione precisa, negando il ritorno della classe politica che per qualche decennio ha ridotto la città in quel buio di cui sopra e che, piaccia o meno, fino a prima della pandemia ha mostrato il suo vero volto, aprendo Napoli a un turismo senza precedenti. Lo stesso elettorato che ci auguriamo sappia dare prova, anche questa volta, di non consentire la riconsegna delle chiavi a una dirigenza di provata inefficienza e inadeguatezza, rivoluzionari all’amatriciana compresi.