Nel cuore del centro storico della città di Napoli, nel quartiere di Materdei, sorge il centro sociale Ex OPG – Je so pazzo, un luogo d’incontro gestito da ragazzi che hanno fatto del mutualismo, della solidarietà, dell’ascolto e dell’assistenza alle categorie più deboli della società i tratti caratteristici della propria carta d’identità. Spesso oggetto di controversie, i ragazzi dell’Ex OPG, sono diventati, in poco tempo, una voce ben distinta nel coro della città partenopea, soprattutto per ciò che riguarda la difesa degli spazi pubblici, la tutela del ceto medio della popolazione cittadina e la rivendicazione dei diritti delle minoranze. Una voce, però, per quanto forte, ostinata, contraria, se urlata in una vuota vallata gode di un’eco temporanea prima di mischiarsi al vento e perdersi nel vuoto circostante. È forse questa consapevolezza, mista a quella spontanea esigenza di determinare da sé gli eventi circostanti le proprie attività, che li ha spinti, all’indomani dell’assemblea del Brancaccio svoltasi a Roma lo scorso giugno, a comporre una formazione politica alternativa ai partiti soliti, ai gruppi presenti nelle stanze del Parlamento italiano. Con Potere al Popolo, nata dalla fusione di Ex OPG con altre realtà sociali del Paese e alcuni partiti ormai lontani dalle logiche tradizionali, intendono dare fiato a quel loro urlo distorto e prolungarlo nel tempo, raccogliendo il malcontento delle classi deboli, degli studenti, degli immigrati.
Matteo Giardiello, giovanissimo attivista del centro sociale sorto presso la sede dell’ex ospedale psichiatrico giudiziario napoletano, è uno dei responsabili di questo tentativo di rivoluzione dal basso. Lo abbiamo intercettato telefonicamente nel corso del tour di assemblee territoriali che sta avendo luogo in tutta Italia.
Matteo, cosa vi ha spinto a mettervi in gioco e a decidere di formare una lista per concorrere alle prossime elezioni?
«Lo scorso giugno, fummo cacciati dall’assemblea del Brancaccio dove non ci fu permesso neanche di parlare. In una lunga lettera denunciammo che quella che si stava andando a formare era una lista composta da tutti gli esponenti fuoriusciti dal Partito Democratico i quali, essenzialmente, stavano per creare un contenitore di rimescolamento anziché uno reale per gente di sinistra che guardasse a quelle che sono le nostre istanze. Questa esperienza, infatti, ha lasciato un vuoto molto grande rispetto a quelli che sono i bisogni delle persone. La nostra mossa è una pazzia totale, ne siamo consapevoli, siamo una piccola realtà nata in un contesto cittadino. Puntiamo a entrare nel dibattito pubblico, ossia, a spezzare quell’asse di continuità di una campagna elettorale che vedrà il contendersi tra PD – per noi un partito di centro, centrodestra –, 5 Stelle – destra – e Lega Nord. Immaginate un dibattito, ad esempio, sul tema dell’immigrazione tra queste tre forze? Le nostre proposte sono mutualismo, società dal basso, lavoro e dare voce alle minoranze escluse. Insistendo sul territorio, confrontandoci con quelle che sono le realtà che oggi fanno parte di Potere al Popolo, stando all’interno dei nostri soggetti di riferimento e non solo parlando di essi, così possiamo dare voce a chi è escluso dal dibattito pubblico e renderlo protagonista. La nostra volontà, inoltre, era ricucire quel grosso settore di associazioni, centri, anche alcuni partiti, biblioteche popolari, doposcuola sociali che lavora ogni giorno per mettere un freno a quella che è la barbarie totale.»
Cosa intendi quando parli di barbarie?
