La Reggia di Capodimonte e il grande parco per le Delizie Regie – così definito nella mappa del duca di Noja – residenza storica dei Borbone di Napoli, dei Bonaparte, Murat e dei Savoia, furono realizzati a partire dal 1738, così come la Reggia di Portici, per volontà di Carlo di Borbone. Il palazzo aveva lo scopo di accogliere la collezione Farnese e fu successivamente adibito a reggia fino al 1957, anno in cui accolse il Museo Nazionale di Capodimonte.
La costruzione del palazzo fu affidata all’ingegnere militare Giovanni Antonio Medrano, affiancato poi da Antonio Canevari. Il progetto prevedeva un edificio a pianta rettangolare con tre cortili interni, nel 1739 una commissione di esperti si occupò poi della definizione degli spazi interni, così da assolvere alla funzione museale. Nel 1742 all’architetto Ferdinando Sanfelice fu assegnato il progetto del bosco destinato alla caccia.
La costruzione della Reggia di Capodimonte, così come i lavori del parco, andavano parecchio a rilento e dopo la partenza per la Spagna del sovrano, nel 1759, il ministro Tanucci ricevette l’incarico di portarli a termine. Soltanto dopo che Giuseppe Bonaparte ebbe scelto di dimorare in loco, finalmente fu costruita una rete di strade di collegamento con la collina, l’attuale via Santa Teresa, prima chiamata corso Napoleone. Tra i vari problemi, infatti, vi erano la mancanza di acqua e la difficoltà di raggiungere il sito proprio perché non esisteva una strada diretta. A tal proposito, Johann Joachim Winckelmann durante una visita alla reggia dichiarò: Si arriva ad esso dopo aver superato la salita erta e scoscesa, con un palmo di lingua da fuori e per questo motivo i paesani non se ne pigliano tanto fastidio.
Come scrissero Yvonne Carbonaro e Luigi Cosenza ne Le ville di Napoli: Per la costruzione delle strade si procedette nel 1807 all’esproprio di terreni circostanti il bosco e di varie residenze signorili che risalivano al Settecento. Giuseppe Bonaparte poi, desiderando che il territorio circostante la Reggia “sia abitato da persone di mia casa”, fece atto di donazione di vari suoli e “casini” a personaggi della corte a lui fedeli. Parecchie di queste costruzioni vennero così ristrutturate per le esigenze di rappresentanza dei suddetti personaggi. Requisiti dai Borbone al loro rientro tali beni furono restituiti ai vecchi proprietari o venduti subendo così ulteriori ristrutturazioni e ampliamenti, specie per quanto riguarda i parchi e i giardini, che andarono sempre più estendendosi lungo i crinali panoramici della collina.
Tra le varie famiglie, in una delle splendide abitazioni a Capodimonte, vi era anche quella di Vincenzo Marulli, duca d’Ascoli. Questi, con il suo L’arte di ordinare i giardini, volle raccontare l’idea di villa, non considerata soltanto come residenza gentilizia, ma come abitazione diffusa, concetto che aveva fatto suo durante i viaggi in Europa centrale e in Inghilterra, spiegando la nozione di giardino paesaggistico che si diffonderà a Napoli soltanto qualche decennio più tardi.
Anche in città, infatti, il gusto del “giardino all’inglese” diventerà dominante, anche detto “pittorico” o romantico: mosso nel disegno dei viali e variegato nella scelta delle piante, disposte a boschetto, scrivono ancora Yvonne Carbonaro e Luigi Cosenza. Una vera e proprio estetica del verde che sarà di moda per tutto l’Ottocento informando lo stile dei parchi reali e aristocratici in via di realizzazione.
Nel 1833, anno in cui Ferdinando II iniziò la costruzione del terzo quadrato della reggia, i lavori di completamento del parco furono affidati a Friedrich Dehnhardt, architetto del paesaggio e botanico. Lo svizzero liberò lo spazio antistante il palazzo e diede al bosco una sistemazione secondo i criteri all’inglese inserendo aiuole, essenze arboree, piante esotiche e rare, insomma arricchendo il bosco con una varietà incredibile, ma sempre perfettamente adeguata al paesaggio circostante tra mare, campagna e Vesuvio.
Verso la metà dell’Ottocento la zona aveva raggiunto il suo massimo splendore dovuto appunto a quell’armonico insieme in cui il Palazzo di Capodimonte si stagliava superbo al di sopra delle splendide costruzioni gentilizie che costituivano un vero e proprio sistema a corona dello stesso, arricchite da estesi giardini con incantevoli scorci paesaggistici, terrazzamenti ordinatamente coltivati, piante tropicali e serre per la coltivazione di specie pregiate in ossequio agli interessi botanici del tempo, come è successo nella zona vesuviana.
Anche in questo caso, purtroppo, lo scempio edilizio degli anni Cinquanta ha stravolto l’assetto del territorio e poche ville, tra quelle che non sono state distrutte, conservano ancora oggi la loro fisionomia originaria. Il percorso della tangenziale, da cui alcune sono facilmente identificabili, ha compromesso l’equilibrio ambientale.