Nel caso dell’elezione del nuovo Presidente della Camera dei Deputati, il passaggio di consegne è stato certamente meno emblematico di quello a cui si è assistito ieri in Senato, quando Liliana Segre ha ceduto il posto a Ignazio Benito Maria La Russa. Almeno questo imbarazzo ce lo siamo risparmiati: ciò che ci attende già basta a fotografare da solo la drammaticità del momento. Si alza Ettore Rosato, poco male, entra Lorenzo Fontana.
La farsa, per il neo Presidente di Montecitorio, non riguarda l’avvicendamento con la Storia con la “S” maiuscola, con chi ha contribuito – suo malgrado – a scriverne pagine indelebili, quanto il fatto stesso che ad assumere la terza carica dello Stato sia un personaggio omofobo, misogino e probabilmente ancora su posizioni pro-Putin. Insomma, per rappresentare al meglio Lorenzo Fontana basta la sua storia, a raccontarlo le sue stesse parole.
Già Ministro per la famiglia e le disabilità, Lorenzo Fontana vede nella Russia il riferimento per chi crede in un modello identitario di società, idee di difesa della famiglia e della tradizione. E la tradizione, per il Presidente della Camera, coincide con posizioni tutt’altro che comunitarie, come le sue recenti dichiarazioni, rilasciate – guarda caso – a Budapest stanno a indicare: L’agenda globalista vuole distruggere le tradizioni e l’identità europea, partendo dalla famiglia.
Fontana non ha mai fatto mistero, semmai ha rivendicato con orgoglio le sue posizioni ultraconservatrici, contro le unioni civili, l’aborto, i diritti LGBTQIA+ e persino ostili al divorzio. Dei suoi giorni da Ministro si ricorda poco altro dal patrocinio al Congresso Mondiale delle Famiglie, un’organizzazione della destra cattolica, in linea con tutte le battaglie in cui si è sempre impegnato.
«Vogliono dominarci e cancellare il nostro popolo» diceva ieri. «La nostra è una nazione multiforme con diverse realtà storiche e territoriali che l’hanno formata e l’hanno fatta grande. La grandezza dell’Italia è la diversità» riformula oggi per intendere lo stesso concetto e andare anche più nel sottile: come noi non c’è nessun altro, certamente non gay e immigrati, a cui la prima affermazione era rivolta. Anzi, a leggere tra le righe – ma senza fare poi chissà quale sforzo di immaginazione – il Presidente chiama immediatamente ai lavori il suo Parlamento affinché ratifichi la principale crociata del proprio partito, la Lega Nord che vuole le autonomie regionali. Le differenze non solo tra uomini e donne, tra uomini e omosessuali, tra bianchi e neri, meglio ricordare anche quella tra Nord e Sud.
E, non a caso, il nativo di Verona ringrazia innanzitutto il suo padre politico, Umberto Bossi, senza il quale non avrei mai iniziato la mia carriera, lo ringrazio personalmente. Incredibile quanti danni possa fare una sola persona.
Presentatosi in gran forma, chissà grazie alla pratica della marcia in cui si è altre volte impegnato, come nel 2018 quando allacciò le scarpette per la Marcia per la Vita, chiedendo l’abrogazione della Legge 194 al grido di l’aborto è la prima causa di femminicidio nel mondo, Lorenzo Fontana sostiene da sempre che la famiglia è quella naturale, mentre le famiglie arcobaleno per la legge non esistono, che il matrimonio è solo tra mamma e papà, le altre schifezze non le voglio sentire.
Insomma, a dipingere Lorenzo Fontana ci pensa proprio Lorenzo Fontana, le sue parole. E dove non arrivano le parole – in linea con la tradizione del suo partito – l’ex Ministro si esprime chiaramente con felpe e magliette, come quelle pro-Putin: No sanzioni per Mosca. Idee chiare, nette, tutto quanto la Costituzione di cui si elegge a garante nel suo discorso di insediamento invece ripudia. Ed è bene che le opposizioni non indietreggino mai di un solo passo nel ricordarglielo, nel trattarlo come l’arbitro imparziale che non è e non può essere.
Infine, Lorenzo Fontana è il regalo che Salvini fa al Settentrione, per tenere salda la propria leadership traballante, al Veneto che vuole tenersi caro, perché cancellare la parola Nord dal simbolo di partito non basta a liberarsi dal laccio dei veri padroni, le camicie verdi della Padania.
Compagni di lido, grandi frequentatori dei dj-set di Milano Marittima, Lorenzo Fontana e Matteo Salvini – con la complicità di un governo che già si mostra per ciò che è, tutt’altro che d’interesse nazionale – spostano l’asse delle istituzioni lontano da quella Roma Ladrona a cui inneggiavano senza vergogna quando il voto dei terroni non era ancora roba dei loro affari, cercando di rinsaldare il legame con il territorio svanito in favore di Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia, senza vergogna rivendicato anche nelle parole di insediamento, come un giorno di campagna elettorale qualunque.
Last but not least, Lorenzo Fontana è la sintesi di un governo – quello che sta per proclamarsi – che non ha nulla a che fare con il femminismo. Perché, lo dicevamo, non basta una donna al potere a difendere gli interessi di tutte, a maggior ragione se quella donna risponde al nome di Giorgia Meloni e applaude felice all’elezione di un personaggio che dei diritti delle donne ha ampiamente dimostrato di non curarsene.
La farsa si completa, il governo non ancora. C’è ancora posto. Chi sarà il prossimo?