«Faccio un esempio. Ho iniziato questo tour citando Naim Macak, un operaio che lo scorso 4 dicembre è morto sul posto di lavoro schiacciato da una pressa. Oggi, a sole due settimane da quando ho cominciato il nostro viaggio nelle città italiane, racconto già di sei persone che hanno subito la stessa sorte. Questa è la barbarie. Se pensi, poi, a quello che accade nel Mediterraneo o alla vicenda di Bobb Alagiee, il diciannovenne del Gambia sparato in bocca a Caserta… Il nostro obiettivo è mettere un freno a tutto questo e ricollegare quei settori che lavorano dal basso che, insieme, potrebbero avere una voce unica e ovviamente più forte.»
Che opportunità sono, per voi, le elezioni 2018?
«Per noi le elezioni sono un mezzo, non il fine. Sono il mezzo per dare eco alle nostre istanze, per non lasciare il dibattito pubblico nelle mani dei gruppi citati prima o anche di Liberi e Uguali, forse liberi da Renzi ma uguali a se stessi, a sempre. Sono le stesse persone che hanno votato il Jobs Act, che hanno votato la Buona Scuola, il Decreto Minniti, che hanno dato quell’imprinting, seppur poi dopo distaccandosi, al fine solo di riprendersi la leadership di quello stesso elettorato. L’ultimo motivo, che mi sento di poter dire ci ha spinto a creare Potere al Popolo – e qui mi collego alla domanda di prima –, è il dovere che abbiamo di riprenderci con gioia, entusiasmo e umanità quella che è una battaglia di tutti i giorni e che rischiamo, invece, di affrontare in maniera depressa, frammentata, molte volte, distaccata. L’agire politico è un qualcosa che riguarda tutti, è un agire umano. La cosa bellissima è che dall’assemblea del 18 novembre, dopo sei ore di discussione, consci di aver dato vita a una vera follia, abbiamo svolto oltre sessanta assemblee territoriali, coinvolto migliaia di persone. Facciamo un lavoro al contrario, non proponiamo un programma ai territori, ma sono i territori che stanno creando un programma. Ognuno porta le proprie esperienze, le proprie esigenze, i propri problemi. Molte persone si stanno rivedendo nel nostro entusiasmo, nel volersi sentire protagonisti di questa bomba che è scoppiata. C’è gente che non votava da anni. Dopo le elezioni tutto questo avrà un seguito, lo scopo è costruire un soggetto concreto.»
Che risultato vi aspettate?
«Dal punto di vista elettorale, sarò sincero, non ci stiamo pensando. Ovviamente, quando cominciamo un qualcosa non lo facciamo per perdere, cerchiamo di raggiungere il massimo risultato possibile. Anche soltanto portare qualcuno all’interno del Parlamento vorrebbe dire fare irruzione dentro le istituzioni attraverso la nostra voce, è più importante il processo che il risultato in senso stretto. Superare la soglia di sbarramento sarebbe una vittoria. Riuscire a mettere una casalinga lì dentro, un disoccupato, un operaio, vorrebbe dire non solo far tornare la gente reale a rappresentare se stessa, ma poter utilizzare quelle persone per le lotte di ogni giorno, come strumento di quelle iniziative che continueranno anche dopo le elezioni. Troppo spesso, i partiti fanno grandi promesse, poi, appena occupati i posti di comando si fermano. Quello per noi sarebbe un punto di inizio.»
Come mai, nel voltare la faccia alla politica, avete chiesto l’appoggio di Rifondazione Comunista?
«Ci tengo a fare una premessa. Noi non voltiamo la faccia alla politica tradizionale, come i 5 Stelle, sostenendo che tutti i partiti fanno schifo. Piuttosto, crediamo che la politica significhi collettività e Rifondazione Comunista è presente in molti territori accompagnando con il suo operato diverse lotte. È l’unico partito che ha detto di no alla coalizione di Pietro Grasso, che ha sostenuto chiaramente di non volersi alleare con D’Alema, Bersani, con quelle persone che sono gli artefici della condizione attuale. Crediamo che la politica debba prendersi cura dei problemi di ogni giorno, ma quella politica dobbiamo ricostruirla noi. Abbiamo lanciato il nostro appello a chiunque credesse di dover invertire la rotta e chiunque si è trovato d’accordo lo abbiamo accolto.»
