A volte la vita decide di regalarci dei micro-misteri e di consegnarceli nel modo più buffo che ha a disposizione: facendo sì che ci inciampiamo per caso, senza date, coordinate o mezzi prestabiliti.
Si tratta di misteri diversi da quelli contenuti in un romanzo giallo, una serie tv poliziesca o una delle – ahinoi troppo frequenti – inchieste delittuose che affollano la cronaca televisiva e le pagine dei quotidiani.
Spesso questi micro-misteri non sono spaventosi, tantomeno ansiogeni, bensì velati da una patina di malinconia e fondati sul carattere dell’indefinitezza. Essi ci colmano di curiosità, lasciandoci con l’aria simile a quella di un bambino che, distrattosi nella folla, tiene fisso lo sguardo su un oggetto-soggetto che normalmente non lo avrebbe minimamente colpito.
Il caso delle fotografie di Christina – la ragazza vestita di rosso – rientra a pieno titolo nella suddetta, enigmatica categoria.
Abituati come siamo alle infinite possibilità di modifica in post-produzione che investono oggi il prodotto fotografico, non sarebbe così strano se osservando questa particolare serie la ritenessimo semplicemente un editoriale per qualche rivista di moda o di fotografia specializzata, attribuendone il mood a un voluto effetto anticato e alla preparazione della modella, studiata per apparire decisamente retrò.
Tuttavia, qualcosa nelle foto – se queste a una prima occhiata possono non elicitare direttamente un dubbio vero e proprio – ci incuriosisce al punto da volerne sapere di più. Ed è qui che il mistero fa capolino per una prima ragione.
Indagando, si scopre infatti che le istantanee sono state scattate da un ingegnere inglese, Mervyn O’Gorman, nella contea britannica del Dorset, più di un secolo fa, precisamente nel 1913.
Una delle caratteristiche più ingannevoli è sicuramente che esse siano a colori, nonostante precedenti lo scoppio del primo conflitto mondiale, le cui testimonianze a colori vengono spesso indicate come le prime in assoluto della storia.
Il procedimento con il quale queste immagini sono state colorate è denominato autocromia (autochrome) ed è effettivamente molto interessante, dato che si discosta dai molteplici che prevedevano l’applicazione a mano del colore sulla foto già sviluppata, utilizzati nei primi dagherrotipi e nelle fotografie ottocentesche.
Brevettata dai fratelli Lumière nel 1903, l’autocromia procede per sintesi additiva spaziale in cui i colori vengono ottenuti tramite una miriade di granelli di fecola di patate, tinti con pigmenti dei colori primari e racchiusi in una sottilissima lastra di vetro che viene poi ricoperta con un’emulsione fotografica, impressionata e sviluppata più volte.
Svelato questo primo enigma, si subisce subito il fascino del secondo, interrogandosi sull’identità della ragazza ritratta.
Tale interrogativo ha scatenato infatti, in Inghilterra, una vera e propria corsa a ostacoli per riuscire a risalire al cognome di Christina, la giovane modella nelle foto.
La prima ipotesi formulata la connotava quale figlia dello stesso O’Gorman ma diversi dettagli biografici dell’ingegnere non supportavano la versione, infittendo il mistero. Un giorno del 2015, però, si arrivò a una svolta decisiva quando il pensionato Stephen Riddle contattò il National Media Museum – dove le foto erano esposte – informando di essere in possesso di altre immagini firmate O’Gorman, nelle quali veniva finalmente riportato anche il cognome della famiglia della ragazza.
Christina Elizabeth Frances Bevan, nata l’8 marzo del 1897 ad Harrow e deceduta nel 1981 all’età di 84 anni, era la figlia del filosofo Edwyn Bevan, insegnante al King’s Cross College di Londra e amico di O’Gorman.
Nonostante Christina sia stata identificata e collocata in un tempo finito e umano, le foto che la ritraggono appena sedicenne, di proprietà della Royal Photographic Society, restano immagini immortali, momenti fissati in un tempo indefinito e per questo sorprendentemente moderno. Infatti, eccezion fatta per l’abbigliamento – il cui colore rosso non è casuale, dato che questa tinta veniva resa particolarmente bene tramite l’autocromia – non esistono negli scatti elementi tali da connotarli cronologicamente poiché ambientati in un contesto principalmente naturale – quello della spiaggia di Lulworth e del giardino di una villa – e che Christina è l’unico elemento umano a figurarvi.
Questa caratteristica, insieme alla maestria dell’autore, conferisce loro l’intrigante senso di genuinità che le pervade, intrise di una bellezza eterna e di un’appagante senso di assoluto.
Foto: The Royal Photographic Society Collection © Victoria and Albert Museum, London.