Tra le tante ville di Portici una sicuramente degna di nota è Villa d’Elboeuf, palazzo settecentesco situato vicino al porto del Granatello. La prima, in ordine cronologico, delle centoventidue Ville Vesuviane del Miglio d’Oro, costruita per volontà del duca d’Elboeuf nel 1711 su disegno di Ferdinando Sanfelice.
Si tratta di un edificio a pianta rettangolare sviluppato su due piani, con una loggetta dalla parte del Vesuvio e due terrazze sul mare; l’una che affaccia su Torre del Greco, l’altra invece verso Napoli. La facciata principale presenta due portali a cui si accedeva da una doppia scala ellittica con balaustra in marmo e piperno. Nel giardino, il duca fece piantare numerose piante esotiche, arricchendo il tutto con manufatti provenienti dagli scavi di Ercolano. La Villa d’Elboeuf ebbe diversi proprietari e nel 1738 accolse Carlo di Borbone che, nel 1742, la trasformò in dependance della reggia. Successivamente Ferdinando IV fece apportare delle modifiche, ampliando la villa e facendo costruire il “bagno della regina”, un emiciclo a due piani di gusto neoclassico.
La cittadina alle porte del capoluogo campano, nel secondo Ottocento e nei primi due decenni del Novecento, visse la fase dell’Eclettismo nonché l’inizio della decadenza, nell’età borghese, delle fabbriche nate soltanto allo scopo edonistico e di piacere. Inoltre, quando nel 1839 Ferdinando II fece realizzare la ferrovia Napoli-Portici interruppe anticipatamente la perfetta armonia che si era creata tra le ville e il paesaggio. Una spiacevole conseguenza fu la rovina dei parchi, come a Villa D’Elboeuf, che in qualche modo diede il via all’invasione di strade ferrate e asfaltate che – insieme alla speculazione edilizia – stravolsero completamente il territorio.
Tuttavia, fu la Seconda guerra mondiale a portare alla completa rovina delle ville, non soltanto situate a Portici. Queste, infatti, furono invase dai senzatetto e dagli sfollati che, come scrivono ne Le ville di Napoli Yvonne Carbonaro e Luigi Cosenza, ne hanno occupato e parcellizzato stanze, saloni e insomma tutti gli ambienti coperti, e con l’aumento di concentrazione di stabilimenti industriali nella zona orientale del capoluogo, le cui conseguenze di impatto ambientale hanno deviato le scelte per la villeggiatura su altri luoghi della regione. Gli anni successivi non portarono a miglioramenti, anzi, sempre più parchi e giardini furono fagocitati dalla speculazione edilizia che li lottizzò per far luogo a un’infinità di condomini. Al riguardo Max Vajro nel suo Gli abitanti delle Ville Vesuviane, scrive: La nostra epoca non è stata capace di salvaguardare le splendide ville né i boschi, il mare, l’ambiente tutto che faceva loro corona e faceva del Vesuvio un riferimento per i viaggiatori, uomini di cultura, turisti di tutto il mondo. E la conclusione non ci onora per nulla.
Un cambiamento positivo è arrivato finalmente il 29 luglio del 1971 con la legge n. 578 grazie alla quale centoventuno ville – diventate successivamente centoventidue – sono state poste sotto la tutela dell’Ente per le Ville Vesuviane finanziato, fino all’Ottanta, con 100 milioni da parte dello Stato. Anche se la legge non è mai stata rinnovata, a partire dal 1981 è entrata in gioco la Regione con un piano quinquennale di sostegno. Il valore architettonico e culturale delle ville è stato riconosciuto anche dalla ex CEE che ha previsto un finanziamento del 50% (previo impegno da parte degli enti pubblici) e di un altro 50% destinato al recupero degli edifici di cui sono state valutate le validità e le opportunità di intervento, ma soltanto dopo esser state liberate dagli “inquilini”. Il degrado sembra, però, non essersi mai fermato. Il problema è innanzitutto la mancanza di fondi, ma anche intervenire in un contesto socio-ambientale difficile spesso messo da parte dalle istituzioni. Gli anni Novanta, comunque, hanno portato a una maggiore sensibilizzazione verso il tema dei beni culturali, ma anche del territorio in generale, soprattutto da parte dei Comuni della fascia vesuviana.
Come si legge anche nella descrizione dell’Ente per le Ville Vesuviane si tratta di edifici del XVII secolo costruiti per la maggior parte lungo il Miglio d’Oro, un tratto dell’antica Strada Reggia delle Calabrie così denominato per l’eccezionale concentrazione di ville e manufatti architettonici d’elevatissimo pregio. L’insediamento delle Ville Vesuviane, realizzate su progetto dei più valenti architetti dell’età barocca, Sanfelice, Vaccaro, Medrano, Fuga, Vanvitelli, ecc., fu la conseguenza diretta, sia della realizzazione, in Portici, della residenza reale di Carlo di Borbone, sia dell’eccezionale bellezza del sito collocato tra il viola del Gran Cono vesuviano e l’azzurro del Golfo di Napoli.
Tutte le ville presentano caratteristiche ricorrenti tipiche del barocco e del roccocò: gusto scenografico, uso sapiente degli effetti prospettici con le architetture a far da quinte su fondali costituiti dal Vesuvio e dal mare, mescolanza spregiudicata degli ordini architettonici. Negli interni c’è, naturalmente, grande attenzione al piano nobile, arricchito da terrazzi e affreschi che suggeriscono, spesso, gli stessi paesaggi visibili all’esterno. [..] Negli anni, l’Ente ha acquisito e restaurato la Villa Campolieto e la Villa Ruggiero, entrambe in Ercolano, ha consolidato il Palazzo Vallelonga in Torre del Greco, ha completato il restauro di Villa Letizia a Barra, ha, infine, in corso di recupero la zona a sud del Parco della Villa Favorita, area nella quale sorgono alcune costruzioni di mirabile pregio quali la Palazzina del Mosaico, dependance della più sontuosa villa, e i suoi due café house posti in prossimità della costa.
Inoltre, l’Ente promuove e ospita manifestazioni artistiche, culturali e sociali. Tra queste, Il Festival delle Ville Vesuviane, kermesse internazionale di teatro che si svolge nell’affascinante scenario di Villa Campolieto.