La filosofia non si pone prima della concretezza del mondo, ma dopo. Non rappresenta un modo per sfuggire alla realtà ma la via per affrontarne l’ultimo lembo possibile. La filosofia, cioè, non è per codardi ma per individui estremamente coraggiosi, pronti ad affrontare ciò che sembra inaffrontabile: l’apparente mancanza di senso dell’esistenza. La filosofia nasce dal ????? (thauma), cioè dal terrore, dallo scoramento, dall’apertura nei confronti dell’ignoto. Questa meraviglia estrema è il punto di partenza, il cominciamento del filosofare.
Lezioni di meraviglia è un manuale narrativo scritto da Maura Gancitano e Andrea Colamedici. Dopo la sua presentazione, avvenuta in un caffè letterario nel centro storico di Napoli, abbiamo avuto il piacere di approfondire i temi toccati all’interno del libro, soffermandoci in particolar modo su alcuni spunti offerti nel corso dell’evento.
Maura, Andrea, il vostro è un libro di filosofia. Come è nato l’amore per questa materia e in che modo avete sviluppato il vostro percorso dopo gli studi?
«Guardando i nostri figli di tre e sei anni, la domanda che dovremmo porci, piuttosto, è come si spenga l’amore per la filosofia. I bambini sono naturalmente filosofi: è per questo che parliamo di filosofia con i bambini e non di filosofia per bambini. La filosofia non cala di livello quando la si porta a un cinquenne, anzi: si esalta. Semplifichiamo la filosofia per farla capire ai bambini, pensano alcuni. Ma il cinquenne è disposto a stravolgere la propria esistenza, i propri pensieri, il proprio progetto di vita. L’adulto no. E ci si innamora dell’amore per la conoscenza ogni volta che si è disposti a tutto per lei. A ogni modo, dopo esserci laureati (Maura al San Raffaele di Milano, Andrea alla Sapienza di Roma) abbiamo avuto entrambi, contemporaneamente ma senza conoscerci, un momento di crisi filosofica: perché la filosofia non sa più rispondere ai problemi contemporanei? Perché le università sono obitori del pensiero? Perché lo sviluppo armonico dell’essere umano, da cardine delle filosofie antiche, è diventato un argomento più che marginale in quelle contemporanee? Erano queste le domande che ci hanno spinto verso un cammino interiore e verso ricerche in ambito esoterico, tra Qabbalah, Gnosi, Alchimia, Misticismo, per poi ricondurci tra le braccia di Platone e Foucault.»
Da cosa e in che modo è nata la vostra collaborazione e, dunque, il vostro progetto?
«Ci siamo conosciuti in circostanze molto bizzarre: entrambi facevamo parte di una scuola di Quarta Via, un cammino di conoscenza ideato dal filosofo armeno G. I. Gurdjieff, dalla quale siamo scappati insieme. È stato un modo straordinario di incontrarci perché ci ha permesso di avere subito chiaro quale sarebbe stato il nostro scopo comune: recuperare il nesso inesauribile e inestinguibile tra spiritualità e filosofia e impiantare la ricerca interiore nella prassi politica, vale a dire nella vita della polis, smontando i provincialismi, gli assolutismi e le semplificazioni. Il nostro scopo è dunque portare avanti questo progetto mantenendo sempre la libertà di parola e di azione.»
Durante la presentazione avete posto al pubblico la domanda: Che cosa è, per voi, la meraviglia? Questo è il concetto su cui si basa la vostra opera. Si può, secondo voi, “imparare” a creare una condizione di meraviglia? Se sì, in che modo?
«La meraviglia è la condizione naturale dell’essere umano: è il vero sesto senso, di cui abbiamo tutti una gran paura. Per bloccare la meraviglia, per impedire che cambi costantemente la nostra vita, abbiamo costruito tutta una serie di barriere, ostacoli e limiti artificiali. Si tratta, quindi, di re-imparare a meravigliarsi. Ci vuole coraggio, perché chi è perennemente disposto alla meraviglia sa che può stravolgere la propria vita in ogni istante.»
Il libro inizia con la poesia Forse un mattino di Montale. Perché questa scelta? In che modo il terrore di ubriaco di cui parla il poeta può essere paragonato alla meraviglia?
«Montale ha saputo raccontare la condizione della meraviglia come nessun altro: meraviglia, come scriviamo sulla scia di Emanuele Severino, intesa come thauma, il terrore sconvolto dello scoprirsi al mondo. Montale è terrorizzato alla vista di ciò che si trova al fondo dell’esistenza: il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro di me. Eppure è un terrore di ubriaco, di un ebbro, cioè di qualcuno che è strapieno, che esonda. Quella visione – la visione del non senso della vita, della tremenda meraviglia dell’essere al mondo – stordisce perché fa cambiare posizione a ogni singolo elemento dell’essere umano. Sconvolge chi decide di viverla e, soprattutto, chi sceglie di non dimenticarla e di farne tesoro. Di andare, come conclude Montale, tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.»
