Napoli si è imbellettata. Si è vestita di bianco e d’azzurro mesi prima dello scudetto, come una sposa con l’abito bianco ma senza sposo. Bandiere, striscioni, coriandoli e cartonati, totalmente dimentica della sua scaramanzia. Perdonatela, si è montata la testa, perché si sa: questa è la sua era.
Napoli scudetto, Napoli set, Napoli virale, Napoli sold-out. Boom di turisti ogni weekend, registi, fotografi e scrittori che la scelgono come musa, il Time che la incorona città della bellezza: l’underdog delle città italiane, quella dei cumuli di monnezza e della camorra, è diventata la più amata e visitata.
A chi non piacciono le storie di rivalsa? Ci piace vedere (e vendere) Napoli come una Gatta Cenerentola che da sguattera finalmente diventa regina: è il sogno napoletano, baby. In realtà, questa narrazione di riscatto è un po’ riciclata: è la stessa dello scudetto del 1987, un momento storico che ha segnato la rinascita della città.
Napoli era in ginocchio e la vittoria fu l’occasione di togliersi di faccia lo scuorno che dal terremoto del 1980 ritraeva la città soltanto con le immagini della camorra e la celebre frase di Edoardo che sentenziava “fujtevenne”. Adesso, non c’è più scuorno, non c’è più lo stesso livello di degrado e povertà di quegli anni: c’è solo la vittoria calcistica di una città in crescita da più di un decennio. Ma Napoli resta comunque affamata di miracoli partenopei, veri o contraffatti che siano.
Una delle risposte a questa fame è stata la riscoperta di un tassello iconico della storia partenopea, un miracolo sì contraffatto, ma contraffatto d’autore: sto parlando di Mixed by Erry, una storia incredibile raccontata nell’omonimo film di Sydney Sibilia e nel libro Mixed by Erry. La storia dei fratelli Frattasio di Simona Frasca.
Torniamo per un attimo alla Napoli a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, proprio quella di Maradona, del terremoto e di Eduardo. Erano anche i tempi dei walkman, delle audiocassette e delle compilation fatte a mano: l’ascolto su un supporto fisico era l’unico mezzo di diffusione di musica non prestabilita da uno speaker radiofonico.
Mixed by Erry era il marchio che compariva su tutte (o quasi) le audiocassette che riempivano le bancarelle di Napoli. Sotto, si leggeva uno slogan: la dimensione ideale per un ascolto pulito. Si trattava delle compilation più amate e ascoltate dai napoletani, un vero sinonimo di qualità: peccato che fossero piratate. Dietro questo marchio, infatti, c’erano tre scugnizzi di Forcella: Enrico, Peppe e Angelo Frattasio. Come si sono ritrovati tre ragazzini appassionati di musica a gestire un giro d’affari di centinaia di milioni di lire, una rete di distribuzione capillare e un impero della contraffazione noto in tutto il Paese?
Un elemento essenziale è stata la cultura musicale di Ernico Frattasio: nelle cassette Mixed by Erry infatti venivano inserite delle tracce bonus da lui consigliate. Chi comprava i Duran Duran trovava in coda dei pezzi dei Pink Floyd e, se Enrico ci azzeccava, tornava a comprare anche The Dark Side of the Moon. Frattasio è stato più volte descritto come un algoritmo di Spotify o YouTube in carne e ossa: i suoi consigli infatti funzionavano quanto quelli di un attuale algoritmo predittivo. Assieme ai suoi fratelli, Enrico capì che il mercato può essere segmentato e che i prodotti personalizzati valgono più di quelli generici.
Questo stratagemma, assieme alla rete di contrabbando che portava la merce anche nei paeselli più sperduti e alla continua ricerca da parte di Peppe di registratori più avanzati (utili ad aumentare la produzione, a migliorare la qualità e diminuire il tempo necessario) portarono i tre fratelli a girare in Lamborghini per Forcella.
