Sono trascorsi 28 anni da quando, nel settembre del 1992, Christopher McCandless fu ritrovato morto all’interno di un vecchio autobus abbandonato che aveva ribattezzato Magic Bus.
Viaggiare fa sentire liberi, ma viaggiare da soli è un’esperienza totalmente diversa che porta con sé un forte senso di indipendenza ma, anche, la conquista di un tempo, verso se stessi, del tutto nuovo. Conoscersi attraverso scelte da prendere, andare avanti e portare con sé le ferite del passato, i problemi del presente, le speranze del futuro, accettare e accettarsi, perché quel passo dopo passo lo si compie con consapevolezza, con la determinazione che spinge a non fermarsi, non ancora.
Alexander Supertramp, pseudonimo di Christopher Johnson McCandless, nato a El Segundo nel 1968, dopo gli studi decise di intraprendere un pellegrinaggio nell’ovest degli Stati Uniti lasciandosi alle spalle una famiglia benestante, una laurea in storia e antropologia e 24mila dollari di risparmi che donò alla Oxfam, confederazione internazionale di organizzazione non profit che si dedicano alla riduzione della povertà globale. Il viaggio doveva essere per Christopher un rito di passaggio, un distacco momentaneo dalla civiltà e dalla famiglia, un bisogno di solitudine, di lavorare per continuare a viaggiare, spingendosi fino a dove la strada lo avrebbe portato. Invece, non durò poco.
Erano trascorsi già due anni quando la vita lo condusse all’imbocco dello Stampede Trail nel Denali National Park, nel cuore dell’Alaska. Per oltre tre mesi, Christopher McCandless ebbe come sola compagnia la natura selvaggia e il suo diario, e dormì in un autobus abbandonato, il Magic Bus, nutrendosi di piccoli animali, piante e bacche. Fu completamente immerso in un’esperienza pura, senza filtri, ma che nasconde spesso un lato troppo amaro. Quelli furono gli ultimi 112 giorni della sua vita. Nuovamente zaino in spalla, il giovane Christopher decise che era il momento di tornare a casa, probabilmente in quella profonda e selvaggia solitudine aveva trovato le risposte che cercava, soprattutto quelle nel suo cuore, tuttavia il fiume in piena e, purtroppo, la poca esperienza, lo costrinsero a tornare indietro, verso l’autobus.
Nel settembre del 1992, due cacciatori ritrovarono il corpo scoprendo che il ragazzo era morto due settimane prima. Secondo la versione ufficiale, Christopher McCandless era morto di fame, ma si parla anche di una ferita al braccio o alla spalla che avrebbe impedito al giovane di attraversare il fiume Teklanika. E, ancora, molto probabilmente era stato avvelenato dalla neurotossina ODAP, presente in semi che aveva creduto commestibili e che lo avrebbero lentamente paralizzato. Il Magic Bus era stato la sua casa e al suo interno furono ritrovati tantissimi appunti, una macchina fotografica e altri oggetti. Poi, una scritta: Ho avuto una vita felice e ringrazio il Signore. Addio e che Dio vi benedica!.
La storia di Alexander Supertramp ha lasciato un segno profondo, una storia che molti hanno abbracciato e fatto propria, come Jon Krakauer che nel libro Nelle terre estreme ha raccontato il viaggio intrapreso dal giovane basandosi sui racconti di tutte le persone che lo hanno conosciuto. Nelle sue pagine ha svelato che quando si incontra qualcuno non è mai per caso: era stato così per l’anziano ottantenne che aveva ospitato Christopher per qualche settimana, così come Jan Burres e il compagno Bob, due vagabondi che gli avevano insegnato alcune regole per la sopravvivenza. Il libro ha poi ispirato il film Into the Wild – Nelle terre selvagge, diretto da Sean Penn.
Nel 2014, invece, la sorella minore di Christopher ha pubblicato un volume di memorie dedicato al fratello, Into the Wild Truth: un racconto della loro infanzia, dell’atteggiamento violento del padre nei confronti della madre, l’abuso di alcool, l’ossessività, le tendenze manipolatorie dei genitori. Il viaggio era nato come forte desiderio di evasione, di rifugiarsi nella natura selvaggia per dimenticare per un po’ una famiglia e una società che gli avevano chiuso il cuore in gabbia, alla ricerca di una verità che andava conquistata e vissuta nelle proprie esperienze e nello sguardo degli altri.
Ma è stato soprattutto il film a rendere Supertramp immortale, tanto da rendere il Magic Bus un richiamo fortissimo per i viaggiatori di tutto il mondo. Una meta turistica tuttavia difficile perché spesso molti escursionisti, desiderosi di vedere l’autobus, si sono rivelati impreparati ad affrontare l’impresa, spesso rischiando la vita e costringendo le autorità a missioni di soccorso che in alcuni casi non sono andate a buon fine. Proprio per questa ragione, il Magic Bus è stato portato via. «So che è la cosa giusta per la sicurezza pubblica nella zona, ma allo stesso tempo c’è sempre un po’ di agrodolce quando un pezzo della tua storia viene portato via», ha dichiarato il Sindaco Clay Walker.
Intraprendere un’avventura come quella di Christopher significa, anche, avere la consapevolezza che spesso le nostre sole conoscenze non bastano a tenerci al sicuro e rendere un viaggio appassionante, intenso e ricco di esperienze, per questo motivo la scelta delle autorità dell’Alaska, seppur triste, è assolutamente giusta. Il segno che questa storia ha lasciato, invece, non può essere rimosso.
C’è tanta gente infelice che tuttavia non prende l’iniziativa di cambiare la propria situazione perché è condizionata dalla sicurezza, dal conformismo, dal tradizionalismo, tutte cose che sembrano assicurare la pace dello spirito, ma in realtà per l’animo avventuroso di un uomo non esiste nulla di più devastante di un futuro certo.