Pochi mesi fa, abbiamo raccontato la complicata situazione degli asili nido in Italia: nel nostro Paese ne esistono a sufficienza per ricoprire solo il 26,6% dei posti necessari. Una media bassissima che cala ancora di più nel Meridione: se al Nord raggiunge il 30% dei bambini residenti, e in alcuni casi arriva perfino al 33% posto come obiettivo europeo, nel Sud Italia il tasso di copertura scende al 10%.
A rimetterci, come al solito, sono le fasce più marginalizzate: le donne lavoratrici del Meridione con figli e con un reddito basso. Nel nostro Paese, infatti, non esiste una reale assistenza né un’equa distribuzione del lavoro di cura all’interno delle famiglie: sono le donne a doversi occupare della prole che hanno messo al mondo, e sono sole. Perciò, quando non si possono permettere una baby-sitter o la retta di un asilo privato, sono costrette ad abbandonare il proprio posto di lavoro, rinunciando a uno stipendio necessario.
È in questo contesto di abbandono che si innesta la nostra storia, che comincia in una giornata qualsiasi nel quartiere di Materdei, a Napoli. In una chat di genitori viene lanciata una notizia bomba: l’asilo nido Rocco Jemma, una delle istituzioni storiche del quartiere, verrà chiuso tra un anno. Parallelamente, in un altro gruppo di genitori della zona Garibaldi arriva una notizia ancora più imminente: l’asilo nido Marcellino non riaprirà dopo le vacanze di Natale.
Del primo istituto, il Rocco Jemma, si è parlato tanto: si tratta di una struttura storica nel cuore di Materdei che vanta una tradizione decennale di accoglienza per la primissima infanzia. «Abbiamo saputo tutto informalmente, da una mamma parente di una persona che lavora al Comune» ci ha raccontato Maria Partini del Comitato Genitori Scuole Pubbliche. «Solo dopo le nostre mobilitazioni e le attenzioni dei giornali l’Amministrazione ha dialogato con noi. Alla fine, ci hanno spiegato che la struttura era stata valutata inadeguata alle attuali norme antisismiche e che era più economico abbatterla e ricostruirla che rimetterla in sicurezza». Insomma, l’asilo nido Rocco Jemma è finito tra le varie strutture dichiarate a rischio sismico e per le quali il Comune di Napoli ha ottenuto dei fondi del PNRR.
Anche di questo aspetto avevamo già parlato: nell’ultimo anno, grazie ai fondi europei del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, sono stati destinati ben 3,7 miliardi alla costruzione di 410mila metri quadrati di nuove scuole entro il 2026, con l’obiettivo, tra gli altri, di creare circa 264.480 nuovi posti per la fascia di età 0-6 anni. Un’occasione ottima, data la carenza di nidi sul nostro territorio. Sul tema, c’era stato però un richiamo della Corte dei Conti: si erano registrati ingenti ritardi ingiustificati nell’attuazione del piano destinato agli asili nido. Entro il 31 marzo 2022 avrebbero dovuto essere selezionati i progetti per lo stanziamento di quei 3,7 miliardi: invece, sono stati presentati progetti solo per 200 milioni, appena il 5% di quanto previsto.
Il Comune di Napoli, dunque, per non restare indietro, ha cominciato a individuare le strutture che avevano bisogno di essere ristrutturate o addirittura ricostruite. Ma dov’è l’inghippo? La mancanza di un piano di ricollocazione per i bambini che, di colpo, si sono trovati le porte dei loro nidi sbarrate. «Ci ha lasciato molto disorientati il fatto che si parlasse di abbattere e ricostruire una struttura che ha una funzione pubblica, ma che nell’ambito del progetto non sia stata contemplata anche la ricollocazione dell’utenza» ci ha raccontato Maria Partini. «Dove andranno i nostri bambini l’anno prossimo? Sono cinquanta e non ci sono altre strutture pubbliche nel quartiere».
Nel frattempo, dall’altro lato di Napoli, ci sono delle madri che non sanno dove finiranno i loro piccoli già adesso. Una di loro è Silva Sacramento Mayara, che ci ha spiegato la situazione: «Abbiamo saputo la verità il 5 gennaio, le maestre ci hanno rivelato che l’asilo nido Marcellino sarebbe stato demolito e ricostruito con i fondi del PNRR. Sono state costrette a chiudere tutto di colpo, ci sono ancora i pannolini e i vestiti dei nostri figli dentro».
