Vi siete mai chiesti che cosa rappresenti l’acronimo LGBTQIA+? Lesbica, gay, bisessuale, transgender, queer, intersessuale, asessuale, il + ingloba altri orientamenti sessuali e/o identità di genere. Ve ne sono vari, in realtà, di acronimi utilizzati per identificare in maniera sintetica l’insieme delle minoranze sessuali. Queste ultime sono rappresentate da tutte le persone che per orientamento sessuale, identità e/o espressione di genere, caratteristiche anatomiche non aderiscono agli standard del binarismo sessuale e dell’eterosessualità, ossia alla netta divisione della specie umana in maschi e femmine, con corrispondenza dell’identità di genere al sesso biologico e con desiderio verso le persone di sesso opposto al proprio.
Vorrei soffermarmi, in questo articolo, proprio sulla I di questo acronimo. Un mondo sommerso del quale ancora oggi si parla troppo poco. La I, infatti, rappresenta gli intersessuali.
Con il termine intersessualità si fa riferimento a una condizione in cui una persona presenta, sin dalla nascita, caratteri sessuali che non rientrano nella tradizionale classificazione di maschile e femminile. Tali elementi possono riguardare sia aspetti prettamente genetici, quali cromosomi, maker genetici, ormoni sia aspetti esteriori evidenti quali gli organi riproduttivi, i genitali o le caratteristiche sessuali secondarie come il seno, la barba o la peluria che comunemente ci aiutano a classificare una persona in un determinato sesso.
Le persone che nascono con tratti intersessuali sembrano essere circa 30 milioni, una percentuale che si aggira fra lo 0.5% e l’1.7% della popolazione mondiale. Secondo la definizione dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, le persone intersessuali hanno un corpo che non corrisponde alla definizione tipica dei corpi maschili o femminili.
L’essere intersessuale non è una malattia. Le variazioni biologiche presenti non implicano necessariamente problemi di salute. La cosa eclatante è che le persone con tali caratteristiche subiscono nel corso della loro vita o alla nascita una pesante medicalizzazione volta all’adeguamento del sesso biologico a quello considerato socialmente più accettabile. Si tratta di procedure mediche invasive e irreversibili che possono provocare dolore e sofferenza sia fisica che psicologica.
Molti intersex vengono a conoscenza della loro condizione biologica solo durante l’adolescenza. Spesso agli intersessuali viene proposto un trattamento chirurgico e/o con terapie ormonali finalizzate a farli rientrare nella tradizionale dicotomia di genere (maschio o femmina) molte volte subendo pesanti medicalizzazioni già in età pediatrica con vari interventi di assegnazione di sesso (che non hanno deciso loro). Questi bambini, che hanno subito una serie di interventi sul proprio corpo, possono riportare da adolescenti e adulti un senso di violazione e talvolta hanno difficoltà ad accettare la propria immagine corporea ritrovandosi “costretti” in un sesso che non gli appartiene.
La biologa Anna Fausto-Sterling, in un articolo del 1993, The Five Sexes, afferma che nella natura umana esistono almeno cinque sessi riferendosi esclusivamente agli organi genitali e all’apparato riproduttivo. Spezza così il paradigma dicotomico della sessualità da sempre insito nella nostra cultura. Fausto-Sterling presenta l’esistenza delle persone intersex, a dimostrazione che il sistema sessuale binario della nostra società non è adeguato a includere l’intero spettro della sessualità umana.
L’intersex non è un orientamento sessuale ma una condizione in cui si nasce. Di conseguenza le persone intersessuali, come tutti, possono essere cis-gender o transgender. Nonostante tutto, l’intersessuale viene ancora oggi visto come un “errore della natura”. Molti medici tendono infatti a consigliare ai genitori di adeguare la forma dei genitali esterni a uno dei due sessi maschile e femminile.
Mi ha particolarmente sensibilizzata sull’argomento, per molti veramente sconosciuto, un libro: Il caso 07-LA-1664 di Annalisa Gianfranceschi, insegnante di scuola primaria e studentessa di biologia presso l’Università degli Studi di Pisa che ha deciso di pubblicare un romanzo che tocca, tra i molteplici argomenti di natura scientifica, anche quello dell’intersessualità e dell’ambiguità dei genitali dei bambini. Una questione poco dibattuta ma che, grazie alla sensibilità dell’autrice, tocca le corde dell’anima del lettore.
