Si respira grande euforia generale nelle schiere dei canditati alle prossime Amministrative di Napoli. Nomi inseriti in contenitori preconfezionati dove c’è di tutto, ma mancano gli elementi fondamentali che da sempre rappresentano le basi su cui si fonda la democrazia, un progetto comune e un’ideologia senza i quali le liste non sono altro che un’accozzaglia di varia provenienza con a capo un altro nome espressione del nulla. Un gioco perverso che dura da qualche decennio e di cui soltanto un’inchiesta giudiziaria come Mani pulite ha smascherato il clientelismo, un sistema di corruzione dei partiti dove politica e finanza l’hanno fatta da padrone, tanto che la loro fine è stata immediata – almeno nelle etichette originarie – per trasformarsi continuando con gli stessi protagonisti di quella fase storica che ancora ne assicurano la continuità, anche in forme peggiori.
L’assenza di un’idea condivisa frutto di un dibattito, di un’elaborazione politica, della costruzione di un progetto – elemento comune a tutte le forze politiche – ha determinato un vuoto non solo in quelle coalizioni ridotte a contenitori di interessi di circostanza ma, anche, nelle rappresentanze istituzionali, sia nazionali che locali, costrette a subire decisioni e ricatti dei politici che contano, di quelli che hanno una notevole visibilità mediatica. L’attuale esecutivo ne è la rappresentazione più esplicita e avvilente.
Sia chiaro, non sono in discussione le capacità personali e professionali di quelle personalità messe a capo delle rispettive coalizioni nella città in cui negli ultimi dieci anni le opposizioni non solo non hanno esercitato alcun ruolo a sua difesa, in riferimento ai debiti ingiusti che hanno messo in ginocchio i servizi essenziali, ma hanno anche fatto pressione per commissariare il Comune, tutte assieme, proprio come ora PD e 5 Stelle. Il vecchio e il nuovo, ancora più vecchio, vergognosamente a braccetto contro Napoli. Sono le apparizioni improvvise, certamente non casuali, dei candidati alla carica di Primo Cittadino, fortemente voluti in un momento favorevole in quanto a risorse da gestire e non solo debiti cui far fronte, tra l’altro super garantiti dai massimi leader nazionali per ottenere la disponibilità dei personaggi calati dall’alto, apparsi come a Medjugorje.
Ci siamo più volte chiesti, su questo giornale, le motivazioni che dovrebbero indurre i napoletani a dare fiducia a uno sconosciuto – almeno sul piano politico e amministrativo cittadino – che avendo avuto anche responsabilità di governo non ci risulta abbia mosso un dito per aiutare la città. Stesso discorso per una coalizione i cui massimi rappresentanti (pentastellati) hanno preso sempre le distanze dalle difficoltà economiche del Comune, mentre quelli in Consiglio Comunale hanno giocato alla guerra inutile e continua contro l’Amministrazione e gli interessi della comunità.
Da più parti, si ritiene importante riportare la sinistra al governo della città evitando l’avanzata della destra e, a questo punto, ogni commento o battuta rientrerebbe in quel ridicolo gioco che non ci appartiene: dammi solo qualche nome e ti dirò di che sinistra sei, parafrasando quella del professore Bellavista dammi la tua monnezza e ti dirò chi sei, senza allusione alcuna. Una sinistra dalle tredici liste, tra le quali Azzurri per Napoli, di ispirazione di quel Luigi Cesaro di cui i magistrati in queste ore hanno chiesto l’arresto che, come sempre, difficilmente il Senato sarà disposto a concedere. Una sinistra che, oltre ad accogliere i transfughi di quell’amministrazione ritenuta pessima e incapace, ha aperto le sue larghe braccia anche alla figlia dell’ex missino e poi leghista Vincenzo Moretto. La destra del candidato Maresca, invece, ha una sua coerenza, una connotazione che non dà adito a nessun dubbio, marcatamente leghista e “civica” di facciata. A questo punto, valeva la pena ricandidare Gianni Lettieri per assicurarsi una sconfitta meno offensiva e più decente.
Battute a parte, il fallimento dei partiti – che è anche dei movimenti, almeno quelli come il pentastellato, entrato da subito e a pieno titolo nelle logiche e nei tatticismi della partitocrazia ridotta a sistema perverso e svuotata di ogni contenuto politico – è all’origine del quadro di alleanze e presenze inaccettabili per storia e provenienza, che nulla hanno a che spartire con quello che dovrebbe essere il collante necessario per porre le basi di un progetto politico all’altezza della terza città d’Italia.
Potrà non essere piaciuto a molti quanto realizzato per dieci anni in piena autonomia, tra ricatti istituzionali nazionali e regionali e qualche inevitabile errore, ma di certo è stato alternativo e fuori da ogni logica di compromessi e favoritismi che a lungo hanno fatto il bello e cattivo tempo, anche con interventi non sporadici della magistratura, contrariamente a quanto avvenuto nelle due recenti sindacature.
Questo il quadro che gli elettori di Napoli si troveranno a dover valutare, certamente non semplice ma, guardando anche a possibili alternative senza condizionamenti di sondaggi poco credibili, nella speranza che la sensibile astensione delle precedenti tornate non aumenti i numeri e riesca invece a mandare a casa i tanti euforici e inutili aspiranti a un seggio in Consiglio Comunale che con la buona politica non hanno nulla a che fare.