Ci viene raccontato che soltanto dopo tante mail e PEC i genitori del nido Marcellino hanno avuto risposte: «Inizialmente, l’Amministrazione si è mostrata fiduciosa, affermando di aver già individuato una struttura alternativa e che sarebbero stati necessari solo quindici giorni per farci dei piccolissimi lavori. Beh, quei quindici giorni sono passati e ce ne hanno chiesti altri quindici. Sono scaduti anche quelli, e ancora niente».
«Nel gruppo siamo disperate e scioccate» rincara Mayara. «Ogni ora arriva un messaggio diverso e quando pensiamo che le cose stanno camminando, scopriamo che stanno ferme. Tutti si interessano di noi quando c’è bisogno di pagare le rette, mentre ora nessuno ci dice nulla. Il rispetto dove sta? Almeno ci dicessero la verità, che non riescono a trovare dei posti disponibili e delle strutture alternative. Così invece ci prendono solo in giro».
La zona di Garibaldi e del Mercato è caratterizzata da una forte presenza di donne straniere, proprio come la nostra intervistata, a Napoli dopo aver lasciato il suo Brasile. «Io non ho nessuno qui» – ci racconta Mayara – «non posso lasciare mia figlia a dei parenti. Come me, ci sono tantissime altre madri straniere, che in Italia sono sole. Una di loro sta portando il bambino nel magazzino dove lavora, perché non si può permettere la retta di un asilo privato». Il rischio è che a causa della chiusura dei nidi queste donne si trovino a dover rinunciare al loro stipendio – perché risulta impossibile vivere in condizioni così precarie – perdendo una fondamentale fonte di sostentamento. Si sta concretizzando proprio ciò che i fondi del PNRR miravano a sanare: l’assenza di nidi sul territorio che si interseca con il complicato tema della disoccupazione femminile (e in questo caso anche con l’integrazione delle minoranze).
«Dicono che noi che siamo ignoranti e non abbiamo studiato distruggiamo Napoli» – afferma Silva Sacramento Mayara – «e invece no, lo fanno anche le persone al potere». E in questo caso il potere è silente, muto, chiuso al dialogo con i cittadini. Di questo, abbiamo parlato anche con Maria Partini: «Arrivare a fare una petizione su Change.org per interloquire con l’Amministrazione non è normale. La cittadinanza deve e vuole essere partecipe delle decisioni prese».
Nel caso del Rocco Jemma – a differenza di quello del Marcellino – si è mosso qualcosa: la Soprintendenza all’Archeologia, Belle Arti e Paesaggio ha bloccato la demolizione della struttura. L’edificio infatti ha più di settant’anni ed è quindi sotto vincolo architettonico e non può essere demolito e ricostruito. I fondi, invece, verranno usati per la sua ristrutturazione. Una bella notizia, sicuramente, ma che non cambia la situazione. In questo momento, cinquanta bambini continuano a frequentare un edificio dichiarato inadeguato alle norme antisismiche e non è ancora chiaro dove verranno indirizzati in fase di ristrutturazione, né quanto tempo durerà quest’ultima. Le domande restano le stesse, perché non è ancora trapelato alcun piano relativo alla ricollocazione.
«Le risposte sulla ricollocazione sono sempre state parziali e riguardavano due strutture della stessa municipalità: l’asilo nido G. Fanciulli e il nido Arioli. In realtà, sono strutture scomode per gli abitanti di Materdei e non hanno la sezione Lattanti. Su Il Mattino era stata fatta trapelare l’idea di collocare i bambini in una struttura privata che aveva delle stanze vuote, ma poi non è mai stato confermato. Ci è stato detto che l’ASL stava valutando l’idoneità di altre strutture di Materdei, ma non sappiamo quali: insomma, tutto molto nel vago» ha continuato Maria Partini.
Materdei, insomma, resta senza asilo. Non ci sono ancora risposte certe e soddisfacenti e il quartiere tornerà a protestare, non solo per il suo Rocco Jemma, ma anche per il Marcellino e per tutte le scuole oggetto di interventi nell’ambito del PNRR.
Le famiglie hanno bisogno di certezze, che siano già adesso senza un nido o che debbano fronteggiare questa situazione tra un anno. Il minimo che possiamo fare come cittadini è amplificare la voce di queste persone: forse, se facciamo un coro, questa Amministrazione sorda ci ascolterà.