Il marmo che diventa carne, la grazia, l’armonia, la perfezione della forma, l’eleganza e al tempo stesso una certa sensualità nelle opere di Antonio Canova, lo scultore della bellezza senza tempo. Considerato il maggior esponente del Neoclassicismo europeo, tanto da ottenere il soprannome di nuovo Fidia, è in questo 2022 che l’Italia lo ricorda con fervore, in occasione del bicentenario dalla sua scomparsa, avvenuta nel 1822.
Il concetto di Neoclassicismo (fine Settecento-inizio Ottocento) riguarda un grande processo di rifondazione teorica ed estetica del tempo. Forse per i ritrovamenti dei templi di Paestum, forse per le varie testimonianze dei viaggi in Grecia, l’arte greca antica iniziò a imporsi come modello di bellezza ideale, di perfezione formale, espressione di una nuova armonia sia estetica che etica. In scultura, nello specifico, i cambiamenti furono piuttosto lenti poiché il maestro barocco Gian Lorenzo Bernini aveva messo a dura prova le certezze dell’epoca con le sue incredibili e scenografiche forme. Queste vennero pian piano sostituite da altre più essenziali e aggraziate, dove prevaleva la bellezza filtrata dall’intelletto. E la svolta fu proprio Canova.
Nato a Possagno (Treviso) nel 1757, il giovane Antonio ebbe modo di imparare a maneggiare la cera, la creta e il marmo nelle botteghe di Venezia, studiando i calchi delle più note sculture antiche all’interno della ricca collezione dell’abate e mecenate Filippo Farsetti. E mentre cresceva in lui l’amore per l’antico, nascevano i suoi primi capolavori, come Apollo o Dedalo e Icaro. Tra Roma e Napoli, dove osservò in particolare Paestum, Pompei, Pozzuoli, Portici ed Ercolano, documentò i suoi studi in numerosissimi schizzi e disegni. Winckelmann, guru dell’epoca, aveva identificato la bellezza nell’espressione nobile semplicità e quieta grandezza.
Ebbene, Canova era già all’opera per portare in scultura gli ideali appresi, con Teseo sul Minotauro (1781-83), con il Monumento a Clemente XIX (1783-87) ma, soprattutto, con il celeberrimo gruppo marmoreo di Amore e Psiche (1787-93), oggi al Louvre di Parigi. Chi non lo conosce non è di questo pianeta perché Amore e Psiche non è solo uno dei capolavori della storia dell’arte ma è entrato anche saldamente nell’immaginario collettivo e nella cultura pop contemporanea. Un po’ come la Notte Stellata di Van Gogh, che ce la ritroviamo anche sulle scarpe e i portafogli. Uno degli aspetti cardine dell’arte canoviana è il cogliere o il momento precedente l’azione o quello successivo. Qui, Amore sta per svegliare Psiche dal suo sonno, sfiorandola. Predomina la grazia ma non quella preziosa del Barocco. La razionalità è infatti presente attraverso la linea pura, funzionale e l’utilizzo di una forma semplificata, a X.
Tra il 1795 e il 1815 scolpì invece Ercole e Lica, oggi a Roma, alla Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea. La scena riprende la vicenda di Ercole il quale, a causa di una tunica avvelenata, consegnatagli da un ignaro Lica, scagliò il giovane giù da una rupe in preda alla follia. Il momento è quindi precedente l’azione e si può cogliere tutta l’energia, il pathos e la tensione muscolare di Ercole.
Celebre è anche il Monumento funerario a Maria Cristina d’Austria, (1798-1805, Augustinerkirche, Vienna) e la sua Paolina Borghese Bonaparte come Venere Vincitrice, scolpita tra il 1804 e il 1808 e oggi alla Galleria Borghese a Roma. La sorella di Napoleone è qui rappresentata solenne, bellissima e potente, con lo sguardo fiero e il tipico colorito ambrato dovuto alla cera che l’artista usava passare per conferire maggior vitalità alle sue sculture. Per renderle vive.
Bastò poco perché Canova diventasse lo scultore più richiesto a livello internazionale – personalità del calibro di Napoleone, Gioacchino Murat e Pio VII – esportando quindi il suo personale concetto di Neoclassicismo anche oltralpe. Tra le opere del periodo abbiamo anche il gruppo scultoreo delle Tre Grazie, (1812-16), conservato al Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo. La morbida sensualità delle figure di Aglaia, Eufrosine, e Talia fu tale che persino il poeta Ugo Foscolo dedico all’artista un carme, Alle Grazie.
