È una chiavica. Gli dovete sputare in faccia.
Un imbecille che litiga da solo.
Era il mese di maggio del 2018 e a lanciare epiteti contro l’allora Sindaco di Napoli Luigi de Magistris non fu nessun frequentatore della peggior cantina della città, bensì il Presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca nel corso di un incontro con alcuni cittadini nel quartiere di Secondigliano. Frasi carpite da un fuorionda e pubblicate poi su un quotidiano locale.
Invettive, quelle, tra le tante all’indirizzo dell’ex Sindaco e che non sono mancate domenica scorsa a Napoli, alla festa de L’Unità (il quotidiano fondato da Antonio Gramsci e oggi nelle mani di Piero Sansonetti, sic!), seppur in tutt’altra direzione, in casa propria (almeno sulla carta) contro i vertici nazionali e locali del Partito Democratico, tutti come sempre in silenzio, senza un minimo di reazione. Come ai tempi dei segretari Renzi, Martina e Zingaretti, mai un richiamo alla correttezza istituzionale, un timore reverenziale nei confronti del leader di un partito nel partito.
Maleducati, imbecilli, pinguini.
Non ho tempo da perdere con gli imbecilli di questo partito.
Mi fate schifo.
Di Roma non me ne fotte niente.
Un’ira motivata da un possibile rifiuto della direzione del PD a concedere la candidatura per il terzo mandato che l’ex Sindaco sceriffo e Presidente della Regione chiede a tutti i costi ma che la Segretaria Elly Schlein potrebbe negargli, conferendo maggiore credibilità all’atteso nuovo corso o, in alternativa, proseguire sulla scia dei suoi predecessori.
La Schlein lo scorso giugno ha rimosso il figlio di De Luca, Piero, da vicecapogruppo parlamentare, provvedimento interpretato dagli interessati come vendetta trasversale e messaggio ben chiaro al capofamiglia. C’è da chiedersi se il Partito Democratico sia disponibile a contrastare e rischiare una possibile candidatura autonoma del 74enne Presidente uscente che, in quanto a discutibili alleanze e liste da improvvisare, non avrebbe alcuna difficoltà.
Egli stesso ha rivendicato in più occasioni, ultima nel corso del predetto evento, la paternità della candidatura del Sindaco Manfredi sostenuto da ben tredici liste, con la partecipazione straordinaria dell’ex capogruppo di Forza Italia in consiglio regionale Armando Cesaro, alcuni fuoriusciti del partito di Berlusconi, ex assessori e consiglieri della precedente amministrazione saliti sul carro del vincitore, con il coinvolgimento del M5S che non ha fatto mai mancare il suo sostegno a qualsiasi tipo di alleanza pur di essere al potere. Il tutto con la regia di Vincenzo De Luca ai più noto per essere una star del web, fama acquisita durante la pandemia con dirette e invettive contro trasgressori di qualsiasi età e un ben noto linguaggio che ha fatto la fortuna di Maurizio Crozza, risultando ancora tra le sue migliori e apprezzate imitazioni.
L’intervento di domenica scorsa da parte dell’ex PCI, poi PDS e PD Vincenzo De Luca a una platea ammutolita nonostante gli improperi e le offese, incapace di qualsiasi reazione, senza alcun coraggio di esprimere dissenso durante e nelle ore e giorni successivi, neanche della segreteria del partito, confermano che il nuovo corso resta ancora una mera illusione. La mancanza di coraggio, anche rischiando di perdere pezzi inutili al dibattito democratico, famiglie e correnti che parlano a se stesse e alle loro clientele, per un processo di cambiamento che almeno fino a ora non ha dato alcun segnale.
La violenza verbale per niente casuale del capofamiglia al cospetto di un uditorio passivo sono la prova più evidente di una incapacità di parlare chiaro e del timore di perdere consensi già dalla prossima competizione elettorale tra meno di un anno.
Ha ragione De Luca quando afferma che se l’alternativa è questa, la Meloni gode della migliore assicurazione sulla vita. Durerà cinque anni. Rischiamo davvero di tenerci questo governo, ma va detto che questo modo di fare politica, compreso il suo spettacolo, è la migliore garanzia per un centrodestra alla guida del Paese non solo per cinque anni e che una possibile caduta dell’attuale esecutivo potrà avvenire soltanto per mano di uno degli alleati. Altrimenti, con questa sinistra in mille pezzi potrà dormire sonni tranquilli.
Aveva ragione Achille Occhetto, intervenuto sere fa in una trasmissione di La7, quando alla domanda di quale fosse il suo parere sull’autocandidatura di Michele Santoro con una propria lista alle Europee ha affermato che non si sentiva affatto il bisogno dell’ennesimo partitino in una sinistra che invece ha necessità di unità se vuole mandare a casa questa destra.
Occorre una strategia ben mirata in vista delle competizioni elettorali che, nel rispetto delle varie anime presenti, metta assieme le forze e i valori comuni. L’operazione Santoro, encomiabile nei principi e apprezzabile per alcune figure politiche di tutto rispetto e di grande esperienza, nel migliore dei casi porterà il solo capolista a far parte del Parlamento Europeo, sprecando le migliori forze al solo scopo personale seppur apprezzabile nei principi.
Unità strategica della sinistra anche con un Partito Democratico che stenta a imboccare la strada del rinnovamento radicale, con una maledizione sulla segreteria che sembra essersi abbattuta da Veltroni in poi.
Trovi il coraggio di lasciare fuori famiglie, clan e apparentamenti equivoci e torni a parlare alla sua base di riferimento, ai lavoratori, agli studenti, ai disoccupati, a quelle categorie ai margini di una società sempre più oggetto della politica dello scarto e dell’esclusione. Altrimenti continuerà a perdere consensi.