A poco più di un mese dalla nascita del governo a guida del banchiere Mario Draghi, la Winpoll ha effettuato, per conto del Sole 24 Ore, un sondaggio sulle intenzioni di voto degli italiani. Il risultato è in linea di massima coincidente con quelli eseguiti negli stessi giorni da altre società e vede la Lega al 22.2%, il PD al 20.1%, FdI al 19.1%, il M5S al 14.1%, FI al 6.7% e Italia Viva al 2.5.
Primo partito – con quasi il 5% in più rispetto alle politiche del 2018 ma con 12 punti in meno relativamente alle ultime europee – si conferma, dunque, la Lega che rappresenta la vera anomalia di questo governo di larghe intese nato per far fronte comune nel momento particolare che attraversa il Paese. Una forza politica, il Carroccio, che ha imparato dall’ex alleato pentastellato la strategia del doppio binario, del come essere sempre e comunque al potere, e una posizione che appare eccessivamente referenziale nei confronti del Presidente del Consiglio, pur conservando l’abituale atteggiamento a metà tra opposizione e maggioranza, con un occhio sempre attento all’unico partito al di sopra del 3% con cui non ha governato in questa legislatura.
Parliamo del partito dei record di indagati che qualche giornale calabrese ha titolato Fratelli di ‘ndrangheta e che, stando al citato sondaggio, vede aumentare sensibilmente il suo consenso con un 14.75% in più rispetto alle politiche del 2018 e il 12.6% alle europee. Separati a Roma, Lega e Fratelli d’Italia, ma insieme nella disastrosa giunta regionale della Lombardia che, nonostante la pessima gestione della pandemia con migliaia di decessi, un piano vaccinale che stenta a partire e indagini ancora in corso riguardanti il Presidente Fontana, non accenna alle dimissioni invocate da più parti, tranne che proprio da Giorgia Meloni e dal leader del Carroccio che sembrano non accorgersi di un’amministrazione della sanità in linea con quelle del passato oggetto di clamorose inchieste giudiziarie.
Matteo Salvini, in particolare, potrebbe rappresentare la mina vagante – caratteristica fino a poco più di due mesi fa del senatore saudita, il Matteo part-time in Parlamento, dai rapporti più che sospetti con l’Arabia del principe da tanti definito mandante dell’omicidio del giornalista Adnan Khashoggi – di un governo per adesso sulla scia del precedente e di un Mario Draghi che, con abilità politica (va riconosciuto), lancia segnali di assenso alle richieste propagandistiche di apertura per non lasciarle in esclusiva alla sua alleata di coalizione, tutta sola all’opposizione, che già vede aumentare i propri consensi rubacchiati nel gran calderone del centrodestra.
E a proposito di alleanze, al di là delle percentuali in picchiata negativa, l’inossidabile ex Cavaliere, tra un ricovero strategico e l’altro, persegue anche lui la politica del doppio binario, partecipe al banchetto soprattutto per salvaguardare le sue aziende, nella speranza del possibile coronamento di un sogno che farebbe sprofondare l’Italia nel ridicolo, compromettendone il già precario prestigio internazionale. Come sempre, Silvio Berlusconi insiste al centro di quella politica mediocre e affarista che purtroppo non accenna a cambiare, condizionando il presente e il futuro della vita del nostro Paese.
Riuscirà l’abile banchiere, tranquillo del sostegno della Lega di Giorgetti, a tenere a bada il Carroccio di Salvini, più attento a monitorare gli umori in particolare in quei territori tradizionalmente fedeli? La mancata uscita (anche parziale) dalla pandemia in tempi ragionevoli con l’apertura delle attività maggiormente colpite potrebbe far dimenticare al devoto Matteo la tolleranza cristiana ostentata a forza di simboli sacri simili ad amuleti e dare, come l’omonimo saudita, un colpo all’esecutivo, seppur soltanto nella forma, traendone nella sostanza possibili cospicui consensi da strappare proprio a quella Giorgia Meloni classica rappresentazione di persona di estrema destra che finge di non esserlo.
Ipotesi forse azzardata per i forti interessi sul Recovery Fund dalla cui gestione certamente la Lega non intenderà essere fuori, ma che i tempi giusti potrebbero favorire, avallando quella politica del doppio binario del partito nordista, consapevole del fallimento della strategia nazionale che, in verità, Umberto Bossi aveva previsto, e l’attuazione – nella sostanza già in corso – di quel regionalismo differenziato che impoverirà ulteriormente il Mezzogiorno, fuori dalle agende dei governi ormai da qualche decennio.
Una forza politica, quella della Lega, che una strategia – seppur perversa – ce l’ha, che è passata dal folklore delle adunate padane, ancora in vita per la truppa, alle stanze dei palazzi del potere di quella Roma ladrona dalla quale ha appreso il meglio, mettendolo in pratica su diversi territori amministrati. Una metamorfosi da armata Brancaleone, da quello che Monicelli diceva essere Medioevo cialtrone, di ignoranti, di ferocia, di miseria a strateghi e sostenitori di politiche finalizzate unicamente alla crescita dei territori di interesse, all’arricchimento unicamente del Nord cui hanno contribuito anche altre forze politiche (non solo del centrodestra) e persino il Partito Democratico, ivi compresi quei parlamentari meridionali trasversalmente uniti dal menefreghismo per le loro origini, a sostegno di scelte scellerate degli esecutivi succedutisi negli ultimi trent’anni.
Alla strategia della Lega si contrappone, infatti, l’autolesionismo di quella sinistra abituata ad accontentarsi di raccogliere briciole e decimali e che, stante l’immobilismo in cui versa, è destinata a continuare il suo cammino nella più assoluta frammentazione senza alcuna iniziativa progettuale unitaria, una volontà incosciente e irresponsabile che ha consegnato il Paese a un centrodestra culturalmente mediocre, schiavo di pericolose e subdole ideologie purtroppo ancora significativamente supportate da una parte dell’elettorato.
L’uscita dalla pandemia sarà certamente un importante momento di ripresa e di rilancio come fu nel dopoguerra, forte di uno spirito unitario all’indomani di un conflitto e di un regime che hanno lasciato il segno, tuttavua evidentemente ancora non sufficientemente compreso da una parte di questa nostra Italia.