Gianfranceschi afferma: Ho deciso di parlare di questo tema perché ritengo che l’arte, la letteratura, la poesia, il cinema, il teatro e la pittura abbiano la funzione di portare alla luce tutto ciò che è sommerso ma che è stato ed è, ancora oggi, causa di indicibile sofferenza umana. Attraverso il mio romanzo che vuole essere anche divulgativo cerco di dare voce a chi, ancora alle soglie del 2023, non può averne. Ai bambini che nascono con intersessualità, spesso, non è data la possibilità di mostrarsi per quello che sono realmente. In alcuni casi non potranno mai scoprire il proprio vero essere e sentire e la loro imprescindibile unicità. I genitori sono costretti a registrarli come maschi o femmine come se l’essere intersessuale fosse qualcosa di indegno nell’ essere mostrato. I genitori, molte volte vittime dei loro stessi pregiudizi e di una società che non ha rispetto per le minoranze e per le differenze di ogni genere, credono ingenuamente di fare del bene ai loro figli “cambiandoli” con un’operazione chirurgica e/o con cure ormonali.
Ho scritto questo libro perché sogno un mondo nuovo dove, finalmente, dopo diversi tentativi di progetti di legge falliti venga sancita una legislazione che permetta ai bambini intersessuali di poter avere una vera identità sessuale. Soprattutto che sia impedito di intervenire chirurgicamente per un’arbitraria riassegnazione sessuale. Spero che il mio libro sensibilizzi chi non ha mai avuto modo di riflettere su queste importanti tematiche soltanto perché non le ha vissute sulla propria pelle ma che riguardano, di fatto, la nostra società civile. La società civile ha un’importante sfida da compiere ossia quella di accogliere ed accettare la complessità della natura umana che costituisce, di fatto, la nostra maggiore ricchezza.
Collegandoci a queste parole, ricordiamo che già nel 2013, il senatore del PD Sergio Lo Giudice avanzò una proposta di legge per modificare le Norme in materia di modificazione dell’attribuzione di sesso, scritta da Rete Lenford, Avvocatura per i diritti LGBT, e depositata alla Camera con Atto n.246 di Scalfarotto (PD) e al Senato con Atto n.392 di Airola (M5S) e n.405 di Lo Giudice. Nel 2019 assistiamo a uno storico voto alla plenaria di Strasburgo sui diritti delle persone intersex. Il Parlamento Europeo denuncia le violazioni dei diritti umani delle persone intersessuali e chiede alla Commissione e agli Stati membri di intervenire per garantire il diritto all’integrità fisica e all’autodeterminazione. L’Italia, nonostante i tentativi, resta a oggi tra i 21 Paesi UE senza una normativa adeguata in materia.
Ivi riporto le conclusioni tratte dall’articolo Il riconoscimento giuridico del “terzo sesso”: un esempio di inclusione-esclusione? Riflessione socio-giuridiche e culturali sulla condizione intersex a cura di Cirus Rinaldi e Giacomo Viggiani su Cambio. Rivista sulle trasformazioni sociali:
[…] l’analisi della condizione intersex pone le scienze sociali, e la riflessione socio-giuridica in particolare, di fronte alla necessità di dotarsi di strumenti analitici e teorici utili per provare a descrivere, seppure con difficoltà, questi nuovi status, tenendo conto dei limiti del “genere” e del “sesso” nella loro versione categorizzazione moderna. La condizione intersex mette in discussione e produce una serie di istanze di de-naturalizzazione, rottura e ri-articolazione dei corpi, rendendo visibili – e pertanto fragili, effimeri, fittizi – i legami che crediamo esistere tra la dimensione biologica dei nostri corpi, i ruoli sociali che un certo corpo si crede debba “funzionalmente” svolgere, i meccanismi culturali che operano per sostenere o ostacolare specifiche configurazioni corporee.
Le istanze di denaturalizzazione sostenute dalla esperienza intersex provano quanto siano diversificate le forme di naturalizzazione dei processi sociali e quanto ogni tentativo di classificazione e categorizzazione, anche all’interno del discorso scientifico, sia una mera decisione culturale. Le principali sfide per la teoria sociale comprendono principalmente la constatazione critica che la dicotomia e la definizione binaria del genere sono una costruzione culturale e che ogni forma di classificazione diventa operazione arbitraria. Del resto, ogni tentativo “scientifico” di categorizzazione non è indipendente dai contesti culturali in cui opera e fa pertanto parte di un sistema che definisce e rinforza le idee culturali su ciò che conta come normale o “umano”.