Quattrocento abitanti e, almeno, sessanta migranti morti. La prima domenica di Quaresima a Steccato di Cutro, frazione del crotonese, è un tappeto di legno scheggiato, lenzuoli bianchi e fiori gialli a preannunciare la primavera. È uno scherzo sinistro del destino quello della vita che si impone con anticipo e della morte che spazza via tutto. Il segno tangibile che poca roba siamo, anche quando giochiamo a governarle entrambe. Lontano, ma ad appena pochi passi, una madre urla disperata il nome di suo figlio. Urla al cielo, forse alle onde alte, urla al suo stesso bambino che chissà se risponderà.
È un viaggio che hanno iniziato insieme quello verso l’Italia, l’Europa, verso la libertà. Con loro, su quella barca spezzatasi in due, erano probabilmente duecento. Con lei, in piedi sulla battigia, ce ne sono meno della metà. Di tanti, il mare ha già restituito i corpi, i vestiti, le scarpette di passi spezzati ancor prima di essere compiuti. Di molti, forse, non restituirà nemmeno il ricordo. Venivano dall’Iran, dall’Iraq, dall’Afghanistan, dalla Somalia, dal Pakistan. Da terre di guerra e carestia, di violenza e sopraffazione. Terre di tante missioni di pace. Quattro giorni fa erano salpati dalla Turchia; domani, per loro, non ci sarà alcun degno funerale.
C’è un detto secondo cui se da Izmir vai sempre dritto, arrivi a Roccella Jonica. La rotta che collega la Turchia alla Calabria è antica e dispendiosa. Solo nel 2021, gli sbarchi nella regione meridionale sono stati il 15% del totale. Molti di più quelli nel 2022, con un incremento che sembra costante e destinato a crescere nei prossimi anni, anche e soprattutto a causa di scelte comunitarie che relegano i migranti a dannati della Terra. La geografia delle rotte migratorie si adegua al clima propagandistico e normativo dell’UE, che rende le traversate sempre più complesse e pericolose. Così, mentre si investe in sistemi di sicurezza sofisticati, si alzano muri e finanziano dittatori, sono trafficanti e mafie ad approfittare della disperazione delle persone migranti cercando nuovi profitti e battendo nuove strade. Loro, ma non solo loro.
A oggi, la rotta turca è molto più costosa di quella libica o di quella tunisina – da cui passa la maggior parte delle persone che arriva in Italia. Ma è anche la più sicura, soprattutto se significa sfuggire alla polizia di frontiera, l’incubo dei migranti di tutto il mondo, i sicari dell’accoglienza in doppio petto. E di divise, lungo la rotta balcanica, se ne incontrano molte. A terrorizzare più di altre, però, è quella croata, l’immagine della frontiera europea di cui chi scappa porta i segni sulla pelle. La zona presidiata è il confine di terra più lungo dell’Unione, pattugliato da uomini armati, termoscanner, droni, cani, una zona dalla quale non si esce – se si esce – mai del tutto indenni. In confronto, la via del mare fa molta meno paura.
Attraversare il Mediterraneo dalla Turchia costa dai quattromila ai diecimila dollari, ma spesso le imbarcazioni utilizzate sono barche a vela o yacht. Un traffico redditizio di esseri umani che passa in sordina e attira, molte volte con l’inganno, marinai convinti di aver trovato un buon lavoro alle dipendenze dei signori d’Europa. Sono turchi, sono ucraini, partono skipper, arrivano scafisti. Come Vasilij, fuggito dalla Crimea per non andare al fronte a combattere la Russia, a riprova che le guerre hanno sempre origini lontane: «Ci hanno detto che ci avrebbero pagato cinquecento euro a persona e che rischiavamo al massimo di essere espulsi dal Paese». E, invece, ha trovato due anni e quattro mesi di reclusione.
Dall’inasprimento delle politiche migratorie del 2020 alle violenze al confine greco-turco, dalla disumanità di Lesbo al gelo dei boschi in Bosnia, la rotta calabra va consolidandosi sempre più, mettendo a dura prova il sistema di accoglienza locale, caratterizzato – per questo – da scarsa chiarezza nelle procedure e disponibilità dei fondi in particolare per ciò che concerne i minori non accompagnati o le persone con esigenze specifiche a cui si fatica a rispondere. La situazione sul litorale vive, dunque, un’emergenza costante che non può rendersi sostenibile, non a lungo, non in Paese e in una comunità internazionale che vogliono definirsi civili. Ma è questo, e non altro, che si ottiene quando si finanzia la tortura e si demonizza l’umanità.
