Appuntamento in Piazza San Giovanni Bosco, Roma, perché la libertà, fortunatamente, non è politica. E in centinaia amano la vita tanto da voler essere liberi fino alla fine. Il vuoto legislativo sul diritto a una morte dignitosa, in Italia, contrasta la pienezza della piazza dedicata a Piergiorgio Welby dove il 19 settembre si è tenuto l’evento-concerto per sostenere la campagna per l’eutanasia legale, in collaborazione con l’Associazione Luca Coscioni che ha depositato la proposta di legge di iniziativa popolare in un 2013 troppo lontano in termini di diritti civili. Per le strade, i cittadini hanno dimostrato come il Paese sia più avanti rispetto alla legge, coinvolti in una battaglia istituzionalmente protratta a lungo ma umanamente facile, con una soluzione quasi ovvia: la libertà individuale sulla vita e sulla morte.
La manifestazione è stata guidata da Marco Cappato e Filomena Gallo – rispettivamente tesoriere e segretario dell’associazione – a pochi giorni dallo scadere del periodo a disposizione del Parlamento, chiamato dalla Corte Costituzionale a colmare il vuoto legislativo entro il 24 settembre, e a poche ore dalla telefonata informale che Elisabetta Casellati, Presidente del Senato, si è offerta di fare alla Consulta per chiedere più tempo all’Aula prima della pronuncia e per bloccare la sentenza di Cappato per l’aiuto a Dj Fabo.
Signor Cappato, cosa pensa della telefonata della Presidente del Senato?
«Penso che non sia compito della Presidente di un’assemblea parlamentare fare telefonate al Presidente della massima giurisdizione italiana. Non ne aveva il titolo. Qualcuno dovrebbe intervenire».
E secondo Lei cosa influisce maggiormente come ostacolo per una nuova legge?
«Credo influisca di più il potere dei partiti e chi lo vuole mantenere stretto negando la libertà individuale. La richiesta di Fabo è diventata la richiesta della Corte al Parlamento, nel rispetto dei cittadini e dei malati. In Aula alcuni hanno fatto un lavoro serio, altri gruppi si sono opposti preferendo ragioni di partito e maggioranza alla libertà».
Quali sono stati i vantaggi e i rischi di parlare di una questione così delicata in un programma noto come Le Iene, dandoLe un’enorme visibilità nazionale?
«Restando nei convegni con le persone che sono già d’accordo non si esce dalla questione. Più nazionalpopolare si è, meglio è per la battaglia, ovviamente ragionando e rispettando la verità. Rispettiamo ogni scelta, anche di coloro che nella situazione di Dj Fabo sceglierebbero l’opposto. A queste persone va tutto il nostro riguardo perché siano curate, perché ci sia lo psicologo, lo psichiatria, l’assistente sociale. Per questo siamo uniti con quelli che possono sembrare invece i nostri avversari». Sul palco ha dichiarato infatti: «La battaglia vera è contro gli indifferenti».
Anche Filomena Gallo ci ha parlato delle vicende recenti che hanno suscitato l’indignazione politica e del web: «La Corte Costituzionale è un organo indipendente e non bisogna abusare della propria autorità come è stato fatto la settimana scorsa. Il Presidente del Senato non ha il potere di influire in questo modo chiedendo un rinvio. E la Presidentessa Casellati è anche un avvocato, dovrebbe saperlo. Il Parlamento potrà legiferare dopo la sentenza della Corte Costituzionale, speriamo in totale libertà».
E quale vuole essere, con questo concerto-evento, il vostro messaggio ai cittadini?
«Liberi fino alla fine. Abbiamo bisogno di libertà e di tutela, che la Costituzione dovrebbe garantire. Gli italiani vanno all’estero per fare famiglia, per lavorare, per studiare. Queste cose potrebbero essere fatte anche in Italia se solo avessimo una politica più attenta alle libertà degli individui. Personalmente, mi auguro che parta una grande stagione dei diritti civili perché il Paese ne ha veramente bisogno».
Durante l’evento si sono succedute le straordinarie testimonianze di Mina Welby, Beppino Englaro, Valeria Imbrogno e parenti degli altri attivisti coinvolti, lì dove 13 anni fa si svolsero i funerali laici di Piergiorgio Welby, di fronte alla Chiesa che i familiari avevano scelto per la celebrazione negata: «In questa piazza c’erano più di mille persone, era talmente piena che non si vedeva neppure per terra. Sembrava stessimo celebrando la festa di compleanno di Piergiorgio».
È da qui, dunque, che si può partire per ripercorrere la storia di un uomo che è stato uno spartiacque nella questione del fine vita, un punto di non ritorno verso la coscienza dei cittadini contro il tentativo mainstream di diluire le tematiche importanti. La politica è sempre più specializzata in giochi illusionistici, ma senza una vera proposta di cambiamento. Tutto in movimento ma niente cambia.
