La ricerca antropologica di Tim Ingold, studioso settantunenne che insegna Antropologia Sociale all’Università di Aberdeen, è volta al superamento dell’opposizione tra il pensare e il fare, per un’ecologia della cultura che unisca gli esseri umani e le loro conoscenze all’ambiente naturale, alla creatività artistica e alle pratiche tecnologiche nell’ambito delle relazioni sociali e del sistema ecologico nel quale vivono.
Allo scopo di superare la tradizionale e fuorviante contrapposizione tra ricerca pratica e riflessione teorica, Ingold propone una sintesi culturale che parte da diverse prospettive – dalla filosofia di Martin Heidegger e Gilles Deleuze alla psicologia della percezione di James Gibson e agli studi di archeologia e antropologia di André Leroi-Gourhan, fino alla biologia dello sviluppo di Brian Goodwin e all’ecologia della mente dell’antropologo e sociologo Gregory Bateson – per unire l’arte e la scienza nella ricerca della verità sull’essere al mondo.
Il concetto stesso di verità, in effetti, va ripensato e, pur sapendo che non riusciremo mai a trovare una verità ultima sulla vita, bisogna cercarla nel senso di dare sostanza e valore alla nostra esistenza. Per farlo, ci suggerisce lo studioso britannico, l’arte e la scienza non devono soltanto cercare di rappresentare il mondo, ma gli artisti e gli scienziati devono operare come esploratori e osservatori partecipanti generosi, aperti e critici dell’ambiente del quale fanno parte.
La generosità deve mostrarsi nell’evitare di categorizzare il mondo, cercando di imparare da ciò che trovano sul loro cammino di conoscenza. L’apertura indica, di conseguenza, la capacità di non predisporre ipotesi o finalità prima del reale impegno e della sperimentazione nelle pratiche di vita quotidiane. L’atteggiamento critico, infine, è quello che rifiuta la competizione con le altre visioni della verità, tentando di comprendere la diversità e la complessità di ciò che di volta in volta si osserva nel processo di ricerca.
Nella raccolta di saggi Ecologia della cultura (edizione italiana: Meltemi, 2016) è riassunta, in maniera articolata, la critica radicale all’assurda opposizione tra le scienze della natura e le discipline che si interessano alla cultura: è necessaria l’esplorazione dei rapporti proficui esistenti e da coltivare tra biologia dello sviluppo, psicologia ecologica e antropologia sociale. La visione dell’antropologia come pratica ecologica di Ingold esprime un processo vitale, orientato verso l’apprendimento attraverso le realizzazioni pratiche per produrre una reale trasformazione dell’esistenza e delle relazioni tra gli esseri viventi.
Nella sua opera Making. Antropologia, archeologia, arte e architettura (edizione italiana: Raffaello Cortina, 2019), l’antropologo invita i suoi lettori a riflettere sul legame del pensiero che immagina e comprende attraverso la conoscenza della vita e la produzione materiale delle cose, dalla percezione del paesaggio al lavoro manuale, nell’ambito delle relazioni sociali. Gli esempi che Ingold fornisce vanno dai manufatti di pietra della vita preistorica all’architettura delle cattedrali del Medioevo, fino al volo degli aquiloni, al disegno e alla scrittura creativa.
L’arte e la scienza, insomma, devono stare insieme, perché la conoscenza del mondo parte dall’analisi delle idee, dei simboli e delle credenze, ma poi si arricchisce con l’osservazione dell’agire degli uomini e delle donne nella vita quotidiana. La riflessione e le abilità pratiche, l’apprendimento e il linguaggio, l’organizzazione del lavoro e del tempo di vita sono sempre in relazione con il proprio ambiente organico, naturale e sociale.
La creatività umana e la conoscenza acquisita attraverso le pratiche artistiche e la ricerca scientifica, insomma, producono gli ambienti vitali. L’antropologia sociale ed ecologica di Tim Ingold ci dona la consapevolezza di questo processo, anche se viviamo attualmente nel sistema societario dominato dal liberismo economico che ha trasformato l’intero pianeta in un mercato globale, dove la creazione d’arte e la ricerca, a volte, vengono formulate, prodotte e vendute come merci, alienandole dal flusso vitale e dal perseguimento della verità sullo stare al mondo.