Sembra quasi una beffa del destino, uno scherzo di cattivo gusto, una barzelletta dal sapore britannico. Liliana Segre che apre i lavori della nuova legislatura e Ignazio Benito Maria La Russa che le succede sullo scranno più alto di Palazzo Madama. È la fotografia dei tempi che abitiamo, l’immagine più nitida della circolarità della storia tanto cara a Nietzsche. Prima come tragedia, poi come farsa, sosteneva Karl Marx. Ed eccola qui la farsa, il Carnevale dell’orrore, la festa dell’incapacità critica. La Russa che, insediandosi, cita persino Sandro Pertini.
«Incombe su tutti noi, in queste settimane, l’atmosfera agghiacciante della guerra tornata nella nostra Europa, vicino a noi, con tutto il suo carico di morte, distruzione, crudeltà, terrore… una follia senza fine». Parte da qui il discorso di Liliana Segre, dalla guerra in Ucraina. Vicino e intorno a noi. Nell’Europa dei valori NATO, che ripudia la violenza ma la finanzia, che commemora ma dimentica, che si esercita sul nucleare ma non parla di negoziazioni. Non parla di pace.
Liliana Segre, invece, la guerra ce l’ha incisa sull’avambraccio: 75190. Se la porta dietro da sempre, dal febbraio del 1944 quando, dopo sette giorni di viaggio, arrivò nel campo di concentramento di Auschwitz. «Quella stessa bambina che in un giorno come questo del 1938, sconsolata e smarrita, fu costretta dalle leggi razziste a lasciare vuoto il suo banco delle scuole elementari».
«In questo mese di ottobre nel quale cade il centenario della Marcia su Roma, che dette inizio alla dittatura fascista, tocca proprio a una come me assumere momentaneamente la presidenza di questo tempio della democrazia che è il Senato della Repubblica». E tocca proprio a una come lei, la senatrice che più di altri sa quanto è costata questa Repubblica, lasciare il passo a chi quella Marcia la commemora persino tra le mura di casa.
Lo abbiamo visto tutti il video del 2018 che mostra i cimeli fascisti, i bassorilievi, le statue del duce nell’appartamento di Ignazio Benito Maria La Russa, una collezione di memorabilia di cui, proprio oggi, sembra aver perso la memoria nell’omaggio floreale a Liliana Segre, testimone e vittima dell’Olocausto. Lo abbiamo visto tutti fare il saluto romano nel cuore delle istituzioni, quelle che oggi, da seconda carica dello Stato, si accinge a rappresentare e, in teoria, a difendere.
Ignazio Benito Maria La Russa, figlio di Antonino, già segretario politico locale del Partito Nazionale Fascista e poi senatore del Movimento Sociale Italiano. Fratello di Romano, Assessore in Lombardia, in questi giorni al centro di polemiche per un braccio teso – prassi comune in famiglia – immortalato nel corso di un funerale. Ignazio Benito Maria La Russa dal Fronte della Gioventù all’MSI, di cui è stato responsabile, accanto a quella Giorgia Meloni che oggi lo chiama un vero patriota.
Alleanza Nazionale, Popolo della Libertà, Fratelli d’Italia. Dal 1994 in Parlamento, Ministro della Difesa, Vicepresidente del Senato, erede del duce, come goffamente – sempre, quando si tratta di doversi poi giustificare – ha dichiarato appena qualche settimana fa. Lui, che nel discorso di insediamento di stamattina, non ha dimenticato di menzionare, come spesso CasaPound, Sergio Ramelli – di cui è stato difensore – militante del Fronte della Gioventù morto a Milano nel 1975. Non è un caso che tra i disegni di legge proposti dal senatore si ricordi l’istituzione di una commissione di inchiesta sulle violenze degli anni Sessanta e Settanta in Italia per indagare – come da sua precisazione – sulla morte di alcuni camerati.
Ignazio Benito Maria La Russa, che ha sempre definito vergognosa l’ANPI, foglia di fico della sinistra, un’associazione che sfila con i centri sociali e fa comodo solo per tenere alto il pericolo di fascismo che, però, in Italia non c’è più da ben settantadue anni, oggi siede a Palazzo Madama e, addirittura, può fare le veci del Presidente della Repubblica. Tutto questo mentre parla di Regno, di forze armate, di onore.
