Chiunque avrebbe potuto essere Petru Birladeanu, del contrario, invece, non si potrà mai dire probabilmente la stessa cosa. In giorni feroci come i nostri, che si accavallano gli uni agli altri sospinti da ondate d’odio razziale e classista, in cui la politica si fa per slogan e un ministro plaude a iniziative purtroppo non più isolate come quella dell’Austria di chiudere sette moschee del territorio, rimpatriando persino gli Imam, la storia di Petru torna attuale, e qualcuno tenta di non lasciarla sbiadire nell’indifferenza.
Era il 26 maggio del 2009, quando il giovane fisarmonicista originario della Romania, di passaggio alla stazione della Cumana di Montesanto, quartiere nel cuore della città di Napoli, fu raggiunto dal fuoco mortale della camorra, impegnata in uno scontro tra clan nell’affermarne la supremazia in un territorio senza pace. Saltava, ogni giorno, da un treno a un altro Petru, in compagnia soltanto della sua musica e qualche spicciolo che studenti e pendolari – che avevano ormai imparato a conoscerlo – puntualmente lasciavano cadere nella lattina che portava con sé. Era un passante qualunque, un qualsiasi cittadino partenopeo o avventuroso turista pronto a spostarsi ancora per mordere il suolo di un’altra zona della città, eppure, quando la sorte beffarda scelse proprio il suo corpo per lasciarlo in terra senza vita, sembrò non appartenere a nessuno. Morì due volte Petru, ucciso dai killer e scordato dall’indifferenza di chi scappò senza fare ritorno e accertarsi delle sue condizioni. Solo la sua compagna, Mirela, rimase ad assisterlo in un concerto che non era più di note felici, ma di grida strazianti.
«Per cinque minuti ha parlato. – raccontò la donna a chi la intervistò nei giorni successivi – Per dieci, mi ha guardato fisso negli occhi e, quando io gridavo, lui scuoteva la testa e mi stringeva più forte la mano. Per mezzora il corpo di mio marito Petru è rimasto per terra e nessuno ha fatto niente. Ci guardavano tutti e c’era anche chi mi scattava fotografie. È arrivata un’ambulanza, ma non era per noi, era per un bambino ferito a una spalla.»
A nove anni di distanza, qualcuno ancora ne tiene vivo il ricordo. Il luogo è lo stesso, a pochi metri dall’Ospedale dei Pellegrini, la folla che insiste nei dintorni è più nutrita del solito: oltre ai consueti viaggiatori, un folto manipolo di giovani militanti del Presidio Vomero-Arenella di Libera, un gruppo di autoferrotranvieri dell’ex Circumvesuviana e dell’ex Cumana, uniti ai clienti curiosi di un supermercato nelle vicinanze, raccolgono l’invito di Maria Teresa Nicastro, giovane studentessa di Legge, Referente del Presidio, a ricordare proprio Petru Birladeanu. A loro si uniscono presto l’Assessore Comunale Alessandra Clemente, l’Assessore Municipale Susy Ciminiello e il Consigliere Municipale Marcello Cadavèro, mentre, per la prima volta in nove anni, prende la parola anche un lavoratore dell’EAV, Emilio Vittozzi, che ogni giorno, dalla sua scrivania all’Infopoint della stazione, regala indicazioni e sorrisi ai tanti forestieri di cui Napoli è ormai piena.
Nessun teatro ad accogliere quel raggruppamento spontaneo di persone, nessun palcoscenico a far da cornice alla rabbia, allo sdegno e alla passione con cui Vittozzi, nelle vesti del “padrone di casa” declama la Ballata per Petru, un componimento dello scrittore stabiese Tonino Scala, accompagnato dallo stesso strumento che il ragazzo usava portare con sé a colorare i vagoni sui quali passava, la fisarmonica, per l’occasione suonata da Valerio Iermano, ai più conosciuto per le sue doti con pennelli, tele e colori. Si suona e si canta la pace a Montesanto, si suona e si canta la vita che un giovane emigrante cercava fuori dai suoi confini, al pari di quel futuro che un cancro tutto nostrano gli ha negato per sempre.
A distanza di nove anni, quella di Petru appare come una fotografia dal passato che guarda al domani: tiene viva la memoria, nella speranza di smuovere le coscienze troppo accecate dall’odio insensato, che guarda al nemico sbagliato, nel sogno, finalmente, di cambiare il finale.
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Fotogramma di memoria (Ballata per Petru) di Tonino Scala
Ciò che resta di quel giorno è solo una fotografia…
Una foto scattata tra i tornelli di una stazione.
Una foto, un ricordo, un fotogramma di memoria.
È maggio e fa caldo. I ciottoli di Montesanto han bisogno d’acqua gelata, ma non sono i soli…
Il mercato ricco, variegato, caotico, ordinato nel suo caos è lì da sempre che aspetta gli eventi, quelli del quotidiano, quelli destinati a fare la storia.
Una fisarmonica suona un motivetto che porta lontano, ma è vicino, molto vicino.
Un organetto si mischia alle voci dei venditori, alle voci di chi parla, alle voci di chi strilla.
Petru e Mirela suonano e non chiedono nulla in cambio, chi vuole può donare un obolo. Una moneta come la si lascia al bancone del bar dopo aver preso il caffè nero bollente. Una moneta di piccola taglia per campare in questo fottuto mondo che, se non lo fotti, ti fotte.
Petru è giovane e forte, ha lasciato la Romania e il suo passato da giocatore di calcio: ha giocato in serie A.
Il Poli Iasi è lontano, la Pignasecca è vicina.
Pignasecca, crocevia del mondo, dove si incrociano i buoni e i malamente.
Petru suona e la gente sorride, sorride anche lui con quei denti che luccicano di metallo.
La provincia si affretta a prendere la Cumana.
La città a salire la collina del Vomero con quella Funicolare che sa di storia e di storie.
Le voci continuano a vociare, il mercato inizia a pensare al giorno che passa e a quello che verrà, i motorini continuano a sfrecciare, ma è una strada chiusa al traffico? Siamo a Napoli qui tutto è possibile, tutto tranne i sogni! Qui o ti svegli, o ti fanno svegliare!
Ma Petru sogna, suona e sogna, sogna e suona.
Tanto sognare non costa nulla così come ascoltare quel suono romeno che rende la Pignasecca capitale del mondo in quel preciso istante.
Ma a Napoli c’è la guerra, una guerra che dura da anni, da troppi anni!
Il suono di quell’organetto è rotto da un colpo di pistola, poi da due, da tre.
Petru non suona più, è caduto, si rialza, poi cade di nuovo.
La gente scappa.
Petru non può, è a terra, è stato ferito: un colpo alla gamba, uno al torace.
Mirela urla, chiede aiuto.
Il suo grido straziante rompe quel silenzio assordante tra vicoli di una Pignasecca che si fa Montesanto dove di santo c’è poco in questo preciso istante.
Alcuni passanti fan foto a quell’uomo che sta perdendo sangue, mentre la moglie continua col suo canto straziante fatto di grida.
Petru Birladeanu ha trent’anni, è partito dalla serie A rumena ed è finito nel girone infernale di una città paradiso abitata da diavoli.
Ciò che resta di quel giorno è la foto scattata da un passante per curiosità.
Quella foto resterà impressa per sempre nell’animo di chi crede che, prima o poi, questa guerra finirà in questo mondo sospeso tra terra e cielo, tra bene e male.