Per mesi, abbiamo sentito ripetere come un mantra che non serve una legge contro l’omofobia, mentre si combatteva per dare una voce a quanti hanno sempre meno diritti degli altri. Che a parlare fosse l’incoscienza di chi non ha contezza della forza irrefrenabile che può avere l’odio o che si trattasse di strategie per osteggiare intenzionalmente la comunità LGBTQ+, la formulazione di una norma che tutelasse dalle discriminazioni omotransfobiche è stata ostacolata in tanti modi, ma niente è riuscito a impedire la vittoria giunta la scorsa settimana: dopo mesi di lunghe battaglie, la Legge Zan è passata alla Camera. 265 i sì, contro i 193 no e l’unico astenuto, che hanno segnato il primo passo verso una direzione più umana e civile per l’Italia, che non si annovera certamente tra i paesi più moderni e liberali d’Europa.
È la storia a insegnare che quando una minoranza non è tutelata da un apparato normativo, l’odio va alla deriva. A volte, risulta incontrollabile anche quando le leggi tentano di limitarlo, come dimostra la persistenza del razzismo e dell’intolleranza su base religiosa che, nonostante il quadro legislativo vigente, sono ancora molto lontani dall’essere considerati debellati. Era dunque urgente la discussione di una legge contro la discriminazione di quelle categorie che neanche sono riconosciute come persone da tutelare. E se, dati alla mano, il palpabile clima di odio non basta, la necessità di questa legge risulta invece incontestabile. Fino a ora, infatti, il Bel Paese è stato tra gli ultimi posti in Europa per quanto riguarda l’omotransfobia, migliore solo di Polonia e Ucraina. In Italia, il 75% di membri della comunità LGBTQ+ si sente costretto a non manifestare pubblicamente il proprio orientamento sessuale o l’identità di genere temendo minacce e violenza, timore che appare fondato poiché aggressioni e atti di bullismo coinvolgono il 40% della comunità.
Alla luce di numeri tanto avvilenti, quindi, l’introduzione della nuova normativa risulta una vittoria non solo per le persone coinvolte direttamente, ma anche per tutti i cittadini insofferenti al clima d’odio che si respira quotidianamente. La forza della Legge Zan, tra l’altro, sta nella sua universalità. Essa non tutela solo omosessuali e transgender, ma tenta di mettere freno all’astio rivolto a molte più categorie. È una legge contro l’omotransfobia, la misoginia e l’abilismo che, ottenendo l’approvazione anche in Senato, punirà con sanzioni e reclusione fino a 4 anni i comportamenti accomunati dalle finalità di discriminazione fondata su sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere e disabilità.
Il ddl, infatti, ampliamento della già esistente norma contro le discriminazioni su base razziale e religiosa, prevede la tutela di altre categorie finora ignorate ma altrettanto ghettizzate. Oltre a salvaguardare gli orientamenti sessuali, sottintende poi una differenza tra sesso, genere e identità di genere, sfumature della natura umana spesso non distinte le une dalle altre e che, se ignorate, rischiano di contribuire alla discriminazione implicita.
Prima di tutto, nessuno potrà più essere escluso o bullizzato a causa del proprio sesso. In un paese di matrice ancora profondamente patriarcale come l’Italia, in cui le misure per tutelare i diritti delle donne – dal femminicidio al lavoro – sono ancora scarse e il sessismo evidentemente dominante, sembra assurdo che nella legge Reale-Mancino mancasse un accenno a questo tipo di violenza. Soprattutto negli ultimi anni, in cui sono nati molti movimenti misogeni. Il riferimento al genere e all’identità di genere, inoltre, permette il riconoscimento di quella fetta di popolazione spesso ignorata, composta da chi non si identifica nei generi binari o nel genere attribuito al sesso di nascita. Con questa puntualizzazione è possibile tutelare i diritti di chiunque si identifichi come transgender, indipendentemente dal fatto che abbia affrontato o meno un percorso di transizione. Questo passaggio è fondamentale, poiché in Italia il riconoscimento del genere è strettamente legato al sesso e, dunque, all’eventuale operazione, e non consente il pieno rispetto di chi non vuole sottoporvisi pur consapevole della propria persona.
La legge era stata inizialmente pensata per tutelare la comunità LGBTQ+, ma la discriminazione in qualche modo accomuna sempre le minoranze, anche quelle diverse tra loro, e ha inevitabilmente coinvolto altri tipi di intolleranza che ancora mancavano nella vecchia normativa affrontando, oltre che la misoginia, l’abilismo. Anche in questo caso, rendere esplicita la gravità delle discriminazioni nei confronti di categorie scarsamente difese si rivela necessario proprio perché il riconoscimento dei diritti, dell’uguaglianza dei cittadini, molto spesso non basta, se non accompagnata da provvedimenti che ne garantiscano effettivamente la tutela, come accade purtroppo anche ai portatori di disabilità.
Ovviamente, con l’arrivo di una legge tanto attesa e necessaria, non potevano mancare le critiche di chi, come sempre, strumentalizza la libertà di parola per negare i diritti. Le polemiche – manifestate anche durante la votazione che ha visto gli oppositori presentarsi imbavagliati – sembrano sostenere che una norma che prevede la reclusione per atti discriminatori e d’odio sia liberticida. Si tratta della stessa polemica che viene fuori ogni qualvolta si tenti di mettere un freno all’intolleranza. Ma, mentre la promessa dell’opposizione di abrogare il provvedimento non appena vincerà le elezioni risulta piuttosto insensata, dato che la legge è equivalente a quelle già attive finora contro discriminazioni di altro tipo, l’appello alla limitazione della libertà di parola non avrebbe in ogni caso appigli grazie alla formulazione con cui essa è stata pensata.
Il ddl, infatti, comprende una clausola prevista appositamente per tutelare la libertà di opinione, all’interno della quale è specificato che il pluralismo di idee e di scelta sono in ogni caso intoccabili. È dunque possibile esprimere le proprie opinioni liberamente quando non costituiscono un’istigazione alla discriminazione. Inoltre, si fa esplicito riferimento alla libertà di scelta – che in ogni caso sarebbe stata sottintesa – proprio per non incontrare le critiche di quelli che, del tutto irragionevolmente, accusano la legge di promuovere l’omosessualità a discapito della famiglia tradizionale. A favore di queste critiche si aggiunge la motivazione preferita da certe forze di opposizione, la battaglia che sembrano condurre con più trasporto, in realtà strumentalizzata per negare qualsivoglia diritto: lasciate stare i bambini. La Legge Zan, infatti, prevede anche l’istituzione di una giornata nazionale e un programma di iniziative per celebrare l’iniziative nelle scuole e sensibilizzare gli studenti, preoccupando per la fantomatica propaganda gender che dovrebbe istigare i giovani, non ad accettare se stessi e il prossimo, ma a quelle inaccettabili perversioni come essere e amare senza timori.
Per fortuna, una legge come la Zan non fa differenze e un timore del genere risulta, oltre che assurdo, totalmente infondato, proprio perché la norma protegge dalle discriminazioni relative a qualunque orientamento sessuale, comprendendo e tutelando, dunque, anche l’eterosessualità. Come sempre in questi casi, il tentativo di assegnare più diritti alle categorie invisibili non li toglie a chi è già ampiamente tutelato, sebbene questa sia la scusante prediletta di chi, privo di alcuna buona intenzione, prova a sabotare ogni sforzo di progresso e inclusione.