Lui che, nel 1973, partecipò a quello che viene ricordato come il giovedì nero di Milano, una giornata nella quale il Movimento Sociale Italiano diede vita a una manifestazione non autorizzata. Quel giorno, contro la violenza rossa, furono lanciate due bombe a mano che uccisero Antonio Marino, un poliziotto di appena 22 anni. La Russa, che ha definito quell’episodio «un trauma da cui faticammo a riprenderci», fu indicato come uno dei responsabili morali. La Russa che, nel 2008, divenne persino difensore dei poliziotti della macelleria messicana, i torturatori della Diaz di Genova. La Russa, che nel 2020 chiedeva di dare un senso diverso al 25 aprile affinché diventasse una celebrazione delle vittime del coronavirus e di tutte le guerre. Perché è così che si muovono i negazionisti, facendo di tutta l’erba un fascio. E di fasci, loro, sì che se ne intendono.
«Le grandi nazioni dimostrano di essere tali anche riconoscendosi coralmente nelle festività civili, ritrovandosi affratellate attorno alle ricorrenze scolpite nel grande libro della storia patria. Perché non dovrebbe essere così anche per il popolo italiano? Perché mai dovrebbero essere vissute come date “divisive”, anziché con autentico spirito repubblicano, il 25 aprile, festa della Liberazione, il 1 maggio, festa del lavoro, il 2 giugno, festa della Repubblica? Anche su questo tema della piena condivisione delle feste nazionali, delle date che scandiscono un patto tra le generazioni, tra memoria e futuro, grande potrebbe essere il valore dell’esempio, di gesti nuovi e magari inattesi» ha continuato Liliana Segre, applaudita da colui che è chiamato a dare proprio l’esempio.
Cosa farà, dunque, la seconda carica dello Stato nei giorni che la sua agenda segnerà in rosso, come il sangue di chi ha lottato affinché oggi la senatrice potesse essere ancora testimonianza di quanto male è capace l’uomo? Rosso come il sangue di quei centomila morti caduti nella lunga lotta per la libertà di cui la Costituzione è testamento? «Il popolo italiano ha sempre dimostrato un grande attaccamento alla sua Costituzione, l’ha sempre sentita amica. In ogni occasione in cui sono stati interpellati, i cittadini hanno sempre scelto di difenderla, perché da essa si sono sentiti difesi» ha ribadito la Presidente del Senato di oggi, di cui La Russa ha dichiarato di sposare ogni parola.
Eppure, non è passato molto da quando, nell’ottobre del 2019, Palazzo Madama fu chiamato a votare l’istituzione di uno strumento di controllo per il contrasto dei fenomeni di intolleranza e razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza, la cosiddetta Commissione Segre che nulla faceva se non difendere proprio i valori costituzionali. Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia si astennero. Per loro, si trattava di censura politica, dell’istituzione di una struttura liberticida, del ministero della verità di orwelliana memoria. Orwelliana come l’idea distopica di mondo che va sempre più delineandosi.
«Le elezioni del 25 settembre hanno visto, come è giusto che sia, una vivace competizione tra i diversi schieramenti che hanno presentato al Paese programmi alternativi e visioni spesso contrapposte. E il popolo ha deciso. È l’essenza della democrazia» ci ricorda Liliana Segre. «La maggioranza uscita dalle urne ha il diritto-dovere di governare; le minoranze hanno il compito altrettanto fondamentale di fare opposizione. Comune a tutti deve essere l’imperativo di preservare le istituzioni della Repubblica, che sono di tutti, che non sono proprietà di nessuno, che devono operare nell’interesse del Paese, che devono garantire tutte le parti».
Sappiamo bene, però, che non sarà così, che non può esserlo, che Liliana Segre che cede il passo a Ignazio Benito Maria La Russa è proprio la sconfitta della democrazia, delle istituzioni, della Repubblica stessa. È il fallimento dell’antifascismo di facciata.
Cento anni dopo, i fascisti marciano su Roma. Cento anni dopo, abbiamo il dovere di impedirglielo.