Quando si parla di Riace, il pensiero ricorre subito a Mimmo Lucano, l’ex Sindaco le cui vicende sono ben note. Riace, invece, rappresenta un modello di integrazione, una rete di associazioni, un ponte tra esperienze di vita diverse. Nel centro calabro, in tanti sono arrivati da tutta Italia e dall’estero per dare un supporto e partecipare a quanto Lucano ha ideato e creato, contribuendo a titolo personale – e non solo – a quel progetto che definire inclusivo è anche poco.
Ne abbiamo parlato con Mario Arispici, docente universitario originario di Pisa che, con la Jimuel onlus – associazione di cooperazione umanitaria – ha vissuto da vicino il laboratorio calabrese.
A Riace è da segnalare un’esperienza di assistenza sanitaria particolare. Quale?
«La nostra associazione inizia ad adoperare nel 2007, lontano dall’Italia, e da sempre ha avuto lo scopo di portare assistenza medica di base nei luoghi più disagiati, utilizzando la telemedicina e condividendo le risorse intellettuali e professionali di medici che con la nostra piattaforma possono dare il loro contributo fattivo da remoto.
Il Presidente di Jimuel, il Dott. Isidoro Napoli, medico calabrese, ebbe occasione di svolgere una missione di volontariato nelle Filippine e al ritorno, con un ristretto numero di amici, riuscì ad allestire il primo ambulatorio informatizzato proprio a Silang, non lontano da Manila. Successivamente, altri ambulatori sono stati attivati ancora nelle Filippine, in Kenya, in Congo, in Indonesia.
I medici volontari di Jimuel, esperti nelle diverse discipline, sono prevalentemente calabresi e quindi conoscono bene la realtà e l’esperienza di Riace. È stato assolutamente naturale, ben conoscendo Mimmo Lucano, proporre e realizzare un ambulatorio a Riace già nel 2016 in risposta a una crescente domanda di assistenza, di attenzione e cura non solo delle persone migranti, richiedenti asilo, rifugiati, ma anche di una parte della popolazione del paese antico che, per una serie di limiti, economici, pratici e logistici ha difficoltà ad accedere ai servizi di assistenza. Il servizio offerto ha costituito un esempio di come possono essere semplificate le tortuose logiche della burocrazia che non si piegano neppure di fronte alle più urgenti necessità».
Quindi un ambulatorio per garantire la salute anche in un luogo in cui questa può risultare difficile da tutelare.
«Proprio così. Può essere utile ricordare ancora una volta che la tutela della salute è un diritto fondamentale dell’individuo ed è un preciso interesse della collettività. Lo sancisce la nostra Costituzione all’articolo 32, in cui non si usa il termine cittadino o altro. Questo diritto è riconosciuto a ogni individuo. Ed è su questo concetto che dovremmo soffermarci e meditare».
Come si è inserito l’ambulatorio di Riace in quella complessa realtà umana che andava sempre più aumentando fino a raggiungere numeri consistenti, diverse centinaia?
«Dopo aver risolto i più cogenti bisogni primari – sete, fame, alloggio – è la salute l’altro bene primario irrinunciabile per una vita dignitosa personale e collettiva. Seguono poi l’educazione e il lavoro. Ben presto i nuovi abitanti di Riace e quelli più vecchi hanno apprezzato il servizio offerto dal medico di base, dal pediatra, dalla cardiologa, dalla ginecologa per i problemi piccoli e grandi della salute loro e dei bambini. Tutto, naturalmente, gratuito per tutti. Hanno trovato non solo competenza, diagnosi, farmaci, indicazioni terapeutiche e per esami specialistici da eseguire presso strutture convenzionate, quando le apparecchiature presenti non lo consentivano, ma anche ascolto, comprensione, consigli. Anche dalla costa tirrenica sono arrivate persone a cercare assistenza, indotte dalla difficoltà di trovarne nelle strutture pubbliche in base alla precarietà della loro condizione di migranti».
Dove ha sede l’ambulatorio?
«Inizialmente era stato allestito all’interno dello Municipio di Riace, ma le vicende del Sindaco Domenico Lucano e quelle dell’ambulatorio si sono immancabilmente intrecciate. La vita di Mimmo e delle associazioni che si occupano dell’accoglienza e dell’integrazione vengono sconvolte e nella nuova realtà gran parte dei nuovi riacesi vengono allontanati. Interviene il nuovo Sindaco, Antonio Trifoli, eletto senza essere idoneo alla candidatura – e quindi successivamente anche rimosso –, che ha il tempo per far scomparire dall’ingresso del paese non solo il cartello in ricordo di Peppino Impastato che si affiancava a quello di Riace, paese dell’accoglienza, ma chiede anche a Jimuel di lasciare il locale concesso a titolo gratuito e ne indica uno già dichiarato inidoneo. Pertanto si trova un’altra sede, con aggravio di spese, si provvede ad attrezzarla e si riprende l’attività assistenziale».
Quindi c’è stato il rischio di concludere questa esperienza?
«In effetti c’è stato, ma il nuovo Sindaco, con il nuovo cartello all’ingresso del paese in cui si ricorda che Riace è il paese di Cosma e Damiano, santi/medici che si dedicarono per tutta la vita alla cura degli ultimi e quindi a chi ha maggior bisogno, ci ha offerto un ottimo motivo per ricominciare da dove eravamo rimasti, migliorandoci.
L’inaugurazione del nuovo ambulatorio è stata nel febbraio 2020, poco prima che il covid fosse dichiarato pandemia e intervenissero regole restrittive. Nell’occasione, abbiamo avuto una grande partecipazione di sostenitori e, tra gli altri, era presente anche il Dott. Pietro Bartolo, già medico di Lampedusa e ora eurodeputato, che ai problemi sanitari dei migranti ha dedicato la sua intera vita. Anche solo questo ci ha ripagato degli sforzi fatti per superare le difficoltà, condivise anche con il compianto Gino Strada, che ci ha sempre appoggiato, tanto che Mimmo Lucano lo volle cittadino onorario di Riace».
Oggi, con la condanna di Mimmo Lucano da parte del tribunale di Locri, cosa succede all’ambulatorio di Jimuel a Riace?
«Per ora, continua la sua missione: curare tutti quelli che entrano. I nuovi riacesi sono rimasti pochi, quelli vecchi saranno ancora meno, ma non è un buon motivo per far scomparire una struttura sanitaria che vive con la forza del volontariato e si è irrobustita con una dura esperienza».