Contributo a cura di Samantha O. Storchi.
Nello storico Palazzo Donnaregina, in via Luigi Settembrini a Napoli, sorge il MADRE, il museo d’arte contemporanea. L’esperienza di visitare questo luogo non è sempre semplice e ciò è legato, principalmente, alla difficoltà di capire e comprendere le dinamiche di quella che, comunemente, si definisce arte contemporanea. Si tratta di opere che spesso “non si capiscono”.
Entrando nel museo, prima di tutto dobbiamo riformulare una vecchia domanda: cos’è un’opera d’arte? La risposta che le pratiche artistiche contemporanee offrono in merito è semplice: l’opera d’arte è un oggetto esposto. La conseguenza logica e banale di questa affermazione è che l’oggetto non esposto non è un’opera d’arte, ma solo un oggetto che potrebbe potenzialmente essere presentato come tale. Non è un caso che si sia coniata l’espressione “arte contemporanea”: affinché sia tale, infatti, va continuamente esposta, resa attuale. La sua unità elementare non è più l’opera d’arte in quanto oggetto, ma uno spazio artistico in cui quest’ultimo è esposto. Tutti gli oggetti vengono organizzati all’interno di uno spazio espositivo da un artista o da un curatore, secondo un ordine che è totalmente personale e soggettivo.
È la stessa relazione tra artista e curatore, oggi, a essere cambiata notevolmente. Un tempo, l’artista – considerato autore autonomo – produceva opere che venivano poi selezionate ed esposte dal curatore della mostra, oppure rifiutate. Il curatore, invece, era qualcuno che mediava tra autore e pubblico, senza essere un autore egli stesso. I rispettivi ruoli erano, così, ben distinti: l’artista si occupava della creazione, il curatore della selezione. Questo significava che la creazione era ritenuta primaria e la selezione secondaria. L’inevitabile conflitto tra le due figure era trattato come un conflitto tra autorialità e mediazione. Quel periodo, però, si è definitivamente concluso.
La spiegazione è semplice: oggi l’arte viene definita in base a un’identità tra creazione e selezione. A partire da Duchamp, infatti, la selezione di un’opera coincide con la creazione. Cosa significa? È palese per tutte le opere d’arte esposte al MADRE: l’atto creativo è diventato un atto di selezione. Da Duchamp in poi, produrre un oggetto non è più sufficiente a considerare chi l’ha prodotto un artista. Non c’è più differenza tra un manufatto creato con le proprie mani e uno realizzato da altri. Entrambi, per essere considerati arte, devono essere selezionati e poi esposti. Nell’arte contemporanea, l’autore è diventato il curatore e, quindi, organizza anche le mostre. In esse oggetti realizzati da altri possono – e sono – rappresentati così come gli oggetti realizzati dall’artista stesso. I ruoli sono diventati identici e non sono più distinti come un tempo.
In una mostra di arte contemporanea, anche la tradizionale autorialità del singolo artista viene meno. Ci si trova ad avere a che fare con un’autorialità multipla, come sostiene Boris Grois nel suo libro Art Power. Ogni mostra, infatti, espone oggetti selezionati da più artisti e queste opere sono, a loro volta, selezionate da uno o più curatori. Ma non è finita qui: questi ultimi sono scelti e finanziati da commissioni, da fondazioni o da istituzioni che, di conseguenza, sono corresponsabili artistiche e autoriali del risultato finale. Ogni singola mostra è, quindi, il risultato dell’insieme di molti processi di scelta, selezione e decisione. Non è casuale neppure l’attenzione dell’arte moderna verso gli spazi museali che, spesso, gioca un ruolo fondamentale ai fini del risultato. Sotto questo regime nuovo, l’artista non è più giudicato in base agli oggetti che ha prodotto, ma anche alle mostre e ai progetti che ha curato. Conoscere un artista, oggi, significa leggerne il curriculum.
Questa esperienza nuova dimostra, in ultima analisi, anche il cambiamento di status dell’opera d’arte stessa: essa cessa di essere tale e diventa documentazione del lavoro artistico. È questo l’aspetto cruciale: l’opera non mostra più l’arte, si limita a prometterla. Finché un oggetto non è esposto, e non appena smette di esserlo, non può essere considerato opera d’arte. L’arte, al giorno d’oggi, non è più fatta di immagini, ma di tutti gli oggetti possibili, compresi quelli di uso comune, basta ricordare l’orinatoio di Duchamp. Non ci sono immagini artistiche: ogni immagine può essere usata in quel contesto. Le istallazioni presenti al museo di arte contemporanea di Napoli, non si pongono, quindi, come un’alternativa all’immagine, ma come ampliamento del concetto di immagine stessa. L’istallazione cambia la definizione di ciò che consideriamo un’opera d’arte.