L’emergenza coronavirus – l’abbiamo raccontato diverse volte sulle pagine di questo giornale – ha messo in luce tante, troppe criticità della società moderna, pericolose zone d’ombra lasciate all’oscuro dalla politica, dall’informazione e, spesso, dalla stessa società civile che, ogni giorno, con quei problemi è costretta a convivere. Dai casi più lampanti come il dissesto operato negli anni a danno della sanità pubblica, all’incapacità di scuole e università di garantire il diritto allo studio di tutti gli studenti attraverso la dad, passando per gli episodi di violenza domestica, femminicidio, fino alle periferie delle nostre città, il COVID-19 ha riportato a galla questioni mai veramente affrontate. La vicenda di Mondragone, con i circa 50 casi di contagio fatti registrare negli ultimi giorni, e le conseguenti proteste delle comunità locali, è il riassunto di quanto appena descritto.
Così la Campania dello sceriffo De Luca è balzata in cima a tutte le cronache dopo quasi una settimana trascorsa senza aver contato alcun nuovo contagio. Il perché? Nella cittadina del casertano, più precisamente tra la popolazione bulgara che occupa gli stabili dell’ex Cirio della zona, è stato riscontrato un nuovo pericoloso focolaio, una vera e propria bomba sanitaria – viste le criticità delle circostanze in cui si è sviluppato – se non affrontata prontamente e amministrata a dovere.
Sin dal primo allarme, le palazzine in questione sono state poste sotto il dispositivo di quarantena obbligatoria, dunque con l’impossibilità per le donne e gli uomini che le abitano di lasciare la propria dimora. Lockdown violato, però, da alcuni componenti di cui si sta facendo fatica persino a ritrovare le tracce. Gli abitanti di Mondragone e i cittadini della regione ora hanno paura. La tensione – come prevedibile – è salita fino a scoppiare, ieri pomeriggio, in un confronto tutt’altro che pacifico tra la comunità bulgara e quella locale, italiana, con le forze dell’ordine costrette a intervenire per sedare i tafferugli che si stavano andando a sviluppare.
Ma qual è il vero problema che sta alla base di tanta insofferenza, di queste violente rimostranze che si accendono alla prima, minima scintilla? La presenza dei gruppi bulgari o rom sul territorio? Il loro stile di vita? Quelle abitudini che tanto sembrano disturbare noi civilissimi occidentali? Forse, ma sarebbe un’analisi troppo semplicistica e non veritiera. Come nei casi sopracitati, la realtà va cercata in profondità, sotto tappeti messi a coprire polvere accumulata nel corso di tanti, troppi anni di incuria e menefreghismo, in quei ghetti delle città – che chiamiamo periferie – creati ad arte dalla politica, utili passerelle per le campagne elettorali, in sostanza zone d’ombra lasciate alla sola gestione e, dunque, al proliferare della malavita.
Una simile condizione di precarietà sociale e sanitaria era già stata fatta notare dai volontari in attività presso il Baobab di Roma, dove intere comunità di migranti senza fissa dimora sono lasciate in strada o senza un luogo e condizioni dignitosi in cui vivere, un terreno fertilissimo per un virus a così rapida capacità di espansione. Tra loro, giovani uomini a cui è stata riconosciuta protezione internazionale o sussidiaria, con diritto all’accoglienza, di fatto merce inutile, zavorra per uno Stato incapace di offrire loro reali opportunità di integrazione.
La loro vita, in condizioni igienico-sanitarie drammatiche già prima dello scoppio dell’emergenza coronavirus – al contrario di quanto confezionato e divulgato ad arte da un certo ceppo di informazione e propaganda politica – non è certamente una scelta adoperata a dispetto dei residenti con cui si trovano a condividere interi quartieri da un giorno all’altro e per mano di qualche amministratore locale, ma una costrizione impartita dall’inettitudine di istituzioni sorde, incapaci e irresponsabili, da quelle cittadine fino ai palazzi del Governo.
In che modo alle popolazioni migranti – dagli africani di Roma, agli ora contestatissimi bulgari di Mondragone – è stata mai offerta un’opportunità concreta di diventare risorsa, asset di questo Paese, anziché un ulteriore problema da gestire in aree metropolitane ai margini delle città, già affossate da criticità di ogni genere, mancanza di servizi essenziali, controllo del territorio e possibilità di stare al passo dei quartieri del centro?
Le tensioni divampate a Mondragone altro non sono che il risultato di un abbandono del territorio che si protrae da decenni, come denunciato alla stampa presente sul posto dagli stessi manifestanti che nella giornata di ieri chiedevano l’estradizione della comunità bulgara da quelle che considerano le proprie strade.
Come da prassi, la politica ora corre ai ripari, il Governatore De Luca ha già richiesto la toppa mimetica dell’esercito da riporre per sedare l’insubordinazione. E laddove qualcuno vedrà l’ennesima pronta risposta dello sceriffo ex Sindaco di Salerno, un’altra prova di forza dell’uomo del lanciafiamme, non starà considerando il disinteresse della Regione e del Governo verso una qualunque periferia, un luogo fatto di caporalato e sfruttamento dell’immigrazione dove i militari sarebbero serviti ben prima in contrasto alle mafie, a difesa di lavori di riqualificazione.
Come al solito, in questi casi, le uniche soluzioni sono affidate alle associazioni che popolano i quartieri interessati dal problema, spesso veri e propri presidi di legalità e alternativa alla strada. Come a Scampia, dove, oltre le tensioni, grandi esempi di collaborazione tra comunità italiane e rumene hanno contribuito al rilancio di un’area sempre dimenticata dalle istituzioni. Il COVID-19 non solo non ci ha reso migliori, come da molti auspicato, ma ha persino inasprito l’insofferenza verso qualunque vicino di casa.
Che l’emergenza venutasi a creare in quel di Mondragone vada adesso monitorata e messa in sicurezza non vi è alcun dubbio. Lasciar scappare via il virus in una terra così densamente abitata come la Campania potrebbe risultare drammatico. Posto rimedio, però, l’auspicio è che rappresentanti locali della comunità italiana e migranti e braccianti presenti sul posto possano fare fronte comune nell’intento di sconfiggere epidemie forse persino più gravi: indifferenza e iniquità sociale.