Ricorrono oggi, 1 marzo, i primi sette anni dalla scomparsa di uno dei più grandi, noti, influenti e apprezzati artisti che abbiano mai calcato il palcoscenico musicale del nostro Paese, Lucio Dalla.
Nato a Bologna nel 1943, di quella sua città nel cuore dell’Emilia se ne fece uno dei principali ambasciatori, celebrandone il passato, la vita e la passione nelle sue indimenticabili canzoni. In 4/3/1943 raccontò la nascita di un bambino figlio di un ignoto soldato americano, con Piazza Grande, invece, scrisse il suo nome tra i giganti della canzone popolare grazie a un’ode d’amore per “La Dotta”, nascosta nella storia malinconica di un senzatetto che vive sotto il lenzuolo di stelle della città, ammirandone i caratteri che la rendono ancora oggi unica.
Non basterebbe, tuttavia, un articolo, forse neanche un intero giornale, a rendere pienamente omaggio al cantautore figlio del jazz che sempre si accompagnava al pianoforte, al sassofono, al clarinetto. La grandezza degli immortali come Lucio Dalla sta nel riuscire a raccontarsi veramente appieno soltanto attraverso le emozioni che la propria arte non ha mai smesso di trasmettere.
Se fosse stato possibile, però, farsi una puntura intramuscolare, con dentro il napoletano – tutto il napoletano, il bolognese l’avrebbe fatta per poter parlare e ragionare come ragionano i napoletani da millenni, ed è questo l’aspetto attraverso il quale vogliamo ricordarlo, quello che lo ha portato alla stesura del suo più grande e celebrato capolavoro di fama mondiale, Caruso.
Dalla era studioso, appassionato e cultore di quella musica classica partenopea che lo affascinava e lo rapiva come poche altre cose al mondo. Non nascose mai, infatti, la grande influenza che la canzone napoletana aveva avuto sulla sua carriera. Caruso nacque da lì, ma quasi per caso, come per ammissione del cantautore stesso. L’artista si trovava a bordo della sua barca a largo della costiera sorrentina e, per un guasto, si vide costretto a passare la notte proprio a Sorrento, alloggiando presso l’albergo che aveva ospitato gli ultimi giorni del compositore a cui la sua ode è ispirata, lasciandosi travolgere dalla romantica storia d’amore che lo aveva visto protagonista durante quegli attimi sfuggenti che lo stavano separando dalla vita.
Dicevano fosse stato innamorato di una donna a cui aveva dato lezioni di canto, lui che di fiato ormai non riusciva quasi più a chiederne ai polmoni stanchi. Tuttavia, sentendo la morte arrivare, il tenore aveva portato il pianoforte in terrazza, affacciandosi a quel panorama capace di mostrare e, al contempo, ispirare la bellezza nella sua forma più pura e sincera, dalla quale aveva cantato riempendo la costa della sua voce, arrivando fino alle barche giù al porto.
Lucio Dalla, quella notte a Sorrento, compose testo e musica ispirandosi a suddetta leggenda. Chiese aiuto proprio a quella tradizione da cui era affascinato, te voglio bene assaje gli risuonava nella mente, come in quella Dicitencello vuje del 1930.
Il cantautore bolognese canta Surriento e in un solo istante ci trasporta sulla terrazza dove il mare luccica e tira forte il vento, trascinandoci in quella dolce melodia attraverso le suggestioni del luogo. Ne sfrutta la potenza per raccontare l’amore tra l’uomo e la ragazza, il loro abbraccio, il canto di passione. Un canto che fa bene all’anima, al sangue che si scioglie dint’e vene, un canto che fa cadere le tante maschere che l’artista ha indossato nel corso dei suoi viaggi di tutta una vita, e che gli permette in quegli ultimi istanti di essere se stesso e celebrare il suo grande sentimento nell’attesa del sopraggiungere della fine.
Un testo, Caruso, che disegna la potenza dell’amore attraverso le luci del mare, capace di commuovere come poche altre composizioni sanno fare, che sfida la morte e la sconfigge ogni volta con il suo canto che ricomincia e che dalla mente e dal cuore non sa andare più via. Te voglio bene assaje.
Lucio Dalla era forte, diretto, onesto, romantico e sincero come la sua canzone. Era la voce delle storie del popolo, delle emozioni di noi tutti. Cantava temi sociali scottanti con il forte stimolo di far riflettere e pensare l’ascoltatore. Il tutto sempre condito dalla sua “clownerie” e dagli atteggiamenti spesso fuori dagli schemi, tali da colorare la sua biografia di aneddoti e curiosità stravaganti e caratterizzanti per il personaggio. Affrontò ogni aspetto della sua esistenza leggero come le note che ballavamo tra una canzone e un’altra. Allo stesso modo, lasciò la vita, all’indomani di un concerto che chiuse con Cara, annunciando di fatto il suo saluto in una chiara giornata di marzo: “Lontano si ferma un treno / ma che bella mattina, il cielo è sereno / Buonanotte, anima mia / adesso spengo la luce e così sia”.