Le rampe del Petraio a Napoli, che scendono dal Vomero per poi raggiungere Chiaia e Montecalvario, prendono questo nome dall’antico fondo pietroso. Il cosiddetto Petraio va da via Palizzi al corso Vittorio Emanuele ed è una delle vie pedemontane che, con l’Infrascata (l’attuale via Salvator Rosa), la calata San Francesco (che da via Belvedere – Vomero vecchio – arriva alla Riviera di Chiaia), la Pedamentina di San Martino (creata per il trasporto dei materiali per la costruzione del Castello e poi della Certosa) e la salita Cacciottoli costituivano il sistema di collegamento tra l’area collinare e quella costiera, scrivono Yvonne Carbonaro e Luigi Cosenza nel loro Le ville di Napoli.
Nel 1799, Eleonora Pimentel Fonseca, in compagnia di altri patrioti, ha percorso la Pedamentina proprio per raggiungere Castel Sant’Elmo nel tentativo di un’ultima disperata resistenza. Oggi il Petraio è visto come un’isola felice lontana dal caos della città, con splendidi scorci paesaggistici, che conserva ancora oggi antiche residenze. Tra queste, Villa De Rosa: Gli abitanti del posto hanno fatto richiesta al Comune per l’installazione di una lapide commemorativa del soggiorno di Paul Klee in Villa De Rosa nella Pasqua del 1902, scrivono ancora Carbonaro e Cosenza
L’artista in un suo diario ha raccontato del proprio soggiorno in città: Napoli ha il più grande splendore accanto alla più grande miseria. Vita del porto, corso di carrozze, teatro dell’opera di alto livello. Accanto a ciò la natura paradisiaca impareggiabile. Una placida insenatura, inquadrata da strane montagne e chiusa da isole caratteristiche. E questo posso vederlo dal poggiolo della mia camera. Giace ai miei piedi, come un gigantesco anfiteatro, la città meravigliosa con il suo brusio […]. Tutto intorno alla casa giardini di un verde fresco, forme fantastiche e miriadi di fiori.
Proseguendo verso il corso Europa, famosa per il suo giardino botanico, era la villa di Francesco Ricciardi, conte di Camaldoli. L’abitazione fu fatta costruire, per volontà del conte, nel 1817. Concepita come un vasto edificio neoclassico quadrato e collocata in posizione panoramica a 360° era completamente circondata dal verde. Il Ricciardi, interessato alle lettere e alle scienze, in particolare alla botanica, realizzò un grande e splendido giardino, l’Hortus Camaldulensis, dove sperimentava la messa a coltura e la riproduzione di specie rare e pregiate, con notevoli risultati scientifici, tanto che nel 1809, nell’Orto Botanico di Napoli, si annoverano otto specie di eucalipto, tra cui l’Eucalyptus camaldulensis il cui nome deriva proprio dal duca di Camaldoli che nel suo giardino raccolse una importante collezione di eucalipti.
Villa Ricciardi accoglieva ospiti illustri come il principe Cristiano di Danimarca e Alexandre Dumas padre, ma purtroppo nel 1848 i filoborbonici la incendiarono e la sua ricchissima biblioteca andò perduta. Nel primo Novecento la villa ospitava le vacanze estive degli alunni del collegio Vittorio Emanuele. Nel 1956 fu trasferito in Villa Ricciardi l’istituto per giovani ciechi che aveva sede in piazza Dante. Intorno al 1960 venne inaugurato il corso Europa che ne facilitò l’accesso.
Dove la collina del Vomero si congiunge con quella di Posillipo, a via Manzoni al numero 11, si trova Villa Patrizi. Una dimora gentilizia della metà del Settecento. Annessa a questa vi era la tenuta agricola che si estendeva sui due fianchi della collina; da un lato affacciava sul golfo di Napoli, dall’altro verso la zona flegrea. Era stata adibita a residenza signorile e arricchita dalle linee barocche di Ferdinando Sanfelice, subito riconoscibili nel portale, che si propone come un elegante boccascena teatrale che si apre sul bel cortile con portici e locali per carrozze e cavalli.
L’abitazione di tre piani ha ampie terrazze, la più bella si queste si trova al piano terra, semicircolare, che un tempo conduceva al parco – non più annesso alla proprietà che conserva solo uno spazio di 560 metri quadri. Elemento di grande importanza, all’interno della villa, non sono soltanto gli affreschi con i cicli della vendemmia, ma soprattutto la presenza del teatrino settecentesco, probabilmente unico esempio di teatro privato ancora esistente – ha subito qualche modifica nell’Ottocento – e poco più di venti anni fa era in perfetto stato d’uso con una capienza di un centinaio di posti.
Le pareti delle sale e il soffitto sono totalmente affrescati con eleganti giochi prospettici tanto che nella parete in alto di fronte al palcoscenico un indovinato trompe-l’oeil dà la sensazione che da un palchetto sovrastante il piccolo coro ligneo dorato una coppia di spettatori in parrucca guardi la scena, scrivono Yvonne Carbonaro e Luigi Cosenza.
Per tutto l’Ottocento la famiglia Patrizi ha portato avanti, al Vomero, questa tradizione di mecenatismo e cultura con concerti e spettacoli. Durante la Seconda guerra mondiale il teatro è stato requisito dalle truppe alleate subendo danni, acuitisi poi con il terremoto dell’Ottanta. Dal 1987 al 1988 il locale è stato gestito da una società privata, la Proscenio, ma poi nel 1998, a seguito di un incendio, è stato nuovamente chiuso e da allora non è più funzionante.