Chi sarà un eventuale candidato Premier?
«Non stiamo ragionando su questo aspetto perché ci sembra assurdo, allo stato attuale, mettere alla testa di questa collettività una persona sola. Quando bisognerà esprimerlo, verrà fuori dalle varie assemblee territoriali sui singoli territori. Sarà un capo simbolico. Ogni territorio avrà un proprio portavoce e si interfaccerà con i media, con i giornali, darà voce alle proprie istanze.»
Come pensate di prendervi gli spazi che vengono offerti in larga parte al PD, a Salvini o a Berlusconi, fino a CasaPound?
«È assurdo che quattro fascisti sventolino una bandiera e si dedichino loro articoli enormi, mentre si organizzano sessanta assemblee territoriali, partecipate da centinaia di persone a ogni tappa, e tutto si tace. C’è, in questo momento, da parte dei media principali, una chiara volontà di non parlare di noi. Ovviamente, dimostreremo che questa lista esiste, è reale, che parliamo di democrazia concreta. Per fare questo dobbiamo arrivare a quante più persone possibili, la nostra non sarà una campagna elettorale classica e, a tal scopo, diverse esperienze e diversi mezzi che di solito non vengono utilizzati dovranno essere parte del dibattito pubblico. Siamo consapevoli del fatto che se ci inviteranno in televisione lo faranno in quarta serata. Per questo sentiamo di ringraziare chi, come voi di Mar dei Sargassi, già adesso ci offre spazio. Non dare voce a questo processo vuol dire non dare visibilità a centinaia, migliaia di persone. Noi staremo sui territori.»
Quali sono i punti cardine del programma?
«Il primo punto si chiama Costituzione. Dopo il Referendum del 4 dicembre scorso si è palesata la necessità, innanzitutto, di attuare la Costituzione e i suoi principi fondamentali che sono i diritti del lavoro, i diritti per ogni minoranza a godere della propria dignità, i diritti che puntano a un’equa ripartizione della ricchezza. Anche solo l’applicazione degli articoli fondamentali sarebbe, oggi, un qualcosa di radicale. Il secondo riguarda il lavoro. Crediamo che l’occupazione sia una priorità assoluta, crediamo nella sicurezza, in contratti giusti, quelli che il Jobs Act ha cancellato favorendo il lavoro nero e tutto quelle categorie di impiego che portano le persone a essere retribuite con tre euro all’ora, attraverso contratti precari o inesistenti, senza dignità, senza ferie, senza malattie. C’è bisogno, poi, di una reale ridistribuzione della ricchezza. In Italia poche persone hanno molto, troppe persone hanno poco. Una tassazione progressiva è necessaria, oltreché giusta. Infine, andrà affrontata la questione relativa all’immigrazione. È fondamentale sottolineare che un’accoglienza è possibile e che, invece, quella offerta nei cosiddetti CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria) va a garantire guadagni unicamente ai gestori. Altro tema importante sono sicuramente i diritti di tutte le cosiddette minoranze – termine che a noi non piace – come la comunità LGBT. Vogliamo tornare a parlare di politiche di genere. In Parlamento, come ai cosiddetti posti di comando, la componente maschile è sempre preponderante rispetto a quella femminile, le donne sul lavoro sono spesso vittime di ricatti, costrette a nascondere la maternità. Riassumo in tre parole: mutualismo, solidarietà e controllo popolare dal basso. C’è bisogno di creare strutture come la nostra dove offrire aiuto alle categorie in difficoltà, ad esempio, a chi perde il lavoro mettendo a disposizione il supporto di un avvocato, un ambulatorio popolare gratuito a chi non può permettersi il pagamento dei ticket. Bisogna trasformare l’assistenzialismo in mutualismo, offrire una rivendicazione di queste istanze da parte dei soggetti che ne sono protagonisti. Il controllo popolare, poi, è fondamentale per poter vigilare sull’operato delle istituzioni pubbliche, poter dire la propria. Ultimo, ma non per importanza, è la necessità di operare nel rispetto dell’ambiente.»