L’aspetto più curioso – e qui torna il contraffatto d’autore – è che Mixed by Erry cominciò a essere percepito come un marchio legittimo e a essere a sua volta piratato. Sulle bancarelle spuntarono falsi dei falsi e i fratelli furono costretti a inserire un avvertimento: le cassette con fascette fotocopiate (e non a colori) non erano originali. Non c’era la percezione che delle cassette mixate fossero un reato, soprattutto quando nelle strade c’erano spaccio, bande armate e pallottole volanti. All’inizio, questa percezione non ce l’avevano neanche i fratelli Frattasio.
In questa storia, il vero e il falso hanno confini molto labili. I napoletani finirono per chiedere nei negozi di dischi i medley/remix delle cassette pirata – li cantava Peppe, associando brani che non avevano nulla a che fare l’uno con l’altro – e rimanevano delusi quando scoprivano che non esistevano.
A un certo punto, Mixed by Erry assunse il ruolo di una casa discografica vera e propria. I tre fratelli crearono un loro sistema di “talent scout” in grado di individuare e segnalare novità musicali interessanti. Molti neomelodici furono danneggiati dalla pirateria, ma tanti altri devono la loro fortuna proprio alle bonus track in coda alle cassette piratate di Gigi D’Alessio o Nino D’Angelo.
Nel libro Se Steve Jobs fosse nato a Napoli, Antonio Menna immagina che il primo computer sia stato inventato da due ragazzi dei Quartieri Spagnoli e non in un piccolo garage sulla Crist Drive, in California. Ovviamente, ci si mette di mezzo la camorra, la burocrazia, la corruzione e la Apple non nasce affatto.
È provocatorio associare questo romanzo alla storia dei Frattasio, eppure è difficile non chiedersi cosa sarebbe successo se i fratelli fossero nati altrove o se fossero riusciti a legalizzare il loro marchio (ci provarono, ma con scarsa convinzione e pochi risultati). Invece, la loro corsa finì in carcere. Mixed by Erry venne stroncato dalla finanza che a un certo punto – anch’essa dopo anni – capì che la pirateria era reato vero. I Frattasio furono avventati, non si fermarono quando ancora potevano e la loro sete di guadagno li portò a perdere tutto ciò che avevano costruito. Perché allora raccontare questa storia, se non si vuole glorificare la loro ascesa? L’esperienza di Mixed by Erry non solo racconta un’epoca passata, ma pone due importanti questioni sul presente.
Nell’era delle AI, delle dispute tra SIAE e Meta, di artiste come Kesha o Taylor Swift in lotta con le loro case discografiche, dei colossi dell’intrattenimento e di un mercato musicale appannaggio di pochi, qual è il confine tra tutela e monopolio, tra pirateria e imprenditoria, tra plagio e remix, tra furto e libera diffusione delle idee?
E infine: è giusto, nella città della contraffazione, arrivare a falsificare perfino la città stessa? I panni freschi di bucato ormai si mescolano con quelli appesi per lo sguardo dei turisti, su nuovi bar e cuopperie spunta la dicitura “dal 1930” e ogni vicolo è diventato la parodia di se stesso per dare l’impressione di trovarsi in un luogo rimasto autentico e popolare, legato al suo passato di miseria.
Pulcinella è vero e falso – vero nella sua fame, falso perché si è messo a fare il testimonial di pizzerie e b&b – e lo scudetto ha dimostrato che perfino un riscatto pezzotto può essere venduto come reale. Non ce ne dobbiamo preoccupare perché la mistificazione è coerente con lo spirito partenopeo? Forse: da sempre qui si vendono leggende, miti e bugie. Stiamo parlando della città di Pacco, doppio pacco e contropaccotto, di Totò truffa 62 e di Stangata napoletana, la stessa città in cui il padre dei fratelli Frattasio vendeva tè ai soldati americani spacciandolo per Jack Daniels.
Eppure, nemmeno lui approvava il business dei suoi figli. Forse, perché si era reso conto che stavano andando troppo oltre. E questo è il punto di quest’ultima, folle falsificazione: va troppo oltre e rischia di far perdere ai napoletani ogni cosa. Sono loro a star perdendo il possesso della loro città, a essere sfrattati da case e botteghe per far spazio ai turisti che un tempo truffavano.
Non ci stiamo fermando finché possiamo: dove finirà la nostra corsa?