Asinocrazia è il termine coniato alcuni anni fa dal politologo Giovanni Sartori per definire le classi dirigenti della politica italiana. Non conoscono vergogna, non prendono lezioni da nessuno. Sono mediocri ma si credono i migliori, scrive invece il giornalista Sergio Rizzo nel suo libro La repubblica dei brocchi edito Feltrinelli. In una società bene ordinata non sarebbero andati molto al di là della qualifica di impiegati d’ordine, diceva Leonardo Sciascia.
A confortarci, si fa per dire, il quadro internazionale dei leader dei maggiori Paesi europei e d’oltreoceano, privi di qualsiasi figura di rilievo, anch’essi protagonisti di mediocrazia, termine caro al filosofo canadese Alain Deneault che parla dei mediocri al potere e presenti in tutti i campi della vita sociale. Insomma, una politica priva di una classe dirigente preparata, all’altezza di amministrare lo Stato e di pianificare il futuro con serietà e competenza, ma per cui l’improvvisazione, la negazione di quanto detto in precedenza e l’irresponsabilità la fanno da padrone.
Un quadro desolante, dunque, svuotato da tempo di figure di riferimento e prestigio, personaggi quasi sempre usciti dai corridoi delle sedi di partito quali galoppini al servizio dei dirigenti di turno pronti a raccogliere anche le briciole: parenti, amici, amanti da gratificare con un incarico, che sia in consiglio comunale, provinciale o regionale, al Parlamento e fino al governo del Paese. Il quadro alquanto fedele di una nazione figlia di una cultura familistico-affaristica, dove tutto è consentito.
Il teatrino mostrato più volte attraverso varie emittenti televisive dalla Presidente del Consiglio nel corso del comizio elettorale in Sardegna e anche il recente intervento alla stampa estera, le continue caricature, le penose vocine dirette alle opposizioni sono un varietà di pessimo gusto per il quale nessun bacio in testa, neanche quello americano, potrà restituire il minimo di credibilità che la carica ricoperta esigerebbe. Ma la squallida farsa non è certamente l’unica andata in onda in questi ventotto mesi di governo e non sarà nemmeno l’ultima, con la confusione del doppio ruolo di premier e di leader di partito della presidente che dovrebbe curare maggiormente la sua immagine nei contenuti e meno in termini estetici.
La sua ascesa al potere accolta con favore perché donna – oltre che madre e cristiana – ricorda un altro primato ottenuto nel lontano 1961 con l’elezione della prima donna alla terza carica dello Stato: Io stessa – non ve lo nascondo – vivo quasi in modo emblematico questo momento, avvertendo in esso un significato profondo, che supera la mia persona e investe milioni di donne che attraverso lotte faticose, pazienti e tenaci si sono aperte la strada verso la loro emancipazione. Così Nilde Iotti nel suo discorso di insediamento alla presidenza della Camera dei Deputati, un ruolo in questo caso esercitato sempre con rigore esemplare nel rispetto di tutte le componenti politiche.
Poi vennero gli anni delle barzellette, dei cucù e delle corna in foto nei consessi internazionali, altro teatrino altre farse, rappresentazioni dell’inizio di un degrado ancora oggi inarrestabile, attraverso eredi politici che cercano di emulare il maestro con grande soddisfazione di una parte di Paese che opportunamente Pasolini definiva senza memoria, il che equivale a dire senza storia.
Una possibile alternativa ancora stenta ad apparire all’orizzonte. Prove in atto si registrano in alcune competizioni regionali e micro-realtà sempre più autoreferenziali, così come tentativi rispettabili di nuove proposte destinate a raccogliere consensi modesti. Realtà che, tuttavia, andrebbero ad aumentare una frammentazione che non porta da nessuna parte. E la destra, seppur sgangherata, pronta a mostrarsi unita e con una prospettiva tranquilla per i prossimi anni, a meno che una delle componenti interne non decida diversamente.
La drammaticità dei tempi che viviamo, con le guerre in atto sempre più cruenti ed estese, è anch’essa frutto di politiche scellerate, di appoggi e complicità che non assolvono nessuno; massacri che portano firme ben visibili e un’irresponsabilità collettiva per cui ancora tanti non si rendono conto del pericolo di un conflitto allargato che può travolgere le nostre vite.
L’Europa non ha mai perseguito il tentativo di un tavolo di pace e il nostro Paese, dopo aver abolito il sostentamento di migliaia di famiglie, ha dato ufficialmente il via all’acquisto di 132 carri armati tedeschi Leopard 2 per un costo stimato in circa 8 miliardi e 246 milioni di euro, sottoscrivendo un accordo di assistenza bilaterale firmato da Meloni e Zelensky che prevede il sostegno italiano all’Ucraina per ben dieci anni. Risorse subito stanziate e disponibili ai danni di quanti nel nostro Paese non hanno di che sopravvivere, tutto nel silenzio più assordante degli italiani e di un’opposizione ancora traballante, parzialmente incerta sull’invio di armi ed equipaggiamenti militari.
Una vergogna senza fine di una classe dirigente irresponsabile e incapace di ribellarsi ai diktat, disponibile a ogni giravolta di chi detiene le fila della guerra. Ciliegina sulla torta e altra iniziativa che qualifica questo esecutivo, il versamento di 16,5 milioni di euro da parte dell’Italia all’Albania per l’apertura di due centri in territorio albanese per tremila migranti, costi che certamente non saranno sufficienti.