Dopo mesi di trattative, di decisi no e di uno shutdown del Congresso, il Presidente Trump ha ottenuto i fondi della Difesa per costruire, o meglio rafforzare, il muro tra gli Stati Uniti e il Messico. Per definizione, un muro dovrebbe essere una struttura portante, qualcosa che regge, che protegge e che, con la sua imponenza, rassicura. La definizione, tuttavia, non si ferma alla funzione di sostegno e si allarga a quella divisoria. Perché le mura stabiliscono le differenze, indicano ciò che è estraneo, dividono il dentro e il fuori, e non sempre lo fanno per democratico rispetto delle proprietà privata. A volte, semplicemente, dividono per allontanare.
Nel corso dei millenni della storia umana, i muri hanno avuto un ruolo fondamentale e determinante. Il più antico di tutti, la Grande Muraglia Cinese, ad esempio, è nata per difendere e dopo più di duemila anni dalla sua costruzione resta ancora orgogliosamente in piedi. Un’opera di primordiale ingegneria civile che ha scritto la storia. Da allora, innumerevoli mura divisorie si sono fatte strada sulla nostra terra, dal Vallo di Adriano alla linea verde di Cipro, fino al confine tra Corea del Nord e del Sud, gentile retaggio che la Guerra Fredda ha lasciato. Ma nessuna di esse ha avuto il valore di un’altra imponente muraglia, fatta non solo di cemento, ma anche di filo spinato e check point, pure questa conseguenza di una guerra: il Muro di Berlino, la cui storia potrebbe aprire gli occhi su ciò che accade nel mondo contemporaneo.
La divisione di uno Stato fin dentro il cuore della sua capitale rappresentava la punizione estrema, nonché un’ottima strategia di indebolimento tramite lo smembramento. E la distruzione attuata tramite quella divisione fu così intensa che la caduta del Berliner Mauer rappresenta il giorno della libertà, la cui assenza alberga proprio nella definizione divisoria del muro. Libertà di muoversi, di viaggiare, di accedere ad altri luoghi in cui rifugiarsi, divisi da un astratto e convenzionale confine politico diventato concreto cemento. E come sempre restii ad apprendere le lezioni che la storia tenta disperatamente di tramandare, gli uomini di oggi fanno gli stessi errori degli uomini di allora. Motivazioni diverse, spiegazioni diverse, ma stesse azioni, l’innalzamento di strumenti di separazione, forse animati dalla convinzione che divide et impera sia il modo migliore per governare il mondo. Finalmente, il Presidente Trump ottiene ciò per cui ha tanto lottato: dei finanziamenti per la costruzione di un muro che divida il territorio nordamericano dal confinante Messico. Agli 1.4 miliardi di dollari già concessi dal Congresso, che sebbene a maggioranza democratica fatica a tener testa alle glorificate strategie razziste della presidenza, si aggiungono altri 2.7 miliardi, in seguito alla decisione della Corte Suprema.
Un recinto tra Stati Uniti e Messico, in realtà, esiste già e percorre i confini di Arizona e California. Una barriera di sicurezza che ha l’obiettivo di impedire agli immigrati clandestini di accedere al territorio statunitense. Fatta di lamiere metalliche, sensori elettronici e illuminazione ad altissima intensità, la barriera è nata come Prevenzione attraverso la Deterrenza nel 1990, proprio mentre il muro di Berlino veniva smantellato. Sotto le presidenze Bush e Clinton la barriera fu innalzata, il confine sorvegliato e la differenza tra nord e sud, tra privilegiato e povero, tra cittadino e immigrato, divenne molto più netta.
Quella di dividere è una tendenza che il mondo bianco e occidentale ha sempre avuto e che si sta acuendo con le odierne inclinazioni della politica globale, molto più orientate a una destra intollerante, animata dal razzismo e dalla voglia di aggiungere nuove barriere a quelle già esistenti. La questione immigrazione – argomento in voga, tra le denunce dei democratici americani sui centri di detenzione e le questioni di accoglienza che stanno muovendo l’Europa – è stata tra le principali argomentazioni della campagna elettorale del Presidente USA, e nulla dall’inizio del suo mandato ne ha smentito le intenzioni. Adesso, con l’arrivo dei nuovi fondi concessi dalla Corte Suprema, il muro della vergogna – così chiamato dai messicani – potrà essere ulteriormente fortificato.
Oltre alla questione morale, che vede nel rafforzamento del muro un atto di intrinseca discriminazione e di scarsa umanità dei confronti di chi tenta di fuggire dalla povertà, l’arrivo dei finanziamenti insinua dubbi anche sulle scelte che la presidenza sta prendendo sulla questione difesa. I 2.7 miliardi erano fondi inizialmente destinati al Pentagono, finanziamenti militari da sfruttare per la difesa del Paese. Una difesa, si immagina, molto più articolata della costruzione di un muro di cemento. Una difesa contro attacchi tecnologici, contro armamenti nucleari, magari. Certamente non una difesa dagli attacchi di uomini impauriti che si macchiano dell’unico gravissimo reato di avere la pelle più scura e una cittadinanza diversa.
I finanziamenti rappresentano una grande vittoria per il Presidente, che ha basato la sua propaganda e la prima metà del suo mandato sull’odio, sul razzismo e sulla discriminazione. Ma rappresentano anche una sconfitta. Una sconfitta per la democrazia, che qualunque sia la maggioranza, non dovrebbe emarginare e condannare indirettamente a morte. Una sconfitta per il partito repubblicano, storicamente conservatore, ma ultimamente anche tirannico. E una sconfitta per l’umanità che, di questi tempi, inizia a scarseggiare.
Comments 1