Il cinema è una forma d’arte nata poco più di cento anni fa. Sin da subito, però, è stato posto il dilemma tra quello che è riproduzione della realtà, rappresentata dai fratelli Lumière, e quello che libera l’immaginazione, come nelle opere di Méliès. La contrapposizione tra il realistico e documentaristico e quello fantastico e spettacolare, comunque, è schematica e fuorviante. L’arte cinematografica, come le altre discipline artistiche, parte dall’osservazione della realtà del mondo umano e naturale e produce un’altra realtà, secondo le regole della finzione.
Quando al Grand Café di Parigi, il 28 dicembre del 1895, i fratelli Auguste e Louis Lumière cominciarono, con il loro apparecchio chiamato Cinematografo, a proiettare su di un telo bianco i loro primi film a carattere documentaristico, nacque quella che da alcuni osservatori fu chiamata la meraviglia del secolo, mentre da altri più scettici commentatori fu definita come un’invenzione che non avrebbe avuto un grande futuro. Le cronache raccontano che alla visione di L’arrivée d’un train en gare, quando l’immagine del treno che arrivava in stazione riempì per intero lo schermo, una signora svenne a causa della forte “impressione di realtà” della scena. L’uomo di teatro Georges Méliès, invece, intuì le possibilità tecniche ma soprattutto di rappresentazione del nuovo mezzo e lo usò per filmare le sue storie fantastiche che ribaltavano completamente le coordinate spazio-temporali della riproduzione realistica. La sua opera Le voyage dans la Lune del 1902 è l’esempio emblematico del suo personale e spettacolare modo di ideare e produrre arte cinematografica.
Quando un film, quindi, si propone di riprodurre la realtà, non può riuscirci senza reinventarla in forma di immaginaria messa in scena. Al contempo, il più visionario spettacolo esprime motivazioni e sentimenti che provengono dalla realtà del tempo e dei luoghi della nostra esistenza. Nel saggio Che cos’è l’immaginario, il filosofo Slavoj Žižek scrive che l’immaginario mette in scena quello che desidero e non posso avere. Noi separiamo, in effetti, ciò che non si può dividere, perché la realtà è immaginazione, e viceversa. Gli esseri umani percepiscono il mondo non così come è senza la loro presenza, ma attraverso l’immagine che mentalmente costruiscono. Natura interiore ed esteriore interagiscono e si fondono nella stessa esperienza vitale. L’arte è la vita stessa quando cerca di conoscere il mondo e di rappresentarlo.
Insieme al mito, alla religione, alla filosofia e alla scienza, l’espressione artistica è uno degli strumenti con i quali l’uomo ha cercato – con esiti diversi e contraddittori, nel corso della storia – di controllare le forze della natura e di dare un senso alla vita. E anche la storia del cinema, di conseguenza, ha avuto una parte importante per lo sviluppo della tecnologia, che consiste nell’applicazione delle scoperte scientifiche alla vita industriale e sociale degli uomini e delle donne che abitano sul pianeta Terra. In questo senso più ampio, il cinema è arte tecnologica ed è vista come un’esperienza estetica globalizzante, una sintesi di tutte le espressioni artistiche.
Come potremmo pensare, insomma, alla storia e alla cultura del Novecento senza il cinema e le sue storie, le sue immagini, le sue emozioni? Per più di un secolo, realtà e finzione si sono fusi nell’immaginaria rappresentazione della vita: il passato, il presente e il futuro della memoria e dell’identità personale e collettiva. A tal proposito, un esempio più recente della straordinaria simbiosi tra realtà e immaginazione ci viene alla mente ricordando l’Amarcord di Federico Fellini, soprattutto per la memorabile scena dove vediamo i protagonisti sulle barche tra le onde del mare e, all’improvviso e tra la nebbia, appare la maestosa sagoma illuminata del transatlantico Rex. E noi spettatori riviviamo con loro l’emozione dello spettacolo di una realtà immaginaria.