Dallo scorso 30 maggio, a Campi Bisenzio va avanti la protesta dei dipendenti di Mondo Convenienza. Turni massacranti, paghe da fame, assenza di presidi per la movimentazione dei carichi sono solo alcune delle irregolarità denunciate dai lavoratori che, assieme al sindacato Si Cobas, presidiano lo stabilimento. La protesta si estende anche a Roma e a Bologna, portando alla luce gli scheletri nell’armadio dello sfruttamento sul lavoro.
Mondo Convenienza nei riguardi dei dipendenti applica esternalizzazione. Di cosa parliamo? Si tratta di una pratica adottata da imprese (o enti pubblici) che ricorrono ad altre imprese per lo svolgimento di alcune fasi del proprio processo produttivo. La ditta RL2 ha in appalto i servizi per conto dell’azienda di mobili. Questi appalti, molte volte, sono vera e propria copertura per sfruttamento legalizzato.
Per quanto riguarda il consumatore è difficile che si ponga domande sull’eticità del prodotto che acquista, almeno nella maggior parte dei casi. Ma questa vicenda ci mostra che, spesso, dietro la fruibilità della merce a bassissimo costo si nasconde un mondo di soprusi e sfruttamento. Se da un lato il prezzo rende inclusivo un prodotto, il rovescio della medaglia è la legalizzazione di una nuova forma di schiavitù per chi si trova all’interno della catena di un meccanismo infernale. In questo caso specifico parliamo di facchini e autisti che permettono alle nostre camere, bagni e cucine di prendere forma. Penso sia quindi essenziale parlarne. Le loro condizioni rappresentano la forma più subdola di un razzismo passivamente accettato. Razzismo strisciante di una società che si finge tollerante.
Riesco a confrontarmi con Arshad Khazifa, facchino, pakistano. Il Pakistan è un paese dove la delocalizzazione delle industrie regna selvaggia ma Arshad, in Italia, non trova condizioni tanto diverse. Ogni mattina, alle 7, si reca a lavoro con la consapevolezza di quando entrerà e ignorando l’orario di fine. Un lavoro fisicamente pesante, svolto dalle dodici alle quattordici ore al giorno a discapito, ovviamente, delle ore ore contrattualizzate dalle parti. I lavoratori, infatti, non dispongono di uno strumento in grado di tracciare le ore lavorate.
Ho chiesto ad Arshad se gli sia mai capitato di farsi male durante l’orario di lavoro e mi ha risposto di sì, alla spalla. Questo mentre trasportava un soggiorno molto ingombrante, un pacco superante di gran lunga i chili consentiti dalla normativa sulla sicurezza. Mi parla di scale molto strette, piani alti senza alcun ausilio per salirvi o per trasportare i carichi. L’obiettivo? Consegnare ottimizzando il tempo.
Arshad dopo l’infortunio non va in malattia, come qualsiasi lavoratore farebbe, ma continua a lavorare con il dolore alla spalla. Dopotutto, se non lavora per ventidue giorni, gli viene tolto dallo stipendio il cosiddetto “rimborso di trasferta”. Una parte delle ore lavorate viene infatti retribuita ai dipendenti attraverso la voce “trasferta Italia”. Se il lavoratore va in malattia, infortunio o in ferie perde sia la retribuzione dei giorni non lavorati sia sino al 40% della retribuzione dei giorni lavorati per il resto del mese.
Arshad mi dice che, da mesi, vede i soldi del suo stipendio diminuire. Non viene inoltre ascoltato all’interno dell’azienda. Si sente preso in giro e utilizzato come uno strumento. «Il capo furgone si illude di essere capo, se sei un facchino non ti ascolta nessuno». Far credere a un gruppo di lavoratori di avere più “potere” di altri, senza effettiva progressione di carriera e/o economica, è il tentativo di soffocare ribellioni e proteste.
Arshad dice anche un’altra cosa che suscita riflessioni, a mio avviso, fondamentali per comprendere il clima nel quale lui e i suoi colleghi vivono all’interno dell’azienda: «Inizialmente la protesta è stata minimizzata perché proveniente soltanto dal gruppo dei lavoratori pakistani … successivamente hanno aderito anche gruppi di moldavi, rumeni, albanesi e africani». Assistiamo a una divisione in gruppi a seconda delle etnie. Creare divisioni tra i lavoratori è una tecnica che fa comodo allo sfruttante così come “colpevolizzare” unicamente un gruppo etnico. Sto scrivendo questo pezzo nel 2023 ma mi sento catapultata qualche anno più indietro. La schiavitù, formalmente illegale, continua a essere socialmente accettata sulla pelle dello straniero.
Francesca Ciuffi, sindacalista Si Cobas, afferma che il riscontro riguardante l’aderenza allo sciopero da parte dei lavoratori è in continuo incremento. Assiste personalmente, giorno dopo giorno, alla scomparsa della paura che lascia spazio alla consapevolezza. I dipendenti alzano la testa nonostante i ripetuti tentativi di sgombero da parte delle forze dell’ordine. Paradossale, a mio avviso, che venga utilizzata violenza verso lavoratori precari che si oppongono a trattamenti illegali e tali trattamenti possano continuare a essere perpetrati, dalla parte forte, indisturbatamente.
Ho chiesto alla sindacalista Ciuffi che cosa si aspetta di ottenere e la risposta è stata migliorare le condizioni lavorative di tutti i dipendenti, in particolare: applicazione del contratto nazionale di logistica – attualmente viene applicato il contratto pulizie/multiservizi con costrizione a turni infiniti di lavoro per portare a casa circa 6 euro lordi orari; apportare un sistema di tracciamento delle ore lavorate; dotare i lavoratori di strumenti idonei per trasporto e montaggio delle merci, in sicurezza.
Se da una parte la protesta è appoggiata dal Comune di Campi Bisenzio e dalla Regione Toscana, dall’altra vi è la totale assenza di ascolto da parte dell’azienda Mondo Convenienza e dalla Cooperativa RL2 nonché il rifiuto nel dialogare con sindacati e lavoratori. L’atteggiamento di chiusura da parte delle aziende è avvenuto anche al tavolo, tenutosi il 16 giugno, presso la Regione Toscana. Essi hanno infatti rotto il tavolo rifiutando i punti minimi sui quali mettersi in regola.
Penso che stia a ognuno di noi interrogarsi su quanto il proprio contributo possa incidere sul miglioramento della qualità di vita di questi lavoratori. Come? Attraverso scelte mirate e consapevoli. Se credete che ogni azione non implichi una conseguenza politica vi sbagliate di grosso. Che cosa fare? Non acquistate più prodotti trasportati e montati da schiavi fino a che le condizioni contrattuali dei lavoratori non saranno dignitose e legali.