Un sorriso coinvolgente e occhi che raccontano un vissuto intenso in lotta contro le difficoltà della vita e le ingiustizie del mondo, occhi di una donna in gamba, che ha sempre saputo cavarsela da sé. Era questo il biglietto da visita di Marielle Franco, la Cria da Maré (Figlia della Marea), come ella stessa piaceva definirsi in riferimento alla favela brasiliana in cui era nata e cresciuta.
Laureata in Scienze Sociali, prima insegnante e poi membro del Partito Socialismo e Libertà brasiliano, il suo era un femminismo misto alla difesa dei diritti umani, tema cui si era avvicinata in seguito alla morte di un’amica a causa di una mina vagante.
Era un personaggio scomodo Marielle, una donna capace di crescere da sola una bambina, laurearsi nonostante gli ostacoli economici, farsi strada nella politica, dare una voce a quelli ritenuti socialmente inferiori e denunciare gli abusi di potere della Polizia Militare, che ancora oggi agisce impunita contro i civili indifesi. Donne, gay, trans, poveri, neri erano sotto l’ala protettrice di una guerriera partita dal nulla. Peccato che nessuno abbia saputo proteggere lei la notte del 14 marzo scorso, quando è stata costretta da alcune pallottole a congedarsi dalla vita a soli quarant’anni. Gli artefici sono ancora sconosciuti, ma sulla scena del crimine sono stati ritrovati proiettili appartenenti a un lotto della Polizia Militare, quando si dice il caso. In seguito alla vicenda, il Parlamento Europeo ha condannato fortemente l’assassinio. Del resto, conosciamo tutti l’autorevolezza delle sue condanne forti.
Una Mary Wollstonecraft di Rio de Janeiro, dalla pelle scura e una montagna di riccioli. A muovere le sue azioni erano proprio quegli ideali rivoluzionari che la madre di Mary Shelley aveva racchiuso nella Rivendicazione dei diritti degli uomini prima e nella Rivendicazione dei diritti della donna poi, scritti oramai immortali, che per alcuni raccontano l’ovvio e per altri rappresentano ancora un’utopia. Il riscatto sociale femminile cui si aspirava già diversi secoli fa è ancora oggi motivo di lotta e causa di omicidi, poiché i traguardi raggiunti vengono continuamente messi in discussione da una maggioranza tuttora arretrata, ostile all’idea di donne libere e di un rapporto fra i sessi fondato sull’uguaglianza e sulla parità.
Eppure, tanto spargimento di sangue non sembra vano, il messaggio lanciato da ciascuna delle molte eroine del femminismo perpetra con sempre maggiore forza nelle menti di ogni donna e crea delle lottatrici, nuove Marielle Franco stanche delle discriminazioni, di vedersi trattate come esseri inferiori, di farsi prendere a pugni, di dover tacere, di non aspettarsi riconoscimenti, di essere oppresse e uccise. E allora si combatte per l’aborto, per il divorzio, per sentirsi libere di non sposarsi, libere di amare un’altra donna, felici di vivere al di fuori degli schemi sociali tradizionali preservandosi il diritto di camminare a testa alta e tenaci nello sgretolare regole imposte tempo addietro, un tempo così lontano in cui oggi non ci si vuole più rispecchiare.
Finché la famiglia e il mito della famiglia e il mito della maternità e l’istinto materno non saranno soppressi, le donne saranno oppresse, rifletteva Simone de Beauvoir. Aveva ragione. Tutte queste idee sono divenute con il trascorrere degli anni e dei secoli delle vere imposizioni, ci si chiede però chi abbia il potere di stabilire quello che una donna deve provare e chi abbia deciso che l’uomo alfa è superiore a qualsiasi altra categoria umana.
E mentre qualcuno si arma per spegnere voci di protesta ormai dirompenti nel mondo, le idee al centro di questa eterna ribellione vengono oltrepassate dai proiettili e dagli insulti senza subire alcun danno. Ne possono uccidere cento o mille, ma ne resteranno ancora milioni che non hanno più voglia di fare silenzio, milioni di Franco, Wollstonecraft, Gouges, Pankhurst, Beauvoir e Al-Abid che hanno scelto di sentirsi donne e non cagnolini da addestrare.