Quando Canova fu incaricato dal governo inglese di dare un parere a proposito dei marmi fidiaci provenienti dal Partenone, egli scrisse all’amico Quatremère: Le opere di Fidia sono vera carne, cioè bella natura. Canova, a differenza di molti artisti neoclassici e in particolare del suo corrispettivo neoclassico in pittura, il francese Jacques Louis David, non utilizzò mai la bellezza per una battaglia ideologica e politica.
L’ammirazione per Canova proseguì anche durante il periodo del Romanticismo, soprattutto in Italia, mentre venne via via ignorato dal primo Novecento, a causa delle prime istanze futuriste che lo ritenevano quasi esclusivamente un mero copista. La sua riscoperta la dobbiamo alle ricerche degli studiosi Hugh Honour e Mario Praz, i quali intorno alla metà del secolo gli conferirono nuovamente la dignità da sempre meritata. Non solo come immenso scultore ma come fondatore ed esportatore di una corrente artistica innovativa nel suo genere, che poneva le basi di quello che sarebbe stato un altro movimento fondamentale: il Romanticismo.
Per omaggiare i duecento anni dalla morte del noto artista, è stato istituito già a fine 2021 il Comitato nazionale per le celebrazioni del secondo centenario, con una serie di iniziative culturali al seguito che vedranno coinvolte più città e istituzioni italiane. Fino al 18 aprile 2022 il MART di Trento e Rovereto ospiterà la mostra Canova tra innocenza e peccato, a cura di Beatrice Avanzi e Denis Isaia (da un’idea di Vittorio Sgarbi). Quattordici opere dello scultore, tra cui Amore e Psiche, Ninfa dormiente, Endimione dormiente, Le Grazie, Venere italica e Maddalena penitente verranno poste a confronto con scatti fotografici (Irving Penn, Horst P. Horst, Carla Cerati, Eikoh Hosoe, Helmut Newton e Robert Mapplethorpe) e sculture di artisti del ventunesimo secolo (Adolfo Wildt, Leone Tommasi, Francesco Messina, Elena Mutinelli, Livio Scarpella, Massimiliano Pelletti, Giuseppe Bergomi, Giuseppe Ducrot, Filippo Dobrilla, Ettore Greco e Igor Mitoraj). Tema del confronto, il corpo e la sua bellezza in tutte le varie sfaccettature.
Ai Musei Civici di Bassano del Grappa, fino al 30 maggio, la mostra Ebe Canova riporta in auge lo splendore della celeberrima statua in gesso del 1817, personificazione della giovinezza, distrutta dopo il bombardamento del 1945. I suoi frammenti, conservati nei depositi dei Musei Civici, sono stati ricomposti grazie all’ausilio delle nuove tecnologie, in associazione a numerosi dipinti, disegni e testi che offrono un excursus sulla figura di Ebe, mitica figlia di Zeus ed Era, e coppiera degli dei. Oltre all’originale in gesso, della statua esistono ben quattro versioni autografe, scolpite dal 1796 al 1817 e dislocate tra Berlino, San Pietroburgo, Forlì e Regno Unito. Strano a dirsi ma la scultura ricevette all’epoca non poche critiche, probabilmente a causa di elementi (la nuvola), considerati ancora troppo barocchi o l’impiego del bronzo per la coppa e di una patina rosata per simulare l’incarnato dell’Ebe. Fu anche giudicata priva di espressione ma Canova rispose ai suoi detrattori che, se le avesse dato maggiore espressività, non sarebbe stata più Ebe bensì una Baccante. Alla mostra si potrà, inoltre, visionare l’Archivio Canoviano conservato nella Biblioteca, completamente digitalizzato e reso pubblico.
Dal 25 marzo e fino al 26 giugno, la galleria – per l’occasione intitolata a Canova – del Museo Balio di Treviso ospiterà la mostra L’Ottocento svelato. Da Canova al Romanticismo storico, a cura di Fabrizio Malachin e Elisabetta Gerhardinger. Tra le opere esposte, il gesso di Amore e Psiche stanti (1800), il bozzetto delle Tre Grazie e l’edizione integrale delle incisioni dello scultore, donate all’Ateneo da Sartori Canova, fratellastro e abate.
Insomma, una serie di appuntamenti da non perdere assolutamente se si è estimatori dell’arte e della figura di Antonio Canova ma non solo: se si è estimatori della bellezza nelle sue forme più sublimi.