Anche a Mina Welby abbiamo chiesto un’opinione sulle pressioni politiche delle ultime settimane: «Queste pressioni a me non potrebbero farle. A Casellati avrei detto che non era il caso che lei facesse questo passo, perché è il Parlamento che deve legiferare e non dovrebbe rivolgersi alla Corte di Cassazione per fermarlo. Anzi, avrebbe potuto fare qualcosa. Ora c’è il nuovo governo, lei è la seconda carica dello Stato, non era la cosa giusta da fare».
Cosa Le ha suscitato più amarezza in questi anni?
«Tante cose mi hanno suscitato amarezza, in modo particolare la mancanza di ascolto. Hanno fatto le audizioni alla Camera dei Deputati, hanno avuto un esito positivo, però poi si è bloccato tutto».
E cosa Le ha suscitato rabbia?
«La cosa che mi ha fatto arrabbiare è stato dare la colpa alla crisi di governo che non c’entra nulla. Hanno smesso di fare qualsiasi passo a metà giugno quando di crisi ancora non si parlava. È stata l’ultima scusa possibile a cui sono approdati».
Tra i presenti anche la sorella di Piergiorgio, Carla Welby, che ha ricordato la richiesta fatta dal fratello nel 2006: «Se non troviamo nessuno che lo fa, lo devi fare tu perché io per te l’avrei fatto».
Cosa impedisce la realizzazione di una legge?
«Qui stanno banalizzando una cosa che non è banale. Stanno dicendo che una legge simile verrebbe utilizzata da tutti e per tutti. È una questione talmente dolorosa che sarebbe bene lasciare a ognuno la libertà di scelta. Per non lasciare una persona libera di scegliere e di morire, la si condanna a giorni di agonia. Si parla di situazioni estreme a cui va data una risposta. Non voglio parlare di dinamiche politiche, io voglio parlare solo di emozioni, di sofferenze e dolore».
A sostegno sono accorsi molti protagonisti del panorama culturale italiano come Roy Paci, Nina Zilli, Pau e Mac dei Negrita, il Muro del Canto, Emanuele Vezzoli, Emma Bonino, Giulio Golia, Giulia Innocenzi e tanti altri che si sono susseguiti sul palco tra musica e interviste. Roy Paci, il primo a esibirsi, ha dichiarato a gran voce: «La mala razza si insinua nel Parlamento e nella politica che a tratti in questi anni è stata molto becera. Quando ho iniziato ad affiancare l’Associazione Luca Coscioni molti hanno cominciato a schierarsi contro. È questa la mala razza. Sono quelli che portano avanti ideali retrogradi, ma grazie al cielo la libertà è libertà».
Mac, qual è l’importanza dell’essere qui in un evento simile con la tua band, i Negrita?
«Siamo artisti e non per questo non siamo uomini né cittadini. Un artista deve richiamare la gente, ha più potere comunicativo e proprio per questo deve rendere le persone partecipi degli argomenti importanti, di quelli che contano davvero. Noi come musicisti siamo responsabili e dobbiamo rispondere al nostro diritto e dovere di comunicare alla gente certe cose».
La libertà di vivere secondo dignità è da riconoscere anche alla fine della vita di ciascuno. Affermare la Signora Libertà sembra l’unico modo per rispondere a un Parlamento silenzioso che contiene diverse posizioni e fazioni politiche. Eppure, non si tratta di partito, non si tratta di opinione, è indipendenza, un argomento ineludibile. Il proibizionismo sui corpi non funziona mai.
Oltre alla politica, non sono mancate poi riflessioni sull’ingerenza del Vaticano. Il politico e sociologo Luigi Manconi ha rievocato le porte chiuse per la celebrazione dei funerali di Piergiorgio Welby, quella misericordia per la sofferenza umana che la Chiesa dovrebbe promuovere e davanti cui è rimasta indifferente: «Ogni persona ha il diritto di chiedere e la Chiesa ha il dovere di ascoltare. Personalmente avverto un’assonanza tra porte chiuse della Chiesa per il funerale e i porti chiusi del Paese nel confronto del dolore delle persone. E noi, credenti e non credenti, vogliamo la Chiesa delle porte aperte come essa ha saputo essere nella sua storia».
Il suo è un appello affinché questa sofferenza non prosegua nel chiuso delle case, negli ospedali o in segretezza dove l’eutanasia viene praticata clandestinamente ed è un lusso di cui possono avvalersi solo coloro che hanno potere, conoscenza e denaro. Il filosofo e direttore di MicroMega Paolo Flores d’Arcais si è rivolto, allora, a Sua Eminenza Cardinal Bassetti, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana: «Sul Suo fine vita, preferisce decidere Lei o preferisce che decida io? Perché pretende di decidere sul mio fine vita e sulle decine di milioni di cittadini italiani? Lei pretende di poter decidere sulla base dei Suoi valori, della Sua fede, e pretende che io non possa decidere sulla basa dei miei principi e dei miei valori. Lei ritiene questo cristiano?».
Il problema del fine vita è statisticamente una possibilità concreta. Non è lontana da noi e tocca – più o meno lateralmente – molti nuclei familiari. Io ero in piazza perché amo la vita, la vita libera fino alla fine.
E tu?