Non solo Libia, infatti, non solo lager a trattenere i migranti con i soldi che Roma dirotta fieramente nelle casse di Tripoli e il sostegno silenzioso di un’Europa che sta a guardare. La rotta balcanica è la tratta meno raccontata tra quelle attive a Oriente, eppure ogni anno è protagonista di migliaia di viaggi della speranza, dal confine croato alle acque dell’Evros, lì dove molti corpi vengono recuperati e altri persi per sempre. Dal 2016 è quasi del tutto chiusa in seguito al discusso accordo – noto come dichiarazione congiunta – che ha visto l’UE promettere alla Turchia circa 8 miliardi di euro affinché potesse gestire l’enorme numero di profughi, sorvegliare al meglio il confine con la Grecia e costruire strutture idonee all’accoglienza dei migranti. Ma sappiamo tutti com’è andata.
L’accordo ha violato varie leggi internazionali e non ha impedito a Erdoğan di aprire le frontiere per minacciare l’Europa e sfruttare la disperazione di milioni di persone. Non ha impedito la rotta calabra e nemmeno quella pugliese. Erdoğan che più di altri, oggi, detiene le chiavi Vecchio Continente e della pace sul suo territorio, il mediatore tra Russia e Ucraina. Lui, il dittatore, lo speculatore, l’amico di Giorgia Meloni, il Presidente del Consiglio che prova «profondo dolore per le tante vite umane stroncate dai trafficanti di uomini».
«È criminale mettere in mare un’imbarcazione lunga appena venti metri con ben duecento persone a bordo e con previsioni meteo avverse» ha dichiarato il Premier, commentando i fatti di Steccato di Cutro. «È disumano scambiare la vita di uomini, donne e bambini col prezzo del “biglietto” da loro pagato nella falsa prospettiva di un viaggio sicuro. Il Governo è impegnato a impedire le partenze, e con esse il consumarsi di queste tragedie, e continuerà a farlo, anzitutto esigendo il massimo della collaborazione dagli Stati di partenza e di provenienza». In che modo, come in Libia?
Le parole di Meloni – le stesse che l’intero esecutivo ha fatto sue – nascondono deliberatamente che è proprio la politica della chiusura che genera tragedie come quella sul litorale calabrese. Che nulla può impedire le partenze, se non il reale interesse ad analizzare e risolvere quelle che sono le cause che le generano. Lo ha detto Mattarella, che ha invitato l’Europa a farsene scrupolo, ma è una dichiarazione di circostanza se si firmano i Decreti Sicurezza o il Decreto Immigrazione. Sappiamo bene che nessuno, in nessun Palazzo di Roma o di Bruxelles, ha questa sensibilità. Non ne ha Meloni, che per anni ha ripetuto il leitmotiv dell’impraticabile blocco navale; non ne ha Salvini, che oggi prega per questi poveri morti; non ne ha Piantedosi, che è volato in Calabria senza nemmeno un po’ di vergogna.
Non è trascorsa nemmeno una settimana da quando il decreto, ormai legge, che porta il suo nome ha reso praticamente impossibile il soccorso in mare. Il nuovo codice di condotta delle ONG – che, di fatto, prosegue il processo di criminalizzazione delle organizzazioni non governative e costringe le navi a sottrarsi all’obbligo di soccorso – sta spopolando il Mediterraneo e questa non è una buona notizia: ostacolare il lavoro umanitario significa, infatti, più morti e meno salvataggi, più tragedie e meno sicurezza. Significa palesare la propria condizione di mandanti, di assassini, di disumani intenti.
Chissà se il Ministro dell’Interno ha incrociato anche solo uno sguardo di quel carico residuale. Chissà se si è accorto del lenzuolo troppo grande per avvolgere un neonato destinato a restare tale per sempre. Chissà se nella sua intenzione di fermare le partenze avrà riconosciuto la crudeltà di simili scelte. Se riuscirà a metterle in discussione. Se almeno le urla di una madre che cerca suo figlio muovono qualcosa nell’animo granitico di chi dei morti si impegna a fare solo la conta. Nemmeno i fiori gialli a preannunciare la primavera possono molto su terre tanto aride. «Fermare i trafficanti di esseri umani è un dovere morale di tutti, soprattutto per salvare vite innocenti» ha dichiarato Matteo Salvini, che con Piantedosi ha scritto le leggi rivendicate con tanto di cartello. Ma è Giorgia Meloni a riassumere meglio il concetto: «Si commenta da sé l’azione di chi oggi specula su questi morti». Appunto.