La vostra esperienza nel capoluogo campano è stata fondamentale per passare, poi, all’azione, fino a Potere al Popolo. Si può dire che c’è, finalmente, un movimento che parte da Napoli, che mette il Sud al centro del programma di governo?
«Questo è un dato che va sottolineato. Il fatto che parta da Napoli non è un caso. Non è un caso che parta da una città che ha subito tantissimo la crisi, anche dal punto di vista dell’utilizzo scellerato dei propri territori, un luogo che affronta quotidianamente i pregiudizi. Napoli e il Sud Italia dimostrano che c’è voglia di rivalsa. La nostra città è la prova di una forte riattivazione popolare e di una nuova voglia di protagonismo che coinvolge persone di ogni età, è tangibile. Proprio nei giorni scorsi un ragazzo ha definito Potere al Popolo il filo che unisce tutte le fragilità. Credo non ci sia definizione più bella. Napoli è stata il motore, ma il Centro Italia, il Nord ci sono venuti dietro in maniera forte e spontanea. A Piombino, ad esempio, ancora si rimarginano le ferite prodotte dalla chiusura dell’acciaieria; a Viareggio c’è una crisi del turismo che dura da anni e che fatica a ripartire, si parla addirittura di un’autostrada che taglierà in due la pineta, un polo attrattivo di grande rilievo. Lucca è ormai una città-vetrina, gli affitti stanno salendo alle stelle, le persone sono costrette ad andar via nei paesi limitrofi. La crisi prodotta dalle politiche di privatizzazione sta colpendo l’intera nazione, ma al Sud se ne avverte maggiormente il peso, siccome il punto di partenza era da una posizione svantaggiata.»
L’ultima domanda riguarda il vostro rapporto con il Sindaco de Magistris. Alle scorse elezioni ne siete stati persino garanti, l’avete spesso appoggiato in passato, oggi qualcuno vi accusa di avergli voltato le spalle. Come vi ponete nei confronti dell’amministrazione partenopea?
«Mi preme sottolineare che il primo difetto di comunicazione che c’è stato in questi anni è una comunanza a stretto filo tra quello che era l’Ex OPG e quello che era de Magistris. Abbiamo un rapporto con l’amministrazione molto chiaro. Abbiamo appoggiato il Sindaco all’inizio perché credevamo e crediamo che si tratti di un’esperienza importante per la città, che abbia riaperto spazi sia pratici che di pensiero e di azione, che sia una sponda molto accogliente delle istanze dal basso. Noi ci proponiamo di portare le nostre voci all’interno di Palazzo San Giacomo, sui tavoli della giunta, di essere pungolo di questa amministrazione. Siamo realtà che viaggiano parallele ma che, al momento, non si sono ancora incrociate, non c’è un motivo particolare, ognuno sta affrontando il proprio percorso in una reciproca collaborazione. Alle prossime elezioni de Magistris ha dichiarato che il suo movimento, DemA, non si candiderà e non sappiamo quale sia la sua posizione rispetto a Potere al Popolo. Non ci sono dichiarazioni pubbliche in tal senso. Di certo, non gli abbiamo voltato le spalle. Godiamo di una nostra autonomia e autonomamente abbiamo preso la decisione di formare questa coalizione, cosa che non va a inficiare o disturbare l’azione del Sindaco. Poi vedremo in futuro se ci potranno essere collaborazioni o incontri sui temi e sulla partecipazione. Non lo escludiamo, ma non posso annunciarlo nemmeno.»