Il nome Banksy viene subito associato alla sua arte, la street art, di cui è considerato uno dei maggiori esponenti. Il writer di Bristol – la cui identità sembra portare verso Robert Del Naja, frontman dei Massive Attack – nelle sue opere a sfondo satirico tratta argomenti delicati quali la politica, l’etica e la cultura. Un umorismo oscuro, graffiti realizzati con la tecnica dello stencil, che sono comparsi su muri, ponti, strade in tutto il mondo. Attraverso la sua arte documenta la verità della condizione umana, mette in mostra con un taglio estremamente ironico le assurdità della società occidentale, le atrocità della guerra, la manipolazione mediatica, lo sfruttamento minorile, l’omologazione, l’inquinamento, la brutalità della repressione poliziesca, il maltrattamento degli animali. I soggetti che utilizza e grazie ai quali dà vita alle sue denunce sono scimmie, topi, poliziotti, bambini, gatti, ma anche membri della famiglia reale inglese.
Un’arte di strada che spinge alla riflessione, alla sensibilizzazione verso problematiche quotidiane e che è alla portata di tutti perché, appunto, presente in strada. Lo scrittore Paul Goghi, a proposito della forte incidenza sociale di Banksy, ha detto: «L’opera di Banksy in fondo a Park Street affascina molto mio figlio di cinque anni e ci passiamo davanti quando andiamo a scuola e al ritorno. Ha tante domande, soprattutto che iniziano con la parola “perché”…? […] La mia opinione è che l’arte di strada ha la capacità di suscitare una reazione in tutti noi, indipendentemente dall’età».
L’imprevedibile arte di Banksy per molti anni è stata presente, in Italia, soltanto a Napoli in Piazza Gerolomini con La Madonna con la pistola e da una seconda opera – sempre nella città partenopea –, la reinterpretazione dell’Estasi della Beata Ludovica Albertoni di Bernini purtroppo cancellata. Tuttavia, l’anno scorso a Venezia è comparsa un’opera, quasi certamente attribuibile a lui, che ritrae un bambino sopravvissuto a uno sbarco con indosso un giubbetto di salvataggio. Napoli però torna ad accogliere l’artista inglese con Banksy e la (Post) street art. Il PAN, Palazzo delle Arti di Napoli, ha organizzato infatti una collettiva dedicata al movimento artistico underground visitabile dallo scorso 8 gennaio fino al 16 febbraio 2020. La mostra è fruibile tutti i giorni, dalle 9:30 alle 19:30 al costo di 10 euro, ridotto 6 per gli under 25 e gli over 65, o con il biglietto integrato che comprende anche la mostra Joan Miró al costo di 15 euro.
Il PAN già nel 2015, con la mostra Shepard Fairey #OBEY, aveva affrontato il tema della street art come espressione artistica a tutti gli effetti. Con Banksy e la (post) street art, Andrea Ingenito, curatore e ideatore della mostra, propone circa 70 opere – provenienti da collezioni private, galleria italiane e straniere – che vogliono raccontare il fenomeno artistico del momento mettendo in risalto contraddizioni e interrogativi. Non saranno presenti soltanto i lavori di Banksy, ma anche quelli di Mr. Brainwash, Obey e Mr. Savethawall. Il primo gruppo di opere si focalizza sul racconto di come la post street art prende vita, il secondo invece vuole fornire spunti di riflessione sul fenomeno Banksy. Questo “nuovo allestimento”, approfondisce il discorso dell’evoluzione dell’arte di strada e pone l’accento sulla sensibilità dell’artista inglese soprattutto nel raccontare le criticità dell’attuale scenario politico mondiale. La sua arte ha un potere comunicativo straordinario, in grado di diventare la voce di tutti, e, probabilmente, è proprio questo che rende speciali le sue opere.
Banksy è un fiero detrattore della mercificazione dell’arte e del feticismo collezionistico: «L’arte che guardiamo è fatta da solo pochi eletti. Un piccolo gruppo crea, promuove, acquista, mostra e decide il successo dell’Arte. Solo poche centinaia di persone nel mondo hanno realmente voce in capitolo. Quando vai in una galleria d’arte sei semplicemente un turista che guarda la bacheca dei trofei di un ristretto numero di milionari».