Sempre più spesso, quando a parlare è Matteo Renzi non capiamo se sia davvero lui o Crozza che ne fa la parodia. Se così fosse, infatti, ci metteremmo l’anima in pace, ridendo di gusto sentendolo lamentarsi della scarsa considerazione riservata ai giovani all’interno delle proposte per la ripartenza o della situazione in cui versano le scuole. Così come rideremmo di quelle frasi ridicole sulla giustizia e della puntuale confusione tra le responsabilità politiche e morali e le responsabilità giudiziarie (se la magistratura è divisa e la politica è debole e non riconosce la differenza tra giustizialismo e garantismo, il rischio di una deriva modello Tangentopoli è lì. […] Se c’è il vuoto della politica, qualcuno sostituisce quel vuoto. […] Si crea un clima in cui la magistratura svolge un ruolo anche di supplenza della politica). Quando invece parla del Ponte sullo Stretto ci sorge un altro dubbio: non sappiamo più se sia Berlusconi travestito da Renzi o sempre Crozza nei panni del Cavaliere che imita il Senatore toscano.
Ogni volta, quindi, siamo costretti a sgranare gli occhi e a realizzare che sì, è proprio lui: nulla di personale, sia chiaro, ma davvero non comprendiamo come possa trascorrere il tempo a predicare e a dire in che modo rilanciare il Paese come se non fosse stato Presidente del Consiglio per tre anni e segretario del PD per la maggior parte del periodo in cui il suo ex partito è stato al governo. Ciononostante, ha dedicato un intero libro ad alcune ricette per il futuro intitolato La mossa del cavallo, vale a dire quella che l’Italia dovrà fare per rinascere dopo la pandemia, ovviamente pari a quella che lui ha fatto lo scorso agosto per dar vita al Conte bis. Nulla di illegittimo, per carità: un politico ha pieno diritto di avanzare proposte e rivendicare i risultati ottenuti in passato. Ciò che lascia non poco sorpresi, tuttavia, è la sua tendenza a mostrarsi quale salvatore della patria, fingendo di estrapolare dal cilindro gli strumenti magici per risolvere i problemi relativi a infrastrutture, scuole, economia, lavoro e magistratura. Problemi esistenti per i quali la domanda sorge spontanea: perché non ci ha pensato prima, quando era l’uomo più potente d’Italia? Lui, che in pochi anni è passato da NO TAV a SI TAV, lo stesso che oggi dice che parte degli utili delle imprese dovrebbe andare ai lavoratori ma al governo ha abolito l’art.18, che immagina un futuro in cui anche l’economia sarà a portata di smartphone ma nel 2015 ha alzato l’uso del contante da 1000 a 3000 euro?
Contraddizioni a parte, il peggio arriva quando afferma – come ha dichiarato in una recente presentazione del libro insieme a Enrico Mentana – che il problema della politica è di non essere riuscita a pensare e a dare un’idea di futuro per i giovani, a differenza delle generazioni precedenti che, invece, hanno goduto di questo privilegio. E, specifica il leader di IV, le colpe ricadono su tutta la classe dirigente, compresi editoria e impresa. Ebbene, concordiamo talmente tanto con questa affermazione che stavolta non siamo sorpresi dal fatto che sia lui a farla, piuttosto siamo incazzati perché ci chiediamo dove trovi il coraggio colui che per una volta avrebbe potuto rappresentare il nuovo e che si era dipinto come rottamatore ma che, appena arrivato al potere, ha dimenticato che quello che doveva rottamare non era questo o quel compagno – termine a lui indigesto – di partito bensì un’idea chiusa, limitata e divisiva di politica che andava scardinata. E, invece, non ha fatto altro che incarnarla, rivelandosi peggiore di chi lo ha preceduto e contribuendo a negare una opportunità di futuro, lui che è stato il premier più giovane della storia repubblicana italiana.
Per questo noi possiamo essere titolati a pretendere una visione di ciò che verrà ma non può farlo chi con la Buona Scuola ha creato la figura del preside-manager, chi si è preoccupato di distribuire qua e là i famosi 80 euro anziché creare posti di lavoro stabili né chi ha perseguito azioni intente ad aumentare il precariato. Peccato, dunque, perché se ieri aveva tante mosse del cavallo, oggi il Senatore si accontenta di far tremare ogni tanto il governo per dimostrare di essere ancora in vita, ben consapevole che, se si votasse domani, questo sarebbe l’ultimo giro di boa per lui e per suoi. Ecco perché, anziché un cavallo che prova lo scacco matto, quelli di Matteo Renzi sembrano somigliare sempre di più agli ultimi colpi di coda di una lucertola politicamente moribonda.