Molti nobili e uomini di corte, proprio come i sovrani, iniziarono a costruire ville lussuose nei dintorni di Napoli. Se ne conserva la testimonianza grazie agli scritti di noti umanisti che Alfonso il Magnanimo per primo e i suoi successori dopo fecero arrivare in città.
Le dimore dei grandi intellettuali accoglievano cenacoli culturali di riscoperta e di esercizio della poesia classica. Qualche volta, inoltre, in questi luoghi ci si dilettava a individuare anche la memoria di personaggi mitologici dalla bellezza delicata e raffinata, come le ninfe. Gli uomini più celebri, ma che allo stesso tempo rappresentarono le tre generazioni della cultura aragonese, furono: Antonio Beccadelli detto Il Panormita, Giovanni Gioviano Pontano e Jacopo Sannazaro. Per i sovrani aragonesi non furono soltanto uomini di cultura, ma anche fedeli consiglieri e collaboratori politici.
Antonio Beccadelli arrivò a Napoli nel 1434, dove fu consigliere del Magnanimo, ricoprì incarichi politici e fu segretario di Alfonso I e poi di Ferrante. In città, Beccadelli aveva un palazzo, inizialmente opera di G. Filippo de Adinolfo rinnovato dal Mormando dopo la morte del Panormita, che si trova ancora oggi al civico 26 di via Nilo. In esso avevano luogo le riunioni dall’accademia da lui fondata che amici e seguaci chiamavano Porticus Antonia. Lo scrittore originario di Palermo, inoltre, era in possesso di un’altra proprietà che sarebbe stata identificata da alcuni dove è ubicata la Villa Rosalba, in via Anella di Massimo n. 39, vicino la casa del Pontano.
Giovanni Gioviano Pontano, invece, arrivò a Napoli in giovane età e dal 1447 fu prima regio segretario di Ferrante e poi precettore del duca di Calabria Alfonso. Dopo la morte del Beccadelli ne continuò l’operato dando lustro e una salda struttura all’accademia che, come scrivono Yvonne Carbonaro e Luigi Cosenza ne Le ville di Napoli, dal 1471 fu chiamata Pontoniana. Le riunioni dell’accademia si tenevano nel convento di San Giovanni a Carbonara, nel palazzo del Pontano alla Pietrasanta e anche nella Villa Antiniana. La villa del Pontano era particolarmente amena, la proprietà si estendeva sulla collina di Antignano fino al Torrione di San Martino.
Il poeta non chiamava questo luogo villa, termine usato per le abitazioni della famiglia reale, bensì massaria. Lo scrittore, che era particolarmente legato all’abitazione nella quale trascorse circa trent’anni, nei suoi scritti la trasformò in una ninfa, precisamente la cultissima Nympha Antiniana. Negli scritti del Pontano però risultano due le ninfe, Patulcidem et Antinianam nymphas alloquitur. Anche se non sono state ritrovate tracce di quest’altra massaria, la Nympha Patulcidis dovrebbe aver accolto le ceneri del poeta. Nel suo De Splendore tratta, inoltre, nel settimo capitolo, il Pontano tratta il tema De hortis ac villis, esaltando il privilegio di possedere splendide ville in città dotate di giardini meravigliosi dover poter passeggiare. Il suo De hortis Hesperidum sive de cultu citriorum, del 1501, infatti, è ambientato nella sua massaria di Antignano, dotata di giardini rigogliosi di agrumi e profumate zagare. Lo stesso Pontano se ne occupò proprio in quel luogo. Nel trattato, non a caso, si riferisce a tre tipi: il limone, citrus limon, il cedro, citrus medica, e l’arancio amaro, citrus aurantium.
Jacopo Sannazaro, grande umanista partenopeo, rappresentò invece la terza e ultima generazione dell’intellettualità del periodo aragonese a Napoli. Il poeta stabilì intensi legami con il Pontano e l’Accademia pontoniana, continuando la sua opera. Il sovrano Federico, nel 1499, donò allo scrittore un suolo molto esteso tra Posillipo e Mergellina (Mergoglino), definita dallo stesso Sannazaro pezzo del cielo in terra caduto.
Il termine Mergoglino dovrebbe derivare dal fatto che un grande numero di pesci guizzava per poi immergersi poco dopo in quello specchio di mare dove c’era un vivaio voluto dalla famiglia reale. Seppur inizialmente il Sannazaro non avesse apprezzato il dono, considerato inferiore rispetto ad altri ricevuti tanto da dedicargli l’epigramma Fecisti vatem, nunc facis agricolam – Mi facesti poeta, ora mi fai agricoltore –, con il tempo cambiò idea. Ben presto infatti si innamorò di quel luogo e proprio in quella villa, Nympharum domus, scrisse le Ecloghe Piscatorie. Il poeta partenopeo ampliò la struttura facendovi costruire una torre, una cappella alla Vergine e un’altra a San Nazario, suo protettore. Purtroppo, durante l’assedio francese, nel 1528, la costruzione fu bombardata dagli spagnoli comandati dal principe di Orange, Filiberto di Nassau, causando grande dispiacere al Sannazaro.
Optatam poscit me dulcis ad umbram / Pausilypus, poscunt Neptunia litora – Il dolce Posillipo mi richiama alla desiata ombra, mi chiamano i lidi cari a Nettuno.