Le quattro intense ed emozionanti giornate di Napoli Città Libro sono appena passate e il bilancio è più che positivo, con oltre 25mila presenze a Castel Sant’Elmo, dal 4 al 7 aprile. La seconda edizione del Salone del Libro e dell’editoria partenopeo è stata promossa e organizzata dall’Associazione Liber@rte, in collaborazione con il Centro per il libro e la lettura, il Polo Museale della Campania e il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, e ha portato nella capoluogo campano più di cento espositori provenienti da diverse parti della Penisola. Gli artefici di questo risultato sono stati Alessandro Polidoro, Rosario Bianco, Diego Guida e Antonio Parlati, che per l’evento hanno scelto il tema Approdi. La cultura è un porto sicuro, come motivo che evoca l’unione indissolubile della libertà delle persone con quella costituita dalla libera creatività e dall’apertura fisica e culturale della società di cui si è parte.
Tanti ospiti famosi sono comparsi tra le mura del castello vomerese – come Gianrico Carofiglio, Pippo Baudo, Renzo Arbore e Michele Serra – e tanti incontri ci sono stati tra scrittori e personaggi dello spettacolo, giornalisti e operatori culturali e soprattutto tra le persone appassionate della lettura. Tra l’Auditorium Rosa dei venti e le sale Levante, Ponente e Libeccio, nomi che ricordano la città di mare e la sua naturale e storica capacità di accoglienza, le sezioni della fiera hanno proposto dibattiti, convegni, presentazioni di libri di narrativa e saggistica. Particolare attesa c’è stata per l’arrivo di Roberto Quesada, l’autore honduregno che ha presentato il suo romanzo Big Banana, diventato un classico della letteratura centroamericana nei due decenni trascorsi, ora pubblicato in lingua italiana dalla Alessandro Polidoro Editore.
La società contemporanea e il ruolo della cultura per il governo dei cambiamenti in atto a livello locale e globale, ma anche il tema dell’inclusione sociale: queste alcune delle tematiche proposte e più seguite nei primi giorni da visitatori e scolaresche venute in massa al castello e poi, nel fine settimana, dal grosso pubblico dei viaggiatori più che turisti, amanti della cultura e alla ricerca delle novità editoriali.
Non sono mancate le critiche negative, anche queste importanti per la crescita di un progetto ambizioso che intende far tesoro dei propri punti deboli, come la scelta di una location straordinaria come Castel Sant’Elmo. Il sito è perfetto come cornice emblematica del patrimonio storico-artistico e culturale di una fiera della cultura, ma dal punto vista logistico e comunicativo ha mostrato diverse lacune. La parziale mancanza di connessione WiFi, per esempio, in diversi punti della struttura espositiva e la segnaletica che non sempre riusciva a guidare bene espositori e pubblico tra gli stand del percorso editoriale hanno complicato il lavoro degli espositori e di certo reso non agevole la piena espressione dell’entusiastica partecipazione pubblica. Il disagio maggiore, comunque, è stato l’alternarsi di calore e freddo pungente nei passaggi da un ambiente all’altro, che ha penalizzato il lavoro quotidiano del personale nelle già lunghe e faticose giornate di impegno ininterrotto. Danno fastidio, tuttavia, certe critiche rancorose e fatte ad arte, per niente propositive, ma questo è uno dei difetti del luogocomunismo partenopeo e nazionale che svilisce ogni proposta, fino a scadere nel più provinciale autolesionismo.
NapoliCittàLibro, in conclusione, ha assunto in due anni una precisa identità, tanto più forte quanto più aperta alla pluralità delle strutture editoriali esistenti e alle articolate proposte culturali che mettono in gioco. Le difficoltà incontrate durante la manifestazione sono state superate grazie alla capacità degli operatori presenti di fare rete, abbandonando i personalismi e aiutandosi l’un l’altro, e realizzando nella pratica, quindi, quanto viene teorizzato ma non sempre poi seguito nella realtà: la riduzione della distanza tra il dire e il fare dell’aggregazione culturale e sociale. Napoli Città Libro somiglia sempre di più alla città che la ospita, perché usa quei beni relazionali che la società e la cultura partenopea possiedono da sempre e che hanno prodotto, questa volta, solidarietà e impegno comune, grazie alla passione per l’ideazione e la promozione di quell’oggetto del desiderio fatto con la carta che chiamiamo libro.