Una delle grandi rivoluzioni di Michela Murgia è stata quella di parlare di morte, in maniera franca e non edulcorata, in una società profondamente tanatofobica.
Parlare di malattia inguaribile disvela un orizzonte verso il quale nessuno di noi è preparato a proiettarsi. Le persone tendono naturalmente a fuggire dalla brutalità della realtà concentrandosi su alternative, magari, inefficaci.
Capita, molto spesso, che i soggetti coinvolti vengano tenuti all’oscuro nei riguardi delle proprie condizioni di salute da parte dei familiari. Penso, in cuor mio, non vi sia molestia più grande. Altri la parola “incurabile” non riescono ad accettarla.
L’esempio che Michela Murgia ci ha dato sino in fondo è che l’intervenire sulla presa in carico della fase terminale può fare la differenza, in termini di qualità di vita.
La relazione di cura, dopotutto, si basa sulla consapevolezza che qualcuno si sta occupando di noi e cerca soluzioni per farci stare meglio. Il fine vita è un percorso che non contempla la solitudine.
Le cure palliative sono l’insieme dei trattamenti rivolti ai malati inguaribili al fine di migliorare la qualità di vita, riducendo il livello di sofferenza e dolore, ma non sono ancora abbastanza conosciute.
Tutto parte dal momento in cui a una persona viene fatta una diagnosi infausta. La vita cambia e una giusta comunicazione sanitaria non deve omettere dettagli dolorosi o scomodi ma offrire tutte le informazioni.
Conoscere la propria patologia e l’evoluzione della stessa può dare gli strumenti per sviluppare la capacità di affrontarla e viverla. Penso alla potenza di Come d’Aria, di Ada d’Adamo, che nella tragedia vede un’occasione di amore.
La diagnosi di una malattia non curabile dovrebbe aprire la strada alle cure palliative anche se l’istinto primordiale dell’essere umano è quello del rifiuto della realtà.
L’assistito dedica, molto spesso, le proprie energie residue a controlli, esami, terapie piuttosto che verso scelte diverse. Michela Murgia ci ha mostrato, con lucidità, che cosa significa accettare una fine. La scrittrice incarna tutta la potenza dell’accettazione del fine vita. Controcorrente, come sempre, in un Paese dove la cultura del fine vita manca.
Nell’utilizzo pro capite di morfina, indicatore utilizzato da OMS per definire la qualità della terapia del dolore cronico e il buon funzionamento della sanità pubblica, l’Italia si colloca negli ultimi posti della classifica dei Paesi europei. Quello delle cure palliative è un tema che entrerà necessariamente nelle nostre vite a causa del progressivo invecchiamento della popolazione.
Non solo i malati oncologici terminali necessitano di interventi di palliazione, ma tutti coloro che hanno una malattia grave non guaribile che impatta sulla qualità di vita. Ecco che l’informazione e la comunicazione assumono ruoli cardini per la presa in carico dell’assistito e della sua famiglia.
Michela Murgia ci ha insegnato come morire, vivi, e come dare vita al fine vita. Non possiamo che dirle grazie per quello che è stata e quello che ancora sarà.