Il silenzio è interrotto, spesso, da troppe chiacchiere, come quelle fatte di numeri, promesse e parole che il Ministro per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo Dario Franceschini ha pronunciato lo scorso 7 maggio alla Camera dei Deputati, dove si è discusso di tax credit o bonus vacanze, di teatro, cinema e musei. Ma il lungo – perché lo è davvero – elenco di figure professionali che lavorano nell’ambito turistico-culturale non si ferma soltanto a questi settori, è composto da tantissimi operatori, ancora oggi, considerati fantasmi.
Numeri alla mano la situazione è chiaramente drammatica: l’OCSE, Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, prevede una diminuzione del 45% del turismo internazionale per l’anno 2020, ma l’imprevedibilità del COVID-19 potrebbe ridurre o ampliare la crisi fino al 70%. Dati condivisi anche dal World Travel and Tourism Council, che stima una perdita di 100 milioni di posti di lavoro in tutto il mondo, di cui 75 solo nei Paesi del G20 e 13 in Europa. A tal proposito, Gloria Guevara, Presidente e CEO del WTTC, ha dichiarato: «È un cambiamento sconcertante e profondamente preoccupante. Solo nell’ultimo mese, la nostra ricerca mostra un aumento di 25 milioni nel numero di perdite di posti di lavoro nel settore viaggi e turismo. L’intero ciclo del turismo viene spazzato via dalla pandemia. Abbiamo avvisato i Ministri del G20 e informato su come i governi devono intervenire rapidamente per sostenere e proteggere il nostro settore. Viaggi e turismo sono la spina dorsale dell’economia globale. Senza di essa, le economie globali faranno fatica a riprendersi in modo significativo e centinaia di milioni di persone subiranno enormi danni finanziari e mentali per gli anni a venire».
Viaggi e turismo, infatti, contribuiscono al 10.3% del PIL globale, sono responsabili della generazione di uno su quattro dei nuovi posti di lavoro nel mondo e, per nove anni consecutivi, hanno superato la crescita dell’economia planetaria. Un concetto che da noi sembra ancora non essere chiaro. Eppure, se ogni volta che il Paese vive un periodo di recessione – e l’Italia lo sta vivendo ormai da tanto – ogni speranza viene riposta nei beni culturali la motivazione è semplice: tutti sono consapevoli che abbiamo il più grande patrimonio storico-artistico a livello mondiale e fare leva su questo può davvero essere la risposta che cerchiamo per risorgere.
Già ad aprile, il Ministro Franceschini aveva espresso preoccupazione ribadendo che il turismo è un settore strategico dell’economia: «Le nostre imprese sono in larga parte di medie e piccole dimensioni perciò è fondamentale che ogni scelta che verrà presa, anche a livello internazionale, veda il coinvolgimento di tutte le categorie del settore». Il decreto Cura Italia, approvato dal Consiglio dei Ministri lo scorso marzo, ha dunque previsto per i beni culturali un fondo pari a 20 milioni di euro, dei 130 totali, da destinare a realtà delle arti performative che non hanno ricevuto contributi provenienti dal FUS – Fondo Unico per lo Spettacolo – del 2019. Come spiegato dallo stesso Franceschini, nessun artista verrà dimenticato, così come nessun attore, musicista o lavoratore del mondo dello spettacolo. Un primo approccio che, però, non risulta soddisfacente perché taglia fuori altre figure, in particolar modo quelle che lavorano nel mondo dell’arte e del turismo.
Non c’è dubbio che le arti performative stiano subendo una grande crisi, soprattutto perché non si sa per quanto tempo cinema e teatri resteranno chiusi al pubblico, così come sono stati e saranno cancellati concerti, eventi e festival. E sebbene il decreto Cura Italia preveda misure per i lavoratori dei settori del turismo, della cultura, dello spettacolo, del cinema e dell’audiovisivo, non vengono mai nominati gli artisti in senso stretto. Ma se in Italia sono state quindi create precise distinzioni tra le categorie creative, in altri Paesi sono in corso iniziative economiche a sostegno di tutti gli astisti: tra questi spicca la Gran Bretagna che con l’Arts Council England ha messo in piedi una strategia con “pacchetto di emergenza” per sostenere le organizzazioni e gli artisti in difficoltà, ma non solo; Berlino ha stanziato 500 milioni di euro destinato ad artisti e liberi professionisti della città senza discriminazione di reddito o età, unico requisito la residenza berlinese; l’America con il J. Paul Getty Trust, una delle istituzioni artistiche più ricche del mondo, ha attivato un fondo di 10 milioni di dollari per musei e organizzazioni no profit gestito dalla California Community Foundation e con l’Andrew W. Mellon Foundation è stato creato un altro fondo da 10 milioni di dollari per gli artisti USA, in collaborazione con 23 fondazioni.
