È l’uomo più chiacchierato del momento, l’esponente della politica italiana il cui nome rimbalza da un titolo giornalistico a un altro, da un servizio tv a uno dei tanti dibattiti dei talk show in seconda serata. Stiamo parlando di Paolo Savona, incaricato dalle forze della Lega e del MoVimento 5 Stelle come ministro dell’Economia del governo che, nelle idee di Salvini e Di Maio, avrebbe dovuto essere presieduto dal giurista Giuseppe Conte.
Una vita al servizio delle istituzioni, nel 1993, fu chiamato in emergenza da Carlo Azeglio Ciampi a gestire le partecipazioni statali nell’industria e nel sistema bancario, facilitando le privatizzazioni. Qualche anno più tardi, alle pagine de Il Sole 24 Ore, affidò il suo pensiero sulla moneta unica europea, auspicandole un valore forte, salvo poi invertire la rotta delle proprie considerazioni verso la corrente euroscettica che è stata la fortuna delle forze populiste che, il 4 marzo scorso, hanno avuto la meglio alle urne.
Ed è proprio a questa sua visione anti-europeista che si deve il “no” definitivo a Savona che ha bloccato la formazione del prossimo governo italiano, con il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ha confermato il suo non essere in linea con l’ipotesi di dare un taglio netto alle politiche fino a ora portate avanti dalle legislature precedenti, da Mario Monti fino a Paolo Gentiloni. Una posizione, quella del Capo dello Stato, non solo comprensibile, ma fortemente incoraggiata dalle maggioranze facenti capo a Bruxelles, con la Germania prima sostenitrice della moneta unica quanto dell’Unione stessa, che Salvini e Di Maio, invece, con la scelta di Savona, sembravano voler mettere in discussione.
Anche i giornali esteri, nei giorni scorsi, hanno salutato la proposta del possibile nuovo ministro con scetticismo e preoccupazione. Per gli Stati Uniti, una svolta nazionalista dell’Italia vorrebbe significare la fine dell’esperimento Europa, per i quotidiani britannici, già alle prese con la Brexit, l’eventuale abbandono dei trattati da parte del nostro Paese sarebbe un dramma senza precedenti che si ripercuoterebbe in tempi record sui mercati del Vecchio Continente. Insomma, i nuovi amichetti giallo-verdi, che già si scambiano like a foto profilo e stati su Facebook, come nel più classico rituale d’accoppiamento dell’uomo moderno con la foto della Ferragni sulla testata del letto al posto della Madonna, proprio non piacciono a nessuno, questa coppia di fatto non s’ha da fare. Ironia della sorte, secondo le becere campagne elettorali improntate su odio, razzismo e sessismo dei protagonisti della love story, la passione tra Luigi e Matteo sarebbe davvero da stigmatizzare e bollare al pari di una malattia.
Battute a parte – anche se il sarcasmo appare essere l’unica arma contro lo sconforto naturale che assale qualunque spettatore della condizione politica e sociale tricolore – se ha ancora senso permettere agli elettori di recarsi ai seggi a scegliere i propri rappresentanti, e con essi i relativi programmi, appare fuori discussione che la stragrande maggioranza del popolo italiano appoggerebbe i leader del Carroccio e dei pentastellati in qualsiasi crociata, anche senza un motivo o uno sbocco apparente (cosa che immaginiamo succederà spesso). Pertanto, per quanto comprensibile, il muro eretto da Mattarella nei confronti di Savona non pare in linea con ciò che le urne hanno dichiaratamente espresso. Gli elettori, in coscienza o meno, hanno bocciato tanto le politiche socialdemocratiche quanto quelle liberali che hanno portato a uno stallo totale del mondo del lavoro, a una depressione del sistema scolastico, a una forte mortificazione di quei diritti del cittadino che la Costituzione, al contrario, pone come suoi capi saldi. Non è più importante il mezzo, ma il fine. Quando il futuro non lo si riesce più a immaginare, il popolo guarda solo al presente, ed è ciò che sta accadendo all’Italia in questa sua triste e buia fase storica.
Al tempo stesso, contrastare con forza le idee messe in campo dalle compagini che formano la maggioranza del volere popolare quanto dei seggi parlamentari, consente a queste ultime, per assurdo, di rafforzarle oltre ogni misura. Immaginate Salvini e Di Maio, principi dello slogan a tutti i costi e del Vaffa libero, che trattamento riserveranno alle forze democratiche, ora già indicate come responsabili della colpa di non garantire ai vincitori delle elezioni di operare solo secondo la propria volontà? È la vittima che fornisce l’alibi perfetto al colpevole.
Come sopra, poco importa se il compito del Presidente Mattarella sia esattamente questo, l’elettorato ha già dimostrato, proprio dando massima fiducia alle formazioni populiste, di non guardare più a nulla con lucidità, di giudicare solo e soltanto con i nervi scoperti dalle mazzate prese recentemente da ammucchiate improbabili e governi tecnici. Ormai a questo punto – a parer nostro, il Capo dello Stato non avrebbe dovuto permettere tempi e consultazioni tanto lunghe e rimandare al voto dopo la scadenza del suo ultimatum – consentire a Salvini e Di Maio di provare ad attuare l’assurdo programma con cui hanno fatto breccia tra gli italiani potrebbe essere l’unica garanzia di vederli sparire presto dalla scena politica, vittime delle proprie promesse non tramutabili in atti concreti. Con o senza Savona.
Cosa succederà quando dopo un’eventuale, prossima tornata elettorale, le stesse forze saliranno ancora al Colle forti, però, di una maggioranza in tutta probabilità ancora più larga? La tenuta del Paese è quanto mai a rischio.
Proprio come gli effetti del proibizionismo.