La condizione di meraviglia è collegata senz’altro alla figura del filosofo, cioè di colui che sceglie di non arrendersi e di inseguire la conoscenza. Avete parlato di Jung, del suo cambiare continuamente le sue teorie. Una metafora molto interessante è stata quella delle barche. Vi andrebbe di riproporcela?
«Creiamo teorie nel tentativo di sostenere il peso dell’assurdità e dell’incomprensibilità del mondo. Cerchiamo, cioè, di descriverne una piccola parte. Teoria viene dal verbo ?????? (theoréo), guardo, osservo, composto da ??? (thèa), spettacolo e ???? (horào), vedo: indica l’essere spettatori, il guardare lo spettacolo del mondo. Il vero teorico non vuole obbligare il mondo a rientrare nei propri schemi, ma desidera inventare una descrizione che rappresenti un ringraziamento nei confronti della meraviglia del reale: disegna un applauso alla vita. La teoria non vuole essere vera, ma utile: vuole offrire un ponte a chi la utilizza, un trampolino sicuro per lanciarsi nell’ignoto. La teoria è una nave che bisogna abbandonare quando la si vede naufragare: è un mezzo per raggiungere la sophia, non un fine. Quando una teoria diventa un fine si trasforma in dogma, e fa finire la filosofia. Durante la vita di barche – cioè di teorie, cioè di visioni del mondo – possiamo cambiarne tante. È fisiologico e non è sbagliato, non è incoerente: la vera coerenza da mantenere è l’anelito, lo spirito di ricerca, la disposizione ad abbandonare qualunque cosa in nome della verità, cioè della fedeltà al viaggio, al mare.»
Avete, inoltre, paragonato la figura del folle a colui che riesce a meravigliarsi. Perché, secondo voi, il folle viene isolato dalla società odierna? E perché, dunque, la meraviglia viene negata?
«Perché la follia è dietro l’angolo per tutti, mai come oggi. A forza di scansarla, di recluderla, di correggerla, le abbiamo concesso il mondo intero. Adesso il nostro sforzo principale consiste nel mascherarla, nel nasconderla, perché non abbiamo saputo riconoscerle uno spazio e un ruolo decisivi. Siamo costretti a essere efficienti, produttivi, eccezionali, speciali. Per riuscire a farlo dobbiamo affermare di essere diversi da tutti gli altri, e in questo modo finiamo con l’essere uguali. Come scrive magistralmente Byung-Chul Han nel suo ultimo libro, L’espulsione dell’altro: Oggi ognuno vuole essere diverso dagli altri. Ma questo voler-essere-diverso non fa altro che prolungare l’Uguale. Qui abbiamo a che fare con una conformità all’ennesima potenza.»
A detta vostra, quello da voi scritto non è un libro per tutti. Chi è, allora, il destinatario ideale?
«Chi si sente anormale, un pesce fuor d’acqua, e si concede degli spazi per riflettere sul senso del proprio stare al mondo, anche se magari lo fa di nascosto, senza dirlo a nessuno; chi avrebbe voluto portare un cambiamento nel mondo della cultura ma, bussando, ha sentito soltanto una voce dall’interno che diceva No, grazie, non abbiamo più niente da scoprire; chi ha sentito una chiamata dalla filosofia e, in generale, dalla ricerca della conoscenza, ma non ha trovato le risposte che cercava. Non le troverà nel libro, s’intenda, ma potrà far crescere le proprie domande e ne scoprirà di nuove, più grandi e impegnative. Che poi, a veder bene, è proprio lo scopo della filosofia.»
L’opera ha comunque ricevuto parecchi apprezzamenti. Che progetti avete per il futuro? Vi piacerebbe proseguire in questa collaborazione per ulteriori lavori?
«Il nostro progetto consiste nel riflettere insieme sui temi che ci stanno più a cuore: la condizione dell’uomo e della donna nella società contemporanea, se e come sia possibile oggi una ricerca interiore; il recupero dei miti e delle filosofie antiche, incredibilmente potenti e attuali; la critica al neoliberismo e ai processi di autosfruttamento dell’individuo in Occidente. La nostra riflessione filosofica comune è perenne, senza soluzione di continuità, e va avanti anche nella nostra vita privata, perché ha a che fare con il nostro atteggiamento nei confronti del mondo. Dunque potreste vederci discutere di questi temi anche mentre facciamo colazione, mentre portiamo i bambini all’asilo o prendiamo un caffè al bar. Non c’è luogo né momento in cui non sia possibile domandarsi quale sia la ragione della propria vita, e meravigliarsi di essere al mondo.»