In Italia, intanto, è stata ufficializzata la riapertura di musei, biblioteche e mostre per il 18 maggio, una decisione particolarmente voluta dal MiBACT. Seppur la data possa non sembrare prematura quanto quella delle librerie – che hanno avuto pochissimo tempo per poter organizzarsi e svolgere le procedure necessarie –, probabilmente non si è tenuto conto delle necessità e unicità che ogni luogo di cultura rappresenta e racchiude in sé. Nonostante Confcultura abbia redatto un vademecum di sicurezza già nel mese di aprile, infatti, a oggi il Ministro Franceschini dichiara che anche in questo caso arriveranno indicazioni dal Comitato tecnico-scientifico e, ascoltando il suo intervento alla Camera, sembra che il tempo trascorso non abbia portato consiglio: si continuano a ribadire concetti ampiamente ripetuti e che nel concreto suonano quali soluzioni tappabuchi. Tra queste la creazione di una Netflix della cultura, come l’ha definita lo stesso Ministro: «Stiamo ragionando sulla creazione di una piattaforma italiana che consenta di offrire a tutto il mondo la cultura italiana a pagamento, che può servire in questa fase di emergenza per offrire i contenuti culturali con un’altra modalità, ma sono convinto che l’offerta online continuerà anche dopo: per esempio, ci sarà chi vorrà seguire la prima della Scala in teatro e chi preferirà farlo, pagando, restando a casa. […] In queste settimane di lockdown si è capita fino in fondo la potenzialità enorme del web per la diffusione dei contenuti culturali, c’è stato un esplodere di creatività, ed è proprio questa la base di partenza per sviluppare un progetto più strutturato». La creatività di cui parla Franceschini, però, non è altro che il risultato di personalità che si sono messe in gioco, in prima persona, cercando di non fermare la cultura. Lasciar fare agli altri, poggiarsi semplicemente sull’inventiva delle singole realtà, non può essere la soluzione. Non ci si può limitare a parlare di numeri in un’aula, bisogna approfondire le unicità di ogni settore: cultura e turismo vanno vissuti perché rappresentano quasi il 15% del PIL italiano.
Le difficoltà sono evidenti e spesso spiegate nel dettaglio, come ha fatto Iole Siena, Presidente del gruppo Arthemisia, una delle principali aziende italiane attive nell’organizzazione di mostre: «Le imprese che operano nel settore della cultura hanno subito perdite enormi a causa della chiusura obbligata delle attività». Il suo settore, ha spiegato, è uno dei più colpiti per due motivi: «Il primo è perché vive soltanto sugli incassi delle biglietterie, che sono di fatto bloccate dalla metà di febbraio; il secondo è che i costi si sostengono al 95% prima dell’apertura, mentre i ricavi sono tutti successivi. Quindi, cosa è successo con la chiusura improvvisa? Le imprese si sono trovate con tutti i costi delle mostre aperte o in apertura ma senza incassi. E, considerando i costi non proprio contenuti, si parla di qualche milione di euro». Opinione che sembra essere condivisa da Paolo Giulierini, Direttore del MANN (Museo Archeologico Nazionale di Napoli) che ha dichiarato che l’apertura ufficiale del museo avverrà il 2 giugno. Ovviamente ci sono realtà già pronte come gli Scavi di Pompei e le Gallerie degli Uffizi, tuttavia ancora una volta traspare una mancata e precisa organizzazione, così come è evidente una mancanza di condivisione di idee e conoscenza che fa storcere il naso perché, come ribadito dal Ministro Franceschini, i musei sono luoghi di cultura, considerati un servizio pubblico essenziale per la vita delle persone. In quanto tali, quindi, dovrebbero essere messi tutti nelle condizioni di operare – e al meglio – riaprendo con le giuste misure di sicurezza procedendo, poi, nella stessa direzione.
Del resto, come sostiene Jeffrey Schnapp, umanista newyorkese, non ci saranno mai risorse pubbliche a disposizione per tutti. Il suo invito, dunque, è a reagire in forma strategica modellando nuove partnership tra il pubblico e il privato attraverso un atteggiamento imprenditoriale creativo, non nel senso finanziario del termine, quanto per lo spirito, l’avventura di andare oltre i confini di una specializzazione per cercare aree dove convergono e interagiscono diverse competenze, diversi settori. Un invito alla trasversalità, dunque, che non andrebbe del tutto ignorato. Sembrano della stessa opinione Massimo Bray, Direttore generale dell’Istituto Treccani, nonché ex titolare del MiBACT, e Massimo Cacciari, filosofo, politico e accademico, che durante una chiacchierata online hanno discusso proprio della gestione dei beni culturali, un tema che, ancora oggi e in particolar modo nel delicato periodo che stiamo vivendo, sembra sospeso tra realtà e illusione.
La gestione del nostro straordinario patrimonio deve essere dinamica e creativa affinché si possano riconquistare mercati importanti e più competitivi in termini di comunicazione e risorse spese. Stato e regioni dovrebbero lavorare insieme piuttosto che proseguire una strada fatta di concorrenza e perdita di vista dell’obiettivo più importante: valorizzare l’Italia. Avere una politica particolarmente attiva nella promozione generale del Paese potrebbe fare la differenza nell’immediato futuro, ma per poter agire prontamente affinché questo immediato futuro sia il più roseo possibile, c’è bisogno di una linea d’azione chiara e di idee precise da portare avanti. Al momento, però, sembra che il tema sia ancora sospeso tra realtà e illusione.
Ma diciamo anche che il ministro ha già fatto danni al sistema cultura Italia, quindi potrebbe anche smetterla di proporre idee strampalate e ascoltare le associazioni di categoria e le varie associazioni che rappresentano i professionisti della cultura (spesso molti ancora non hanno un riconoscimento ufficiale e professionale da parte dello stesso ministero che cincischia su temi di secondo piano)!!